PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

domenica 27 maggio 2012

Questa l'avevo completamente dimenticata...

"'Se stiamo insieme
magari ci diamo la mano.
Ho qualche dollaro ancora con me'.
Ci comprammo le paglie e poi 
un paio di brioches
per attraversare l'America...

'Katy', io dissi salendo sul pulman di Pittsburg,
'il Michigan sembra un bel sogno, oramai.
Per arrivarci ci ho messo già un secolo
ed ora giriamo l'America...'
Quelli intorno a noi sembravano finti,
lei disse 'l'uomo vestito di grigio è una spia,
con la cravatta o la penna ti fa la fotografia...'.

'Dammi una cicca se te n'è rimasta qualcuna,
l'ultima l'ho già fumata da un po' ',
guardai fuori dal tetto e lei leggeva accanto a me
e la pioggia cadeva in America...

'Katy, son perso', le dissi malgrado dormisse,
'mi sento un gran vuoto qui dentro di me...'.
Contai le macchine che circolavano
e tutte cercavan l'America,
tutte cercavan l'America,
tutte cercavan l'America..."

"L'America", Bruno Lauzi (1973)
dedicata a Paul Simon


sabato 26 maggio 2012

Vi ricordate di Mathias Rust?

Avete presente quando uno legge una cosa (di un caro collega, per di più...) e pensa, dopo averla letta, "Cazzo, avrei voluta scriverla io, e scriverla così...".
Ecco.
E' il caso di questa storia, scritta dal mio amico e collega Marco Bariletti.


Vi ricordate di Mathias Rust?


http://marcobariletti.com/2012/05/26/il-volo-invano/




mercoledì 16 maggio 2012

La New York di (da) sopra e di (da) sotto...

Narra la storia che un giorno del 2001, un oscuro geometra dell'amministrazione di New York fu mandato a fare un sopralluogo per verificare i modi, i tempi e i costi dello smantellamento dell'ultima vecchia linea di metropolitana sopraelevata di Manhattan.
O meglio, di quel che rimaneva.
 

Per più di cinquant'anni - dal 1920 alla fine degli anni '80 - questa linea ferroviaria sopraelevata, costata 150 milioni di dollari di quei tempi, è servita per rifornire New York di derrate alimentari (latte e carne, soprattutto) e materiale da costruzione che arrivavano dall'oceano con le navi che percorrevano controcorrente l'ultima parte del fiume Hudson.
Qui, poi, si trovava il "Meatpacking district", il distretto del "macelli", dove la carne appunto veniva sezionata, confezionata o smistata nelle macellerie della città o al Chelsea market, il mercato coperto sopra il quale i binari scorrevano.

Dal progressivo disuso degli anni '60 si è arrivati alla chiusura del 1980 - per ovvi motivi di sicurezza e di inquinamento acustico - con conseguente blocco degli accessi e inevitabile abbandono.

Finché, dopo vent'anni appunto, quell'oscuro geometra dell'amministrazione fu inviato per fare i primi conti di quanto sarebbe costato lo smantellamento dell'intera struttura di ferro e cemento lunga chilometri a una decina di metri di altezza fra la 20a st. e Gransevoort St. nel Meatpacking district, appunto.

 






















(Thank's thehighline.org)

Dunque questo sconosciuto signore, un giorno del 2001 si trovò a riaprire uno dei lucchetti che chiudevano uno dei cancelli d'accesso. Salì le scale di ferro un po' arrugginite dal tempo e arrivò in cima, sulla ferrovia.

Che in vent'anni era stata "mangiata".
                          
I binari, infatti, erano quasi spariti: avvolti, mimetizzati, da una vera e propria foresta selvaggia cresciuta in quei dieci anni. 
Erba, cespugli, fiori selvatici, financo veri e propri alberi, nati da semi volanti.
(Thank's The Last Walkman)

Non conosco il nome dell'oscuro impiegato comunale, ma sappiamo che vedendo quella natura selvaggia che aveva preso il sopravvento e passeggiandoci dentro, ebbe un'immediata illuminazione: "Ma perché smantellare tutto spendendo un sacco di bigliettoni verdi? Ma questo è un bellissimo parco!"

Peraltro, quella, era una richiesta che a gran voce in quegli anni portavano avanti quelli dei Friends of the High Line, comitato di cittadini della zona che chiedevano la "salvezza" della vecchia High Line, che osservavano dalle finestre o nel corso di incursioni più o meno clandestine.
 
Dunque, la decisione venne presa: il Comune pubblicò il bando di concorso che venne vinto dalla collaborazione di due studi d'architetti.
Nel 2009, l'inaugurazione.
Saliamo insieme?
Una struttura splendida, una idea originalissima e davvero organizzata in modo meraviglioso: una delle più belle "cose" che io abbia visto a New York negli ultimi anni.

