PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

lunedì 5 dicembre 2011

28 - L'addio, o meglio, l'arrivederci. Su una New York autunnale, su don Antonio Demo, su un signore il cui nonno era uno schiavo, su un tassista pakistano che corre troppo e sulla voglia di capire il "sogno americano" di molti.

venerdì, settembre 30, 2011


Cambiano repentine, le stagioni, a New York.
E' vero che gli americani girano ancora con le magliette a mezze maniche, ma la temperatura si è decisamente abbassata. Anzi, diciamola tutta: fa freddo.
E' piovuto non poche volte negli ultimi giorni, e nella notte le nuvole basse si divertivano a nascondere le cime dei grattacieli, che ricambiavano il dispetto illuminandole.

































Più volte mi sono fatto a piedi l'intera parte di Fifth Ave da Central Park alla fine, a Wahington sq, ma l'altra sera l'ho fatto per respirare a fondo, ancora una volta, questa atmosfera.

Vagando, sarà stata l'una di notte, passo davanti ad una vetrina illuminata: è quella di un parrucchiere, aperto - incredibile - 24 ore su 24 (della serie: "Questa sera voglio andare a letto con i capelli in ordine, visto che l'umidità di oggi me li ha resi impossibili...").
Davvero un cambiamento repentino quello del tempo, se si pensa che solo qualche sera fa il cielo era limpido e l'atmosfera era questa, decisamente ben differente...
L'atmosfera al Greenwich Village, con le sue palazzine di inizio novecento, è decisamente differente da questa che vedete nella foto che ho fatto da un "roof top", da una terrazza panoramica, dove era stata organizzata una conferenza stampa. Sono pochi i chilometri che dividono "downtown" ai grattacieli di "midtown": eppure qui, al "Village" la gente sembra correre di meno, con la voglia di godersi di più la città.

Scatto qualche foto anche nei pressi di casa.

A due passi, all'angolo fra la 6a Ave e Bleecker st. c'è una piccola piazzetta con giardino.
Si chiama "Father Demo Sq".
Lo spazio, la notte, viene chiuso, mentre il giorno è meta di passanti, vecchiette che chiacchierano, turisti e sfaccendati vari.

Sorrido al pensare alle migliaia di panchine che ci sono a New York e ai periodici roboanti annunci di smantellamento di panchine in parchi pubblici di talune città del nord Italia...
Anzi, che ridere!
Mi chiedo come non si vergognino di fronte al mondo certi politici italiani...


Eccola qua, Father Demo sq.
In mezzo al giardino, un piccolo cippo posto a terra ricorda che la piazza è stata dedicata "dalla comunità italiana e dagli abitanti tutti" al "Reverendo Antonio Demo", parroco della vicina chiesa "Nostra Signora di Pompei" dal 1900 al 1933.
Un ragazzino porta le delizie del famoso "Joe's", negozio di pizza (intera o al taglio - a spicchi) usato tante volte come set cinematografico.



Ammetto di aver ceduto all'assaggio, e un po' mi vergognavo, fra me e me, di trovarla ottima. 
Non sapevo ancora della vera origine italiana di quella pizza, che viene mangiata lì in piedi nel locale, appoggiati ai tavoli, o camminando per strada.
La storia di "Joe's Pizza" me l'ha raccontata un piuttosto corpulento signore sulla sessantina abbondante, che quando mi ha sentito ordinare semplicemente "a slice and Coke", mi ha detto "Italiano, eh? Di dove?". (Minchia, ma avevo detto due - dicodue - parole! ).
Joe's Pizza è stato messo in piedi da lui, arrivato da Santa Maria di Capua Vetere alla fine degli anni '70. Alle pareti, le foto di attori e vip americani, in posa con i pizzaioli e davanti alla classica "slice of pizza...".

Mentre entrava nel suo Suv (di dimensioni colossali, ovvio), mi ha chiesto se conoscevo il suo paese, dove ha un appartamento che si è comprato con i suoi primi risparmi americani, anche se ora lo occupa poche settimane più o meno ogni due anni.

