PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

lunedì 24 luglio 2023

Il cono di Antonio (o di Italo, o di Frank, o di Hernest, non si è capito bene...). Il cono dei tre cugini. Come un antico "m'ama, non m'ama...".

Che gli esseri umani siano geneticamente litigiosi non è una novità.
Che poi in particolare lo siano gli italiani, non ci stupisce certamente (giusto?).

Ma che anche l'invenzione del "cono" - inteso come "cono del gelato" - sia stata fonte, agli inizi del secolo scorso, di alterchi che hanno poi provocato financo cause e azioni giudiziarie, questa proprio credo che nessuno di noi potesse immaginarlo. 
Ma, appunto, quando ci sono di mezzo gli italiani sappiamo che non c'è da stupirsi troppo.
 
Come spesso succede in queste pagine, anche questa storia di Aria Fritta nasce agli inizi del 1900: per la precisione fra il 1902 e il 1903; anche se le origini della vicenda sono un po' confuse (e anche queste fonte di litigi...).

Intanto inizio a presentarvi i protagonisti di questo mio nuovo (e dolce...) raccontino: si chiamano Antonio, Italo e Frank


Antonio Valvona;
 e Italo e Frank Marchioni, questi ultimi fra loro cugini.

(Gloria eterna a loro! E nelle prossime righe capirete perché benedico la loro memoria...).

Dunque siamo agli inizi del 1900, quando nel Nuovo Mondo si era trasferito in cerca di fortuna il nostro amico Antonio, che, appunto, di cognome faceva Valvona: proveniva da Vodo di Cadore, in provincia di Belluno, dove di professione faceva il pasticcere.

 
Era pieno di idee, il nostro amico Antonio, e appena arrivò negli Usa capì immediatamente che quello era il luogo perfetto per chi in testa, di idee, ne aveva in cantiere e voleva realizzarle. 

Antonio, iniziò a produrre granite al limone, che venivano servite in piccoli bicchieri di vetro. 
Che ponevano però due problemi: il primo fu il materiale fragile, soggetto a pericolosi potenziali danneggiamenti. 
Il secondo è che sempre più spesso i clienti non li riportavano in negozio, portandoseli a casa. 
Con il guadagno che, dunque, si riduceva non poco. 

Da qui, l'idea di Marchioni: creare un contenitore sostitutivo commestibile e accostabile al gusto del gelato.
Come un biscotto, appunto. 

Il 3 giugno 1902, dunque, Antonio Valvona registrò a Nuova York il brevetto n. 701776: si trattava, dicono i registri dell'Ufficio Usa dei brevetti, di un "apparecchio necessario per la cottura di biscotti per gelato"

Qualche mese prima, giunto in America, il nostro amico Antonio aveva messo su una società con un suo compaesano, altro protagonista di questa storia: Italo Marchioni, originario di Peaio, che del comune di Vodo di Cadore è una frazione.

Anche questa, cari amici, è una storia di ragazzi, di ragazzi italiani d'altri tempi: pensate che Italo, infatti, aveva vent'anni quando dall'Italia arrivò ad Ellis Island in cerca di fortuna. 
Ve li immaginate, oggi, i nostri cocchi di mamma, emigrare in un altro continente a vent'anni? 

Italo si stabilì a Philadelphia, anche se dopo un po' di tempo si spostò a Nuova York.  

Ed era cugino di Frank Marchioni, anch'esso immigrato dalla stessa frazione del Cadore, con il quale (pare...) decise di registrare il brevetto di cui sopra.

Ora, come talvolta accade, fra i due cugini-soci iniziarono ad esserci discussioni e incomprensioni, che presto finirono in tribunale.
Frank infatti - già proprietario di una gelateria a Nuova York - accusò il cugino Italo di "violazione del brevetto". Il giudice però non gli diede ragione: rigettò il ricorso affermando che lui aveva semplicemente ri-brevettato nel dicembre del 1903 - un anno dopo, dunque - quel "biscotto a forma di cono".

Che è financo esposto al celeberrimo Moma di Nuova York.










Nella vicenda, poi, nel 1904 si inserì un terzo protagonista in questa storia: un pasticciere emigrato da Damasco, Siria, che si chiamava Hernest A. Hamwi e che vendeva dolci e biscotti alle fiere americane. 
Al quale, un giorno, proprio ad una fiera, Italo Marchioni - rimasto sprovvisto di piattini sui quali era solito vendere i suoi gelati - gli chiese aiuto: fu così che il pasticcere siriano si inventò, sul momento, uno strano "biscotto a forma di cornucopia".


