PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

giovedì 20 giugno 2019

Dall'Italia noi siam partiti...



Tra il 2006 e il 2018 gli italiani residenti all'estero sono aumentati di 578mila unità (+64,7%) con gli iscritti all'Aire (Anagrafe italiana residenti all'estero, alla quale, ovviamente, non si iscrivono tutti coloro che decidono di lasciare l'Italia) che sono passati da 3.100.000 a 5.100.000

Al 2018, i cittadini italiani residenti all'estero sono l'8,5%.
Con un incremento del 2,8% nel solo ultimo anno;

del 6,3% nell'ultimo triennio;
e del 14,1% nell'ultimo quinquennio.

Nel 2017, 243.000 italiani hanno chiesto l'iscrizione all'Aire, il 52,8% per espatrio.

Il 37,4% (circa 48mila) ha tra i 18 e i 34 anni.

Le prime cinque provincie della nuova diaspora italiana sono Milano, Roma, Genova, Torino e Napoli.

Le prime regioni, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Sicilia e Puglia.

Nel periodo da gennaio a dicembre 2017, gli italiani che si sono trasferiti all'estero sono andati in 193 località del mondo.


Principalmente in Europa (70%), poi nelle Americhe (22,2%) con il 7,5% che hanno scelto gli Stati Uniti. 


Per quanto riguarda l'Europa, la Germania (20.007) è tornata ad essere, la destinazione preferita sorpassando il Regno Unito (18.517) e la Francia (12.870). 


Complice, probabilmente, la Brexit, il Regno Unito registra un decremento dei trasferimenti italiani del -25,2%.
Mentre - probabilmente per la tassazione favorevole per i pensionati italiani - il Portogallo registra la crescita più importante, +140,4%.

A questo proposito, i "migranti previdenziali", i pensionati italiani che si trasferiscono all'estero, scelgono principalmente Marocco, Thailandia, Spagna, Portogallo, Tunisia, Santo Domingo, Cuba, Romania.

Sono aumentati gli italiani in Brasile (+32,0%), in Spagna (+28,6%) e in Irlanda (+24,0%). 

A lasciare l'Italia sono soprattutto i giovani (37,4%) e i "giovani adulti" (25%). 
Ma le crescite più importanti, si registrano fra gli ultra cinquantenni (+20,7%) e fra i 50-64enni (+35,3%).

Dati del "Rapporto italiani nel mondo 2018" della Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale italiana.
Il Rapporto completo, QUI.


© dario celli. Tutti i diritti sono riservati

lunedì 10 giugno 2019

La triste parabola della quercia di Aisne


Proveniva dalla foresta francese dell'Aisne, Alta Francia, teatro durante la Prima Guerra Mondiale (nella quale gli Stati Uniti entrarono il 6 aprile del 1917) di una terribile battaglia svoltasi fra il 26 maggio e il 7 giugno 1918.
Fu la prima battaglia che le truppe americane combatterono a fianco della Francia contro gli austriaci. 

"Terribile" perché soltanto in quei 12 giorni di guerra fra quelle querce, morirono ben duemila soldati Usa


In ricordo di quell'evento di solidarietà storica, nel corso della sua recente visita negli Stati Uniti, il Presidente francese Emanuel Macron donò agli Stati Uniti un giovane esemplare di quercia proveniente proprio da quella foresta.

L'esemplare, piuttosto esile, fu piantato nel corso di una cerimonia simbolica lo scorso 23 aprile nel prato della Casa Bianca: con i due Presidenti, Macron e Trump che, alla presenza delle consorti, ci davano giù di vanga.

La giovane quercia francese deve aver però mal sopportato il lungo viaggio.
O la nuova destinazione.

In evidente crisi, qualche settimana dopo è infatti stata espiantata per essere ricoverata in una serra, dove le sono state prestate le cure necessarie.
Ma non ce l'ha fatta. 

Oggi siamo venuti a sapere che la quercia dell'amicizia franco-americana è morta.

La Casa Bianca le è stata fatale.



© dario celli. Tutti i diritti sono riservati

sabato 8 giugno 2019

Le fragole di Erica.


Cari amici, vi presento Erica Alfaro, la protagonista di questa nuova storia di "Aria Fritta". 


Vive in California, ha 29 anni, e qui la vediamo nella classica foto ricordo - con tanto di tocco e toga - il giorno della sua laurea. 
Guarda dritto negli occhi, con uno sguardo davvero soddisfatto, radioso, fiero, direi. 