Gli ho detto di sì, ma mi sono dimenticato di raccontargli che ho fatto anche un servizio, proprio a Santa Maria di Capua Vetere, su un cimitero garibaldino, miracolosamente rimasto intatto da un secolo e mezzo, fra orride palazzine di periferia.
Pieno di tombe di giovani 17enni, 19enni e ventenni lombardi, veneti, fiorentini e piemontesi morti per unire l'Italia...

Siamo proprio a pochi passi dalla "Numero 28" (a Carmine st, che qui - ovvio - chiamano "Carmain"), forse la migliore pizza di Manhattan, a mio parere. Se vi piace quella un po' bassa, non "napoletana", però.

Di fronte, ecco la gelateria Grom che, soprattutto i torinesi, conoscono bene.

Sono sceso in strada e mi sono seduto tranquillo con il computer ancora una volta, per respirare ancora boccate d'aria newyorkesi.
Per osservare la gente, le macchine, i taxi, il traffico...
Per vedere, sentire, New York.

Penso a qualche giorno fa, quando qui, davanti a queste panchine, veniva girato un film, con Julianne Moore che mi ha persino rovolto un sorriso e un accenno di saluto con la mano...















Rivedo una vecchietta che viene qui tutti i giorni con una amica, alle panchine di fronte alla scuola,  per dar da mangiare ai piccioni. E' su una sedia a rotelle e i graziosi volatili quasi la coprono tutta.
Con lei che è tutta felice.
Come è felice a rispondere al mio saluto.



Intanto passa una signora con in mano una lettera aperta: la legge camminando e camminando mi rivolge uno sguardo  veloce mentre scrivo con il portatile.
E mi sorride.


Ecco, questa è una delle cose che mi mancheranno certamente, tornato in Italia: la gente che per strada ti sorride, ti saluta, che risponde al tuo saluto, che ti fa i complimenti ("gratis") per come sei vestito, per le scarpe che porti o per la cravatta che indossi.
Sì, lo so: so bene che i rapporti "solidi" sono altri...

L'altra notte mi sono svegliato di colpo.


Mi sono svegliato dalla paura (ma quale paura??) di aver perso l'aereo.
Lo so, fino ad ora non ho mai affrontato l'argomento "ritorno a casa" (ma "la casa" qual è?) in queste pagine.
Qualcuno se ne sarà accorto...
Insomma, l'altra notte mi è venuto quel dubbio che viene improvviso e, quel che è peggio, a notte fonda, mentre si dorme. 
E allora ho sbarrato gli occhi e mi sono alzato di scatto con il cuore che batteva. E ho cercato in una tasca dello zainetto quel foglio di carta stropicciato e dimenticato dal giorno della partenza. 
Quello dove avevo scritto la data del ritorno, l'ora del ritorno, il numero del volo di ritorno.
(Ma tornare dove?)
E allora, in piena note ho acceso il computer per essere certo di che ora fosse, di che giorno fosse, in quel momento...
E ho guardato il giorno e l'ora scritti sul biglietto...



Giorno e ora che alla fine sono arrivati.

Maledizione.



E allora, forse è meglio che salga sul taxi e che mi faccia portare via da qui.

Via.
Via da qui.
Via da New York.
Dopo due mesi e passa...



Saluto Joaquim, il mio coinquilino, che mi viene incontro bellissimo, con quei suoi capelli biondi e lisci come avrei sempre voluto avere io da ragazzo, e con quello suo sguardo azzurro e ingenuo, e pieno di incoscienza, entusiasmo, futuro.

Penso alla moka made in China che ho deciso di lasciargli insieme alla lattina di caffè Lavazza.

Caffè che se li scola tutti e tre insieme e in una volta sola...

Saluto la casa e la mia stanza minuscola, la più piccola stanza dove io abbia mai dormito in vita mia.

Penso a Viviana che ora tornerà nel suo legittimo letto, e che io un po' sento quasi di avere profanato. Penso ai suoi vestiti appesi sopra al fondo del letto, che la notte mi accarezzavano, leggeri, i piedi. 

E io che a volte mi svegliavo per quella strana sensazione e che poi mi riaddormentavo sorridendo.