Della vicenda esiste però un'altra versione, questa volta diffusa nientemeno che dall'italiana "Associazione Internazionale dei Produttori di Gelati": secondo la quale la storia dei coni gelato iniziò alla Fiera Mondiale di St. Louis (Missouri) del 1904.

Solo che le date parlano chiaro e mettono (parziale) ordine alla "vexata questio": la Fiera di St. Louis, infatti, si svolse nel 1904, mentre - come si può evincere dai registri dell'Ufficio Brevetti di Nuova York e 
come possiamo leggere nel progetto - la data di presentazione del brevetto risulta essere il 15 dicembre 1903.

brevetto del cono gelato

Ciò che ha provocato gli equivoci sulla paternità del "cono gelato" è che nel 1903, all'Ufficio Brevetti di Nuova York, Italo Marchiony (il cui cognome venne come al solito "americanizzato") presentò la domanda n. 701776 per brevettare lo stampo necessario per fabbricare coppe e cialde per gelati.
I
ndispensabile - si leggeva nella descrizione del prodotto che veniva brevettato - per "manipolare e modellare comodamente la pasta in forme insolite e finora mai create, a causa della delicatezza della sostanza e dalla difficoltà di staccare poi la sostanza dagli stampi".

Ecco dunque l'origine della controversia: il nostro Italo non brevettò tanto il cono, ma lo stampo per realizzarlo. Ma quando negli Usa ci sono di mezzo i soldi, si sa, occorre essere precisi. 

Il problema è che Frank - il cugino divenuto nel frattempo "ex socio" - si alterò comunque non poco e decise di rivolgersi alla magistratura. 
Una controversia che nel frattempo aveva coinvolto altri produttori di coni, tanto per complicare la vicenda.

Fino al 1914, quando la Corte d'Appello Federale di Philadelphia decise una volta per tutte che il brevetto di Frank Valvona "non impediva ad altri di creare differenti tipi di stampi"
Classica sentenza da Ponzio Pilato.

cono gelato

 


















Nel 1929, poi, altro brevetto, con Antony Marchiony che registrò il progetto di una
"macchina rotante" in grado di creare e produrre coni gelato "su larga scala"

La sconfitta legale subita da Italo Marchioni non ne intaccò comunque la sua fama, tanto che alla sua morte - avvenuta il 29 luglio 1954 - il quotidiano "New York Herald Tribune" definì il nostro Italo "ideatore del cono gelato"


Ma si sa, non raramente noi giornalisti, al posto di fare chiarezza, facciamo confusione.

E ora - indirizzando un deferente ed equanime pensiero agli illustri connazionali Antonio, Italo e Frank - mi alzo per andare alla gelateria qui, dietro casa, per gustarmi un bel cono gelato (che comunque non sarà mai come quelli del mio amico Stefano, che ha portato il vero gelato italiano negli Usa...).

Con ogni morso che sarà dedicato a ciascuno di loro. 
E agli Stati Uniti d'America. 
Fino a giungere all'ultimo morso, sempre foriero di verità. 

Anche se l'unica verità certa è che il gelato, poi, finisce, accidenti...


© dario celli. Tutti i diritti sono riservati 

mercoledì 19 luglio 2023

L'invenzione di Willis


La cosa che mi fa sorridere è il nome del luogo dove ha inizio questa nuova nostra piccola storia americana: Angola.

Ovviamente, cari amici di Aria Fritta, non sto parlando della nazione dell'Africa meridionale, bensì di un paesino dello Stato di New York, che si chiama proprio Angola, appunto.
Come forse saprete, negli Stati Uniti sono numerose le cittadine che alla loro fondazione vennero chiamate con nomi di nazioni o di  città presenti in altri continenti, magari proprio perché fondate da emigranti provenienti da quelle regioni.
Non è questo, però, il caso. 

 

In verità negli Stati Uniti esistono due città con questo nome: una è nell'Indiana, l'altra (quella dove vi porto con questo raccontino e della quale ho trovato la foto di qui sopra) è nello Stato di New York. 
Dico subito che non ci sono mai stato, ma dalle immagini che ho potuto vedere in rete mi pare proprio una cittadina carina.