Che strana foto, però, per un ricordo di laurea.
Non l'ha fatta nel - peraltro bellissimo - campus della San Marco California States University, dove lei ha studiato e discusso la sua tesi in psicologia.
Finita la cerimonia, infatti, ha chiesto ai suoi genitori - orgogliosi ed impazienti di immortalare quel momento nella memoria del telefonino - di seguirla.

Fino al parcheggio dell'Università.
Dove, con loro un po' stupiti, li ha fatti salire in auto.

Il padre e la madre non fecero obiezioni (d'altronde, quello, era il gran giorno di loro figlia!). Certo si chiedevano cosa significasse tutto ciò e dove diavolo la loro "bambina", che aveva appena preso il master, li stesse portando.

Partiti, capivano sempre meno, mentre si allontanavano sempre di più dal campus.

Poi da quel quartiere.

Poi addirittura da San Diego...

"Ma dobbiamo solo fare una foto!", le dissero loro sorridendo e assecondandola, però.

Capivano sempre meno...
E ancor meno quando la loro ragazza alla guida prese la Ronald Packard Parkway, poi la Us 78 e in direzione nord, la Interstate 5. 
Che in quel tratto si chiama San Diego Freeway.

Ma dove diavolo??

Poi...

Poi improvvisamente, quasi nello stesso istante, tutti e due i genitori spalancarono gli occhi!

Tutto fu improvvisamente a loro chiaro quando, nei pressi della Pio Pico Drive, la loro Erica - sempre alla guida in silenzio e sorridendo - prese l'uscita 50 per Carlsbad.

E in un istante gli occhi spalancati dei suoi genitori si gonfiarono di lacrime.

Oh sì... 

Oh sì che Claudio Alfaro e Teresa Herrera conoscevano quella strada!
L'avevano percorsa centinaia, migliaia di volte nel corso della loro vita. 

In quella parte della seconda vita. 

Claudio e Teresa, 51 e 50 anni, la prima parte l'avevano vissuta a Oaxaca de Juárez, coloratissima - ma poverissima cittadina del Messico, che detiene la non invidiabile sesta posizione nella classifica nazionale di cittadina con la peggiore qualità della vita.  



Oaxaca de Juárez che era distante duemila miglia da San Diego.
Più o meno 3.400 chilometri, più a sud.

Là non avevano nemmeno potuto fare le scuole elementari: perché c'era bisogno anche delle loro piccole braccia per mangiare e vivere.

Poi, da adulti, la scelta - obbligata, drammatica - di andarsene.

Andarsene a cercare una vita migliore. 

Una vita, finalmente, con un possibile futuro. 

Pensate che quando nel 1990 arrivarono clandestinamente in California, i genitori di Erica erano analfabeti e parlavano solo il "mixtec" il dialetto delle montagne messicane. 

Giunti negli Stati Uniti, Claudio e Teresa si misero subito a lavorare, senza sosta, nei campi: la sola cosa che sapessero fare. Accettando di buon grado le dieci, dodici ore di fatica nella campagna californiana.

In California, la coppia aveva trovato casa a Oceanside, che sì ha una spiaggia bellissima di fronte all'oceano, ma che loro vedevano manco con il binocolo.
Altro che mare e palme: la campagna di quell'entroterra è semplicemente campagna.
Campi coltivati e basta.

Ma lì oltre che un lavoro adesso avevano anche una casa. La loro casetta americana con due stanze.
Piccola ma molto carina, era condivisa con un'altra famiglia, messicani come loro.
Una stanza per famiglia. 
Undici persone in due stanze.

Erica, al mattino andava a scuola con i suoi due fratellini. Poi, al pomeriggio, via a lavorare nei campi: "Secondo la stagione, raccoglievamo fragole, lamponi, pomodori... E più raccoglievamo, più ci pagavano. 
E a noi i soldi servivano per pagare l'affitto e mangiare". 

L'inizio del loro sogno americano fu piuttosto turbolento: ad un certo punto i genitori di Erica, infatti, dovettero lasciare gli Usa perché dovevano aspettare in Messico l'esito della domanda di naturalizzazione, in quanto parenti diretti di una cittadina americana. Si stabilirono così nella città messicana attaccata al confine americano: Tijuana. 
In quel modo la piccola Erica - nata negli Usa e dunque cittadina americana - poteva continuare a frequentare la scuola a San Diego, in America, dall'altra parte del confine.