Organizzata alla perfezione, dicevo: con il verde curato nei minimi dettagli (rispettando anche la flora selvaggia nata spontaneamente), manutenzione costante da parte di giardinieri, ascensori sempre funzionanti per l'accesso ai disabili, servizi igienici pulitissimi, sorveglianza dall'apertura - alle 8 del mattino - fino alla chiusura, alle 22.

E' una passeggiata di alcuni chilometri nel verde a dieci metri d'altezza, dalla quale si gode, da una parte, il panorama ad est, sull'ultima parte dell'Hudson,  e dall'altra la parte centrale di Manhattan: con l'Empire State Building che svetta.

Panchine e lettini di legno sono a volte posate sui binari originali dei treni, con le ruote alla base che permettono l'eventuale avvicinamento o l'allontanamento.  
Questo "anfiteatro", capovolge la normalità. Qui ci si può riposare osservando uno spettacolo sempre diverso: la vita di New York che scorre viva sotto.





Un percorso che si snoda fra nuove costruzioni nate proprio durante o dopo il recupero della linea. Facendo immediatamente rivalutare tutta la zona. 
Ma anche, un po', le tasse di chi abita in questa zona, visto che mantenere l'High Line, costa...

I chilometri del parco pensile più lungo del mondo si insinuano fra i palazzi, per trovare poi improvvisamente spazi più ampi che danno sul vecchio quartiere, il Meetpacking district, fino ad una decina di anni fa formato da depositi di carne, magazzini e piccole fabbriche.
Costruzioni oggi trasformate in negozi di moda, lussuosi loft, gallerie d'arte.
Una vecchia palazzina è stata trasformata in parcheggio "a silos"...




... mentre in un tratto c'è una davvero insolita "fontana per i piedi", decisamente un sollievo in estate, viste le estremità bollenti straziate dai chilometri che si percorrono a Manhattan...

Panchine, lettini, chaise long, da dove - riposandosi e chiacchierando - ...
... si può godere di un tramonto eccezionale.

Sotto, il vecchio mercato coperto, il Chelsea Market, oggi è così, con negozi di ogni tipo: compreso un forno del pane, una pescheria, gelaterie, bar...



























Fra un anno, se non sbaglio, il parco sarà completato, con la ristrutturazione anche degli ultimi 800 metri, quelli che finivano in acqua.
E son proprio curioso di vedere come e se verrà utilizzato e integrato nel progetto il fiume Hudson.

Fin qui, come dice il titolo, "di sopra", ma occupandoci del "di sotto", il successo dell'High Line ha spinto gli urbanisti a osare progettando cose quasi da fantascienza.

Ho già scritto, qualche intervento dietro, della zona di Katz's (non lontana dal palazzo rosso dalla cima del quale svetta un Lenin che saluta Wal Street e la Statua della Libertà), nel Lower East Side di Manhattan.
Ebbene, guardate cosa c'è sotto, proprio dove scorre la metropolitana (anzi, quattro linee di metropolitana...) all'altezza della stazione di Essex st. 
                         
Si tratta di un vecchio "terminal" del 1903, in disuso dal 1948 e da allora abbandonato.
Ma perché sprecare tutto questo ben di Dio di spazio?
Insomma, dopo il parco sopraelevato più lungo del mondo, New York sarà la prima città al mondo ad avere anche un parco (con alberi e prati) "sotterraneo" e il cui verde crescerà e sarà nutrito da luce naturale.
Che è già stato battezzato Low Line, il parco underground di Nyc. 
Per ora possiamo solo goderci l'animazione che illustra il progetto...

© dario celli. Tutti i diritti sono riservati

venerdì 11 maggio 2012

"Vabbè, ma ora vado a giocare a ping pong..."

Come forse saprete, gli Stati Uniti sono un insieme di Stati Federati, che dunque hanno piena autonomia a legiferare come vogliono, tranne in alcune materie di interesse nazionale, come la politica estera, per esempio.

Il Governo Federale, insomma, - in sostanza "Washington" e cioè  il Presidente Barak H. Obama - non può entrare nel merito delle leggi che vengono votate dai singoli Stati, a meno che queste non siano in palese contrapposizione con la Costituzione americana. 
Sui matrimoni fra persone dello stesso sesso, per esempio: ogni Stato americano decide (e ha deciso) come vuole; e ogni volta che in uno Stato Usa viene introdotta una legge in questo senso, a New York l'avvenimento viene omaggiato...
                       
... con la cima dell'Empire State Building che viene illuminata con le luci dall'arcobaleno, simbolo del movimento GLBT
"gay-lesbian-bisexual-transgender".