La nostra Angola, NY, fu fondata lungo la "Us Route 9" nel 1873 da 225 coloni giunti in quegli anni dall'Europa.
Oggi - o meglio, al censimento del 2000 - conta invece 2266 abitanti che vivono in 
844 famiglie. 
In realtà, in questo caso, pare che il nome sia stato scelto perché durante gli anni della sua fondazione la gente del luogo - cristiani protestanti "quaccheri" - sosteneva gli sforzi di missionari che da lì erano partiti per avviare la loro opera di evangelizzazione nello Stato africano dell'Angola, appunto. 

Come spesso è successo negli Stati Uniti, la svolta demografica, per la piccola Angola, avvenne contemporaneamente al passaggio della linea ferroviaria nel suo territorio, sulle bellissime rive del lago Erie. 

Ed è qui che, nel 1876, nacque il nostro nuovo amico di oggi: Willis Haviland Carrier

E che, soprattutto in questi giorni, dovrebbe essere santificato. 

Bisogna dire che il nostro amico, fin da ragazzino, amava la matematica, anche se - narrano le sue biografie - poi ereditò dalla madre la passione per la meccanica: pare che il giovane Willis si divertisse, infatti, a riparare e a rimettere in funzione, orologi, macchine da cucire ed elettrodomestici vari.


All'inizio del secolo scorso, nel 1901, dopo aver vinto una borsa di studio sei anni prima, si laureò infatti alla Cornell University (che possiamo vedere nella foto qui sotto) proprio in "Ingegneria meccanica"

Fu dopo la laurea che il nostro Willis iniziò a lavorare per la "Buffalo Forge Company", azienda che produceva fucine da fabbro, ma anche perforatrici, motori a vapore e pompe; lì, lui, progettava in particolare sistemi di riscaldamento per l'asciugatura di legname e caffè.

Pensate, cari amici: la sua prima invenzione importante lui la concepì a 25 anni: si trattava di un sistema di raffreddamento per controllare (badate, io non capisco una cippa in materia...) "calore e umidità nei processi di stampa"

E anche se Latimer Lewis - inventore e scienziato afroamericano del Massachusetts - nel 1886 presentò la prima domanda di brevetto di un macchinario "atto a raffreddare l'aria", il nostro Willis Haviland Carrier insieme ad alcuni colleghi, nel 1906 brevettarono un vero e proprio sistema di aria condizionata che installarono in un gigantesco stabilimento tipografico, lo "Sackett&Wilhelms", di Gran Street a Brooklyn, Nuova York. 
Il primo posto di lavoro della storia dotato, nel mondo, di aria condizionata.

Lui raccontò che ebbe l'intuizione osservando nella stazione ferroviaria di Pittsburg i treni che passavano nella nebbia e fra il vapore, da loro stessi provocato.


Fu lì che il nostro genio intuì - osservando appunto il vapore dei treni che saliva dai binari - che (anche qui semplifico...) si sarebbe potuto "seccare" la nebbia facendola passare "attraverso" l'acqua. 
Intuì che sarebbe anche stato in grado di controllare umidità e temperatura, se solo avesse trovato il modo di "comprimere l'aria fino allo stato liquido raffreddandola e rivaporizzandola" così da poterla poi distribuire in un ambiente chiuso.
Fattore che avrebbe ridotto sia la temperatura della stanza, che il suo grado di umidità. 
Salvando così i lavori e la produttività dello stabilimento. 

Vabbé: mai una intuizione fu così geniale! 

La vera svolta avvenne però nel 1914, quando Willis Carrier installò il primo impianto per aria condizionata in un'abitazione privata di Minneapolis, in Minnesota, (un affare che gli fruttò ben 35mila dollari!) e dopo che la sua invenzione venne installata prima negli ospedali pubblici americani e poi, piano piano, nelle abitazioni civili.  

Fu a quel punto che Carrier e altri sei colleghi ingegneri fondarono in New Jersey - era il 1915 - la "Carrier Engineering Corporation". Che successivamente installò i suoi impianti di refrigerazione anche (ma solo vari decenni dopo) nelle sedi del Senato e della Camera dei Rappresentanti di Washington, il Parlamento americano.