Penso ai suoi sacrifici (perché non me ne ha mai parlato, ma lo so che sacrifici fa, lei, per vivere qui a New York...) e al suo sogno da raggiungere.
Perché l'America e New York vogliono dire sogno e sacrifici.

Immani.
Penso a come lei scriva bene (ti leggo, sai?) e penso che in fondo, scrivere è un altro modo di dar da mangiare qualcosa - pensieri, parole, immagini, in questo caso... - agli altri.
(Guarda che l'avevo capito che lavoro fai per poter campare a New York, sai? Ma, per quel che conta, sono orgogliosissimo di te!).

...


Il mio cuore sanguina.

Il mio cuore è lacerato.
Dopo una doverosa pausa necessaria a metabolizzare il ritorno, ad assorbire il trauma, il trauma del ritorno a casa ("ma la casa qual è?"), ho deciso che cercherò di capire, di scrivere, di de/scrivere cosa è che rende così potente questa città, questa nazione.

Di capire perché ho visto tanta gente piangere, lasciandola.

Di capire cosa ne rende così difficile, quasi davvero "doloroso", il distacco.
Questo distacco.
Ogni volta.
Anche se magari si sa che si ritornerà.
Anche quando (per la prima volta...) non si esclude di ritornarci per sempre.

Sì, ho bisogno di capire  che cos'è...

Sono forse quei grattacieli che sfidano la forza di gravità e la ragione, a colpirci (al cuore e al cervello)?

Sono le loro luci che brillano come milioni di stelle vicine (ir/raggiungibili)?
Quelle luci che sembrano la proiezione di migliaia di sogni realizzati?


Sono forse le mille facce e le mille razze che vedi per strada?
E' forse tutta quella gente (o i loro genitori, o i loro nonni) arrivata qui in miseria, quei "miserabili rifiuti dei lidi affollati", "senza speranza", che sono arrivati qui senza un soldo, per rimettersi in gioco?
Sono loro a colpirci?

Sono loro a soffiare sul nostro cuore?





















E' forse la frase di quell'anziano afroamericano che dodici anni fa, a Union Sq., qui a New York, mi ha battuto a scacchi in 15 mosse e che salutandomi mi disse, raggelandomi: "Avrei potuto vincerti in cinque mosse, ma ho voluto darti una possibilità, ragazzo. Perché questa è l'America.
La conosci l'America?
Oh sì, tutti ne dicono di tutti i colori, ma io ti dico solo che io  ho un figlio medico e uno avvocato.
E che mio nonno era uno schiavo.
Esatto, schiavo.
La conosci la storia degli Stati Uniti, ragazzo?"...

E' anche questa frase o sono altre parole, quelle presenti nelle mille canzoni americane che abbiamo letto e cantato fin da ragazzini?

Insomma, cosa diavolo rende così così attraente, questo sogno?


Sono forse le valanghe di bambini che si vedono in giro con genitori giovanissimi?


Bambini che scelgono al ristorante cosa mangiare consultando il menu colorato riservato a loro, con tariffe a metà prezzo (alla faccia del cartello "Qui non si fanno mezze porzioni" che si legge in alcuni ristoranti in Italia...)? 


Bambini che si vedono in bici, in tandem, nei passeggini a due o tre posti, nei passeggini con lo skate dietro dove il fratellino più grande sta in piedi, sui pattini, o nelle (nel senso di "dentro") fontane, e senza che i genitori sbraitino? 

(Cazzo, ci sono bambini ovunque, in America...).


Sono le villette placide, tranquille, ordinate e bellissime che ci sono nei paesini lì, subito fuori Manhattan, e in giro per tutta l'America?
E' la natura, selvaggia, potente, immensa, rispettata da tutti, con quelle strade lunghissime che la attraversano, strade che da qualche parte devono pur portare?
Magari proprio al sogno che ognuno di noi ha.
Qualunque esso sia...

Ah, lo so: li vedo benissimo i poveri, i "barboni", i senza casa. Quelli che cercano di raggiungerlo quotidianamente il loro "sogno americano"
O almeno il loro spicchio di sogno...
Esistono certamente le contraddizioni, e ne scriverò, cercando di riassumere i famosi "pro e contro", dell'America, come mi ha chiesto qualcuno.
(Al di là delle ideologie e dei preconcetti, Carlo. Ma tanto so che non leggi...).