Il Presidente americano di per sé, come abbiamo capito, non può far molto; se non esprimere pubblicamente un'opinione, che dunque è di peso anche se solo "simbolica".
Ma era il segnale che lesbiche e gay americani attendevano da sempre. Come quello dato due giorni fa dal presidente Obama rispondendo, nel corso di una intervista, ad una domanda proprio su questo argomento. 
Una di quelle dichiatazioni che entrerà nella storia degli Stati Uniti d'America.

"Ad un certo punto sono arrivato alla conclusione che per me personalmente è importante andare avanti e affermare che le coppie dello stesso sesso che si amano dovrebbero avere la possibilità di sposarsi", ha detto Obama nel corso di un'intervista concessa al telegiornale della ABC.
                                  
Ad oggi sono sei gli Stati americani che riconoscono nella propria legislazione l'unione matrimoniale fra persone dello stesso sesso: Connecticut, Iowa, Massachusetts, New York, Vermont e città di WashingtonA questi quali probabilmente si unirà presto la California, dove i matrimoni fra gay e lesbiche erano stati alcuni anni fa legiferati dal locale parlamento, poi abrogati da un referendum locale, referendum a sua volta sconfessato da una sentenza della Corte Federale di Appello di San Francisco. 
Su questo argomento, per esempio, proprio il giorno prima della dichiarazione del Presidente Obama, si erano pronunciati gli elettori del Nord Carolina, che - a larga maggioranza - hanno invece votato a favore di un emendamento della loro Costituzione che vieta i matrimoni fra persone dello stesso sesso, proposto dai conservatori repubblicani e appoggiato da gruppi di cristiani integralisti. 


Poi la dichiarazione di Obama, salutata con entusiasmo dai gay e dalle lesbiche americane, magari brindando, come invitava questa lavagna posta davanti ad un bar di Manhattan.

Bar dove proprio tutto cominciò.


Perché è qui, al The Stonewall Inn del Greenwich Village, quartiere di Manhattan, che il movimento GLBT ha mosso i suoi primi passi.
Il racconto ci costringe a tornare a immagini in bianco e nero, quando per la verità l'originare The Stonewall Inn si trovava a qualche metro da quello attuale.
Alla fine degli anni '60 era questo il principale luogo di ritrovo di giovani gay e lesbiche di New York. Locale che veniva perquisito quasi tutte le sere e chiuso piuttosto arbitrariamente proprio per questo motivo, fra le proteste dei clienti. 
Erano assurde, le norme di allora: come quel provvedimento (lo "State Liquor Authority") che prevedeva la chiusura per un certo numero di giorni di un locale - e la revoca della sua licenza di vendita dei liquori - se bevande alcoliche fossero state servite volontariamente ad un gruppo di tre o più persone omosessuali!

Fino a quando...

Fino a quando una persona transessuale, Sylvia Rae Rivera, una sera perse la pazienza, si alzò urlando e tirò una bottiglia di gin contro gli agenti. 
Erano esattamente l'1,20 del 28 giugno 1969.
Sembrava quasi che tutto fosse organizzato, raccontano i giornali del 29 giugno. Perché quella bottiglia diventò il segnale (mai concordato) della rivolta. 
I poliziotti di quel distretto, venuti a fare il solito loro controllo con il verbale di chiusura già in mano, furono costretti alla fuga. E a chiamare i rinforzi.
Rinforzi che vennero accolti dai giovani del bar, e da altre centinaia accorsi grazie al "passaparola", con lanci di ogni cosa possibile. Una vera e propria rivolta che durò l'intera notte tra il 27 e il 28 giugno. 
La sera successiva, dopo che la voce aveva superato i confini di Manhattan e della città di New York, furono cinquemila a ritrovarsi davanti allo Stonewall Inn chiuso ancora una volta.
Per l'ultima volta.
Perché a quel punto il sindaco diede ordine al capo della polizia di lasciar correre, se non veniva dato alcun fastidio all'esterno.
Insomma tutto iniziò da lì, tutto iniziò così.
Perché da quel giorno, ogni anno la sera del 27 giugno, è da qui che parte il corteo della comunità GLBT di New York; dal 53 di Christopher st. fra la W4th st e Waverly Place.

Sylvia Rae Rivera, l'icona del movimento, nata - maschio, il suo nome originalmente era Ray - a New York il 2 luglio del 1951 (partorito in un taxi, mentre la madre correva in ospedale) ebbe una vita piuttosto difficile e tormentata. Abbandonata dal padre prima ancora della nascita, rimase orfana a tre anni, con il suicidio della madre. Crebbe un po' con la nonna e molto per strada, dove praticamente fu cacciata a causa dei suoi modi di fare "troppo femminili" che l'anziana donna non capiva e non approvava. 