Impianti di climatizzazione che, piano piano, vennero introdotti nei luoghi di lavoro, favorendo tra l'altro un deciso aumento della produzione, rendendo così il lavoro in estate più sopportabile e umano. 
E nei teatri, a partire dal Memorial Day del 1925; quando il Rivoli Theatre di Midtown Manhattan, primo a Nuova York, lo adottò: e fu una idea geniale, perché prima di allora restava chiuso in estate, così come tutte le
sale cinematografiche.
Fu un successo, con i cinema che durante le torride estati di Nuova York si riempivano di spettatori paganti alla ricerca (anche) di un luogo fresco. 
Poi gli impianti si diffusero nelle abitazioni e negli appartamenti dei condomini americani. E poi nei negozi e nei ristoranti, con il loro utilizzo che a noi italiani forse appare un po' smodato ed eccessivo.

Nel 1930 il grande salto verso Oriente, con la "Carrier Engineering Corporation" che aprì filiali in Giappone e in Corea del Sud. 

E proprio in Giappone, nel 1937 venne la volta della prima nave: fu la Koan Maru, ad essere la prima imbarcazione completamente climatizzata al mondo.  

Oggi la Carrier Corporation è la più grande società al mondo che 
produce impianti di ventilazione e condizionamento, con 51 stabilimenti, 53 mila dipendenti, 39 centri di ricerca e progettazione, in più di 180 Paesi.
E' leader nella refrigerazione commerciale, con un fatturato, nel 2022, di 20 miliardi e 42 milioni di dollari. 

Il nostro 
Willis Haviland Carrier morì nel 1950 a Nuova York.

La rivista americana Time lo ha inserito tra i primi venti scienziati americani nella storia degli Stati Uniti
E non a torto, mi sento di dire. 

Oggi si calcola che l'87% delle abitazioni americane siano dotate di aria condizionata.

Secondo una ricerca del prof. Michael Sivak dell'Università del Michigan, gli americani preferiscono una temperatura media intorno al 21° centigradi, condizione termica ritenuta invece troppo bassa dagli europei. 
E lo sappiamo bene ogni qualvolta mettiamo piede negli Usa. Con il collega Gwyn Prins, dell'Università di Cambridge che a proposito dell'amore degli americani verso l'aria condizionata ha parlato di una "epidemia pervasiva e inconsapevole".

Secondo i dati dell'Agenzia internazionale dell'energia, oggi, nel mondo, sono in funzione più o meno due miliardi di condizionatori d'aria.
Senza tenere conto, ovviamente, di quelli montati sugli autoveicoli. 
Secondo l'Istat - l'Istituto italiano di Statistica - in Italia, invece, soltanto la metà delle famiglie italiane dispone di un apparecchio per il condizionamento dell'aria in casa. 

Naturalmente c'è chi critica l'uso e l'esistenza dell'aria condizionata: ci sono coloro che ricordano che i gas refrigeranti che vengono utilizzati (Cfc e Hcfc) contengono cloro che favorirebbero il "buco nell'ozono", che però si starebbe chiudendo, secondo recenti ricerche.
Poi ci sono coloro che ricordano che gli Hfc utilizzati sono gas serra che contribuirebbero al "riscaldamento terrestre". 

E' anche vero che durante le ondate di calore - come quella che ci sta investendo in questi giorni - l'aria condizionata è un vero e proprio "salvavita", in particolare fra gli ultra 65enni: con le statistiche dimostrano che favorisce il 17% di ricoveri in meno per coloro che sono affetti da patologie cardiovascolari e respiratorie, rispetto alle comunità che utilizzano meno condizionatori. 

Recentemente in Florida, per esempio, 4 giorni di rottura dell'impianto dell'aria condizionata in una casa di riposo (con la temperatura interna che è salita a 31°) 21 pazienti su 89 sono stati investiti da "colpi di calore" con febbri oltre i 38°, provocando la morte di 5 anziani.

Guardo il termometro di casa e mi rendo conto che in questo momento all'esterno ci sono 41,2°, mentre in casa la temperatura è 26,8°, certamente più gradevole. 

E tutto grazie all'invenzione di Willis.

Al quale - come ha detto proprio ora, Mary Cacciola di Radio Capital che mi tiene compagnia mentre scrivo - dovrebbe essere assegnato quanto meno un bel Premio Nobel alla memoria.

Che Dio lo abbia in gloria.


© dario celli. Tutti i diritti sono riservati