Ho deciso che dirò "la mia" dando il mio parere (e un po' di consigli) ai tanti che in queste settimane mi hanno scritto in privato per chiedermi informazioni, per sapere se è "davvero così", per sapere "come si fa". 

A venire qui, a cambiare vita.



E poi...


E poi nulla appare così veloce come il ritorno.
Bagagli da fare, camera da mettere in ordine. Almeno un po'.

Scendo con le valige e faccio al contrario quell'ottantina di gradini ripidi che mi addoloravano le gambe, i primi giorni.

Fuori piove.
E' New York che piange perché me ne vado, ne sono certo...

Ho lasciato l'enorme ombrello giallo a spicchi neri a casa. So che non me l'avrebbero fatto mai portare, in aereo.

E allora, sotto la pioggia alzo la mano e faccio uno dei gesti più "newyorkesi" che si possono fare qui.
E un taxi, maledizione, si ferma subito.

L'unica cosa che mi fa sorridere mentre l'auto gialla mi porta via (ma quanto cazzo corre, 'sto qui? Ha tutta questa fretta di farmi partire?), è il tassista pakistano che quando sente che sono italiano si fa la "solita" risata e mi dice con rara sintesi giornalistica quello che pensa: "Berlusconi, il presidente del Pakistan, gen. Musharraf, mafia: tutti uguali...".


Poi mi dice che parlo benissimo inglese (see, domani...) e mi racconta che lui ha fatto mille lavori, in America, e che ora ha due figli che vanno al college.

"Il regalo - mi dice - che mi hanno fatto gli Stati Uniti d'America".
Poi mi guarda dallo specchietto e vede che ho gli occhi lucidi, maledizione, gli occhi incollati al finestrino.
E allora mi lascia ai miei pensieri che corrono, ma che vorrebbero essere immobili.

Su quelle strade.

Quando in taxi si va verso l'aereo che ci riporterà a casa (ma  la casa qual è?), si parla poco, e si cerca di catturare e di memorizzare, di mangiare, di ingoiare, le ultime immagini che New York e l'America ci regala.


No, non ricordavo che Newark, in New Jersey fosse proprio di fronte a Manhattan.


Quando l'aereo ha iniziato a muovere i suoi primi passi sulla pista, dal finestrino vedo già illuminato, vestito per la sera, l'Empire State Building.
E poi ecco la Freedom Tower e i grattacieli di downtown.
Vedo la vita di New York che fugge via, insomma.
Anche se sono io che mi sto allontanando, maledizione...

Penso alla mia casa che raggiungerò (ma la "mia" casa qual è?), poi chiudo gli occhi, quasi come se non volessi vedere la partenza.

Quasi come se non volessi, in quel momento, vivere.
Vivere...

E chiudo gli occhi chiedendomi perché non sono 
restato lì un altro momento, "solo un piccolo 
momento", nella mia grande città, in quella bellissima stanza minuscola.

E mi addormento.
Mi addormento praticamente all'istante, prima ancora che l'aereo decolli.

Un meccanismo di difesa che conosco bene, che inconsapevolmente uso fin da bambino.
Dormo...
"Ve ne prego: lasciate che io dorma questo sonno...".
Non voglio vedere.

Non voglio vivere...

...


Quando il pianto di una bambina mi sveglia, mi accorgo di essere già a 8457 metri di quota, in pieno Oceano Atlantico. E che mancano ancora (anzi, già...) 4mila e passa miglia all'atterraggio.


Guardo dal finestrino.
Il cielo, sopra le nuvole, è azzurro.
Quassù il sole, splende.


Mi conforta il pensiero delle persone che ho conosciuto in questi mesi americani, il ricordo dei loro sorrisi, della loro disponibilità, dei loro incoraggiamenti, delle loro storie, dei loro progetti, del loro coraggio, della loro incoscienza, della loro testardaggine...


E mi rimbomba come un mantra nella testa e nel cuore la frase che Salvatore, uno dei miei nuovi amici americani, mi ha detto abbracciandomi quando ci siamo salutati.