A 15 anni l'ormai adolescente Erica vede in un venticinquenne l'amore della vita e la via d'uscita. E, incinta, sposa quel giovane, ovviamente abbandonando la scuola. 
Ma il sogno romantico di ragazzina si trasformò presto in un incubo: a suon di urla, insulti, schiaffi, calci. 
Sempre più quotidiani.
"Sogno" che cessò definitivamente quando lui la cacciò da casa. 
Via, fuori: lei e il bambino. 
Prendete la vostra roba e andatevene.

Erica ricorda bene quel doloroso, faticoso, periodo  che seguì: "Non vedevo via d'uscita, mi sentivo frustrata, e mi lamentavo in continuazione. D'altronde ero una ragazza, che di giorno lavorava in campagna, con un  piccolo che la notte non mi faceva dormire. 
Un inferno...
Ed io ero sempre uno straccio"

Fu la madre - saggia come sanno essere tutte le mamme - a dirle che c'era una sola soluzione per rompere quel circolo vizioso, fatto di lavoro, 
figlio, 
sonno che manca, 
sveglia all'alba, 
lavoro, 
figlio, 
e ancora quel sonno, che mai era abbastanza:
"Sappi che la tua vita sarà sempre così, d'ora in poi. 
Hai una sola possibilità per uscire da quest'inferno: studiare. 
Studiare e farti una posizione".

Cavoli, cari amici di Aria Fritta, siamo sinceri: quante volte ci siamo sentiti dire esattamente questa cosa noiosa dai nostri genitori? 

Ed Erica capì che in effetti, per lei, studiare era forse davvero l'unica soluzione. 
La sua unica "uscita di sicurezza".
L'unica possibilità che aveva per cambiare vita.
Ma sì, diciamolo: per emanciparsi. 

La signora Teresa, la mamma di Erica, non poteva certo conoscere don Milani, che nel lontano 1965 - dall'altra parte del mondo, a migliaia di chilometri, in Italia, in una minuscola frazione persa fra le montagne toscane - espresse con chiarezza il concetto ai suoi alunni della scuola di Barbiana, tutti ripetutamente respinti dalle nostre scuole, tutti figli di contadini e montanari analfabeti:
"Guardate, l'operaio sa cento parole, il padrone ne sa mille: ed è per questo che è lui, il padrone...". 

Erica, per fortuna, quella volta stette ad ascoltare sua mamma: prese coraggio e ricominciò da capo, iscrivendosi, a 17 anni, ad una scuola serale di San Diego.
Andando così, ogni giorno, avanti e indietro (da sola) fra il  Messico e gli Stati Uniti
Di giorno andava al lavoro in campagna con i suoi genitori, che erano ancora in Messico, in attesa di ricevere i documenti per vivere regolarmente con lei negli Usa grazie al "ricongiungimento familiare"; 
di sera, finita la giornata di lavoro, attraversava il confine per frequentare, a San Diego, in California, una scuola serale, finita la quale, ritornava a casa, a Tijuana, quando ormai era notte.  

E lì, in Messico, finalmente stava un po' con il suo bambino, che i nonni accudivano in sua assenza. Giusto il tempo di addormentarlo e sprofondare anche lei, in pochi secondi, finalmente nel sonno. 

Che periodo, quello! 
Sopra al suo letto, per farsi coraggio, aveva attaccato al muro un foglio con su scritto, in caratteri belli grandi: 
"La peor derrota es darse por vencido". 

"La peggior sconfitta è darsi per vinti".

Era il suo incentivo quotidiano, la frase che lei leggeva nei momenti di stanchezza, quando avrebbe voluto mollare tutto e fermarsi.

Ma lei non voleva assolutamente darsi per vinta. 

Anche perché, come spesso succede quando si inizia ad agire, ad un certo punto le cose iniziarono a prendere la direzione giusta

Intanto la domanda di ricongiungimento dei suoi genitori fu approvata, con loro che così poterono tornare a vivere tutti insieme negli Usa, in California. 

Poi, finalmente, arrivò il diploma.
E che festa, quel giorno, con il suo bambino...

 
Ma Erica, a quel punto, sapeva che non doveva, non poteva fermarsi.

Voleva di più, farla tutta, quella strada. 
Così arrivò il passo successivo: l'iscrizione all'Università. 

Università della California alla quale arrivò grazie ad una borsa di studio, e che Erica frequentò anche quando il suo piccolo venne colpito da una terribile paralisi cerebrale. Una situazione che, ovviamente, si ripercosse sul suo rendimento scolastico.
"Le spese erano sempre maggiori e i voti ne risentirono...", ricorda. 

Ma niente: lei non mollò nemmeno quella volta.