"Ora che sai la strada, puoi venire...".
Solo che questa volta, maledizione, non sorrido affatto.

Sì, cercherò di scrivere con calma e razionalità i "pro e i contro",  i difetti e le cose che non funzionano, in questo Paese.


Ma "oggi non ho tempo.
Oggi,
voglio stare spento...".


Perdonatemi.



© dario celli. Tutti i diritti sono riservati,

10 commenti:

  1. Commenti

    #10 08:59, 18 ottobre, 2011
    Grazie, Crys...
    Grazie per avermi letto e grazie per le tue parole.

    Hai ragione, "chi rinuncia ai propri sogni è costretto a morire"...

    A presto.
    E se ti va cercami su Facebook.

    d.

    #9 18:17, 11 ottobre, 2011
    Ciao Dario,
    ho letto il tuo blog dall'inizio, sempre senza commentare.
    Me ne stavo in disparte perchè non mi sentivo all'altezza di disturbarti.

    Sono capitata qui grazie al link di un'altra blogger che cercava informazioni su new york.

    Io a NY non ci sono mai stata, ci passerò una settimana a giugno in viaggio di nozze e di certo non è grande cosa, ma il tuo blog era proprio ciò che cercavo. Non una guida per turisti, non uno scambio di idee fra chi è stato in luna di miele a Ny, ma le impressioni e le suggestioni di chi NY la vive davvero.

    Questo post ora mi ha lasciata senza parole. E' denso, profondo e molto molto emozionante.

    Con il tuo blog mi hai fatta innamorare di Ny prima ancora di andarci.
    Ora le mie aspettative sono davvero altissime.

    Bentornato nel Bel Paese.
    Non rinunciare al tuo sogno di vivere negli States, continua a inseguirlo. Volere è Potere.

    Crys


    #8 09:02, 07 ottobre, 2011
    bellissime foto
    ciao cristian


    #7 09:05, 06 ottobre, 2011
    le foto.. le foto sono splendide.
    giusta punteggiatura nell'altrettando splendido descrivere stati d'animo, pensieri e colori davanti agli occhi di un eterno 'sognatorepositivo' come te.
    complimenti ai post e alla tua trascinante voglia di vivere.
    Penelope

    utente anonimo (IP: 0dcc6a322d8fab9)


    #6 02:35, 05 ottobre, 2011
    ma che bel post :-/
    mi dispiace che sei gia' ripartito
    e' vero, quale sia la casa me lo chiedo spesso anche io, e non mi sono ancora risposta :-(
    ed e' assolutamente vero che in america ci sono tantissimi bambini :-)

    buone cose!

    marica

    #5 22:02, 04 ottobre, 2011
    Ho letto questo post 3 volte prima di riuscire a commentarlo...
    La prima volta piangevo (giuro), la seconda stavo ancora metabolizzando, alla terza eccomi qui!
    Vorrei dirti solo: GRAZIE!
    Nessun resoconto di viaggio, guida, racconto di amici mi ha mai toccato come hanno fatto i tuoi post.
    Ovviamente spero che questa non sia una fine...

    Mi piacerebbe anche linkare questo tuo post sul mio blog in modo che anche i miei amici possano leggerlo...ti darebbe fastidio?
    Pepita80

    #4 13:30, 04 ottobre, 2011
    Ancora una volta ho avuto conferma di cosa mi ha fatto innamorare di te (e a volte incazzare allo stesso tempo :) ). E scusami - anche se non è colpa mia, lo sai spero - se ti ho bruscamente fatto "riaccendere".

    P.

    #3 08:38, 04 ottobre, 2011
    Piove sul mio cuore come piove sulla città...
    Cos'è questo dolceamaro languore da cui il mio cuore è avvolto...?
    Traduzione, piuttosto libera, da Verlaine.
    Casa è dove il tuo cuore si trova, credo.
    Il che mi preoccupa, temo che presto le distanze che già ci sono tra noi diventeranno quasi infinite...
    Ma è giusto inseguire i propri sogni, quandio li si è trovati!
    Abbracci
    Luisa

    #2 20:57, 03 ottobre, 2011
    grazie: cinzia d'alessandro


    #1 20:50, 03 ottobre, 2011
    Dario. Grazie.
    Ho gli occhi pieni di lacrime....no ok ok, sto proprio piangendo.
    Questo pezzo è qualcosa di splendido.....ti giuro mi sono davvero emozionata a leggerlo...

    Confermo, nel mio piccolo, quanto hai scritto: sono tornata già da un mese e quando mi chiedono "cosa ti manca di più" non posso far altro che rispondere "la gente"....è impossibile per chi c'è stato rispondere diversamente...

    Mentre preparo il piano, combatto la nostalgia..

    A presto,
    Lau

    Ps. buon rientro, per quanto possa essere una cosa buona lasciare New York per tornare qui. :)
    Kiss

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  2. Forse dovrei venirci con te a NY per apprezzarla davvero.
    E forse io e te dovremmo sederci ad un tavolo davanti ad una buona pizza (DIO CHE VOGLIA... DI VERA PIZZA ITALIANA... QUI NON ESISTE!) e parlare. Io e te vediamo l'America con gli stessi occhi e con lo stesso entusiasmo, mi pare.
    Anche tu, mi par di capire, ami il loro modo di essere sempre educati e rispettosi del prossimo. Io adoro il loro rispetto profondo per la loro patria e per quanto posso non condividere certe scelte politiche (sono contro le guerre a prescindere, sono contro la pena di morte), io mi sono commossa il giorno della festa dei veterani. Mi commuovo quando entri in un negozio e ti salutano chiedendoti "come stai", che in fondo non costa fatica ma agli italiani pare di sì.
    Mi commuovo quando vado in giro e non vedo auto in seconda o terza fila parcheggiate per andare dal panettiere (anche il drive-thru aiuta!).
    Mi commuovo quando i miei figli, la prima volta la piccola aveva 5 anni, dopo 2 ore che erano su questa terra si sono accorti che:
    1) potevano attraversare la strada sicuri che le macchine si sarebbero fermate senza tranciarli;
    2) potevano camminare sereni guardando il panorama anziché dover guardare in terra per non calpestare "ricordini" sgraditi;
    3) potevano andare al ristorante certi di trovare al loro tavolo dei fogli e dei pastelli per colorare;
    4) nei musei, come nei centri commerciali c'erano sempre spazi ad hoc per i loro;
    5) ovunque si andasse avrebbero trovato dei bagni PULITI, con la cartaigienica e magari anche a misura di bambino.

    E sicuramente c'è dell'altro.
    Chiunque abbia un briciolo d'amor proprio e di coscienza, tornando in Italia dagli USA, torna sicuramente cambiato nel profondo. E spesso, come è successo a noi, fatica a riambientarsi.
    Mia figlia in particolare, nonostante, ripeto, avesse solo 5 anni la prima volta, spesso piangeva chiedendo di riportarla in america per sempre. L'ha fatto per 3 anni e alla fine... l'abbiamo accontentata!!!

    Basta, scusa sono prolissa ma amo parlare con chi sa ascoltare questi racconti.

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  3. Sogno di poter scrivere un libro... mi piacerebbe ma non sono esattamente brava. Ciò che scrivo ha un senso per me ma metterlo in modo che abbia un senso anche per un lettore sconosciuto... è tutt'altra cosa.
    Rendere interessante ciò che scrivo, catturare il lettore. Come sai fare tu. Un sogno.
    Be'... ora che ci penso a 43 anni ho realizzato il sogno che ho fin da quando ne avevo 8... magari realizzerò anche questo. Quando ero piccola con la MITICA VALENTINE scrivevo un giornale: "La Gazzetta di Famiglia" con tutti i racconti settimanali della nostra famiglia e me lo compravano tutti gli amici di famiglia per farsi 2 risate... Ops... sono andata fuori tema!!!