Ci mise sette anni per laurearsi, Erica Alfaro. 
Ma quando arrivò al traguardo, quel 19 marzo 2017, era come se avesse dimenticato d'incanto tutta la sofferenza, la fatica, i sacrifici fatti.
Ora - solo ora - tutto ciò che era successo nella sua vita iniziava ad avere un altro senso. 
Adesso sì che iniziava a vederlo, il senso.

Cari amici: dovevate vedere - ma certamente la potete immaginare - l'espressione dei genitori di Erica quando le venne consegnata la pergamena. Piangevano, piangevano a dirotto che quasi sembrava fosse successo loro una disgrazia...

La loro bambina laureata!
La prima laureata nella storia della famiglia Alfaro... 
Laureata e per di più in un'università degli Stati Uniti d'America!

E in quei momenti, la nostra Erica dimenticò d'incanto tutta la sofferenza, la fatica, i sacrifici fatti.
In quel momento si rese conto che lei voleva di più. 
Tutto quello non le bastava.
Voleva continuare, voleva raggiungere anche il master, e dunque, ancora una volta timidamente, presentò domanda per entrare alla San Diego State University.

Che il maggio dell'anno scorso le inviò questa lettera: 
"Cara Erica Alfaro, congratulazioni e benvenuta!
We look forward to working with you...
Non vediamo l'ora di lavorare con te...". 


Così siamo ai nostri giorni, amici. 
A qualche giorno fa, quando la nostra Erica ha conquistato anche il master in "Formazione e Psicoterapia"...

Il lungo racconto della vita di Erica ci ha portato indietro con gli anni, ma eravamo nella sua auto, ricordate?, con lei che finita la cerimonia di consegna del master stava portando i suoi genitori chissà dove per fare la benedetta foto ricordo.
L'avevamo lasciata sulla Pio Pico Drive davanti al bivio per l'uscita 50, quella per Carlsbad, con gli occhi dei suoi genitori che, tempo un secondo, si erano riempiti di lacrime quando avevano capito dove la figlia voleva fare quella foto.

Ecco dove voleva farla, la foto!
Ormai lo avevano capito: quelli erano i campi dove loro, da anni, stavano ore piegati a raccogliere lamponi, pomodori, fragole... 

La foto ricordo per il conseguimento del master sarebbe stata fra i campi di fragole di Carlsbad.

Nessun altro posto sarebbe stato migliore. 
Nessun altro luogo avrebbe potuto ricordare meglio la sua fatica, quella dei suoi genitori, i suoi sogni di ragazza.
I sogni della famiglia Alfaro.

E guardate che espressione fiera aveva il padre mentre, con gli occhi ancora increduli, guardava commosso la sua bambina e continuava a ripetersi "Mia figlia con un master! Una Alfaro con il master!"
              

Vi devo confessare una cosa, cari amici: prima di scrivere questo racconto ho fatto, "in punta di piedi", un'incursione nella sua pagina Facebook. Ed è lì che ho preso queste foto, che Erica ha deciso di condividere, qualche giorno fa, con tutto il mondo, raccontando la sua storia.

                                                                               
Immagini accompagnate da queste parole: 

"Con immenso amore, dedico la laurea e il mio master ai miei genitori, emigrati fra mille difficoltà negli Stati Uniti d'America per darmi un futuro migliore.

Dedico la laurea e il master a loro e ai loro immensi sacrifici. 

Se condivido pubblicamente queste foto personali, è per incoraggiare tutti gli studenti illegali e senza documenti, così come le ragazze diventate madri troppo presto o le donne vittime di violenze domestiche, a credere nel futuro e a battersi per finire gli studi. 

Ce la potete fare.
Ce la potete fare davvero.
Come ce l'ho fatta io...". 

...

Già, avete letto bene: la nostra Erica ha proprio scritto "studenti illegali e senza documenti"

A qualche illustre nostro ministro (ex...) verrebbe un colpo al sapere che oggi negli Stati Unit d'America ci sono 200-225mila ragazzi illegali, clandestini, senza documenti che frequentano ogni giorno regolarmente le scuole americane: dalle elementari all'università.

Senza che queste scuole pretendano da loro qualsivoglia documento.
Perché più delle regole burocratiche è importante che loro studino.

Tutti per diventare come Erica, la nostra amica "radical chic" che voleva la sua possibilità di rivalsa.

Non sapete quanto vorrei vedere la vostra faccia, in questo momento, cari lettori di Aria Fritta.
E la sua.

Comunque, se vi interessa, di questi ragazzi ne ho scritto QUI.




© dario celli. Tutti i diritti sono riservati