    Le cose sono andate così: quando siamo arrivati qui non avevamo la certezza che saremmo restati perché non c'era ancora un contratto. Siamo venuti per una vacanza mentre mio marito lavorava prestando le sue consulenze. E l'abbiamo vissuta come una vacanza. In un residence: in 4 in 2 stanze con 1 bagno e i miei figli che condividevano un divano letto a 1piazza e mezza. Per fortuna vanno d'accordo! Avevamo un piccolo cucinino a 2 fuochi e un frigo in cui potevano starci i miei figli comodi!!!
    Dopo 1 mese in albergo in California, costretti a mangiar fuori a pranzo e a cena... ho PRETESO di trovare un residence con kitchenette!
    Ad agosto ho iscritto i figli a scuola anche se non avevamo la certezza matematica di restare... ci volevano le vaccinazioni e ho promesso che avrei portato i certificati al rientro dall'Italia previsto per i primi di settembre.
    Dovevamo rientrare per un paio di settimane. Rientro obbligato se hai un visto turistico di 3 mesi.
    Fin dai primi giorni in Italia mi sentivo male, non riuscivo ad adattarmi. Ero depressa. Col pensiero che ancora non avevamo la conferma se saremmo tornati in USA o no...
    Atroce. Il caos, la maleducazione della gente, i prezzi, la falsità di certe persone... non la sentivo più casa mia e non mi piaceva. Gli amici, quelli veri, dispiaciuti di vedermi triste ma proprio non potevo mentire.
    Avevo le valigie in casa che non sapevo se dovevo metterle in cantina o dovevo riempirle. Facevo la spesa poco per volta per non rischiare di dover buttare tutto. I bambini che andavano a scuola ma volevano tornare alla scuola americana. E il tempo passava e da 10 giorni che dovevano essere siamo arrivati a 3 settimane... stavo impazzendo.
    Quando finalmente mio marito mi chiama. Mercoledì mattina: si parte venerdì all'alba.
    Nemmeno il tempo di andare a salutare i genitori a 150 km da noi...
    Finalmente il sorriso torna a splendere sul mio viso!

    Ora qui, mi sento davvero a casa!

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    1. ....e cosa si puo' dire di altro?...NIENTE. Niente, non ci sono altre parole.
      "Il caos, la maleducazione della gente, i prezzi, la falsità di certe persone... non la sentivo più casa mia e non mi piaceva."

      Sabato 22 Ottobre 2010. Milano, Piazzale Cadorna in attesa di un autobus. "Milano ci sta stretta. Milano è come un paesino di provincia di 4 case e 10 gatti".

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  4. Ancora una volta Ciao Dario.

    Mi ero ripromesso di leggere il tuo blog dall'inizio però non ho resistito a leggere prima questo post che mi ha fatto sorridere, entusiasmare e alla fine mi ha lasciato un magone fortissimo...una stretta al cuore...

    Non sono mai stato a New York e negli USA ci sono stato soltanto due settimane circa 13/14 anni fa (ero un ragazzino delle superiori) e sebbene non abbia vissuto le tue stesse esperienze (praticamente andavo ovunque con la mia famiglia) comprendo quella morsa alla partenza.. Quella tristezza, quel domandarsi qual è la propria casa.

    Tu in questo periodo sei riuscito a darti una risposta? Io ancora no...credo però di sapere che questa dove vivo non è la mia casa, non è la vita che vorrei.

    Riprendo la lettura =)

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  5. Accidenti, questo articolo mi era sfuggito... Quanto è toccante e quanto è vero, soprattutto ciò che si prova nel ripartire...
    Ed è difficile capire cos'è che rende attraente questo sogno: talvolta tendiamo a pensare che sia qualcosa di molto soggettivo, talvolta invece ci riconosciamo fin troppo nella nostalgia altrui e allora viene da pensare che ci sia davvero una magia speciale in certi luoghi e paesi...
    Magari incide anche il fatto che noi siamo una nazione in crisi, sotto quasi tutti i punti di vista anche se alcuni continuano ad amare l'Italia sminuendone i difetti... Quindi diciamo che secondo me si può capire di essere innamorati o meno di un Paese quando ci si accorge di amarlo proprio tenendo ben presenti i suoi difetti...

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  6. è sempre un piacere rileggere i tuoi scritti sugli usa e sulla città che non dorme mai

    ciao cristian

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