Morì nel febbraio 2002, per un tumore al fegato.
Tre anni dopo, la città di New York ha deciso di dedicarle una parte di Hudson st, proprio nei pressi del The Stonewall Inn.
(Thank's joemygod.blogspot.com)


Ed eccola, invece, Gay St. a Manhattan: non nel senso che è "la gay street" di Manhattan, di New York: no, è proprio "Gay Street", perché è così che la via si chiama, registrata nella toponomastica della città.

Il primo incontro che ebbi con la realtà gay americana fu questo manifesto pubblicitario di dimensioni colossali che - era il 1992, anno del mio primo viaggio americano - campeggiava su un tetto di Manhattan: la pubblicità di un tour operator specializzato in crociere riservate alla clientela gay.
Il secondo fu quando vidi due uomini (impiegati con completo grigio e valigetta, avete presente?) che passeggiavano tenendosi per mano. 
Non c'è bisogno di andare nella permissiva California, per incontrare persone dello stesso sesso che si tengono per mano con assoluta naturalezza e senza che nessuno dica alcunché.
Santa Monica, California
Basta camminare per Manhattan: ed è una cosa alla quale si fa caso forse solo la prima volta che si incontrano.
Vi confesso che, invece, ho provato più stupore e curiosità a incrociare per strada il distributore di Gay City, periodico gratuito dedicato alla comunità GLBT di New York.
  

Poi sono arrivati i provvedimenti legislativi che hanno legalizzato  i matrimoni fra persone dello stesso sesso. E nelle scuole sono sempre più i bambini che vivono in una coppia gay o lesbica. Ed è così che il movimento GLBT si è fatto strada, entrando nelle conversazioni di ogni famiglia americana. 
Grazie soprattutto ai bambini.

Come è successo nella famiglia Obama: "Malia e Sasha hanno amici i cui genitori sono dello stesso sesso - ha raccontato il Presidente americano nell'intervista alla ABC che citavo sopra -. Alcune volte io e Michelle ci sediamo a tavola e parliamo con Malia e Sasha dei loro amici e dei loro genitori, e a loro non viene neanche in mente che dovrebbero essere trattati diversamente. Per loro non ha senso, e francamente questo è qualcosa che cambia la prospettiva"
"E' qualcosa di cui abbiamo parlato negli anni e che Michelle condivide. Siamo ambedue cristiani e ovviamente questa posizione potrebbe sembrare strana agli occhi degli altri. Ma quando pensiamo alla nostra fede, la base è che non solo Gesù si è sacrificato per noi, ma che gli altri vanno trattati come noi vorremmo essere trattati".  

Fin qui, il Presidente degli Stati Uniti d'America.
Più semplice la fa questo bambino di nome Calen, di fronte a due uomini ospiti della propria famiglia in occasione del pranzo per il  Thanksgiving...

I figli e le figlie di Sylvia Rivera, ringraziano...


© dario celli. Tutti i diritti sono riservati

mercoledì 9 maggio 2012

11 settembre 2011, dieci anni dopo...

Per motivi che non so, quando ho trasferito Aria Fritta qui su Blogger il pezzo che avevo scritto da New York sulla giornata di commemorazione del decennale dell'11 settembre, compariva senza le foto che avevo fatto.


E allora oggi le ho rimesse.


Per vedere l'intervento corredato dalle foto potete cliccare il link contenuto nella pagina che trovate in alto a destra ==========================>



Dove tutto, o quasi, è possibile...

Non voglio dimostrare niente. Voglio solo raccontare. E' quasi un gioco, per me; e mi piace raccontarlo, questo Paese, che è molto più complesso e divertente - come ho già scritto altre volte - di quello che si crede.


La storia che vi propongo oggi potrebbe avere tre "morali": 
- che gli americani sono ingenui e disincantati - qualcuno dice che nell'animo sono rimasti dei simpatici bambinoni - e che dunque amano divertirsi e farlo nei modi per noi più insoliti. "Fun!" ("Divertente!"), poi,  è uno degli slogan più presenti nelle pubblicità, anche dei prodotti alimentari;


- che in America - soldi permettendo - è possibile fare (di) tutto; 


- e che negli Usa c'è decisamente una differente concezione di "conservazione dei beni".


Fare tutto: volete fare un corso per guidare un aereo di linea o anche solo dilettarvi ad un simulatore di volo? Potete farlo!


















Volete dormire nella camera di Cenerentola (anche se è un po' kitch, per la verità), proprio uguale a quella del film? Potete farlo!
Disney's Cinderella Castle Suite
Disney World, Orlando Fl 
Volete abitare in una casa a forma di disco volante?


(Una casa - e che casa! - con le pareti finestre esterne e che volendo gira lentamente... Come una giostra! 278 mq, 4 camere letto, una master suite con cabina armadio, sala pranzo, soggiorno con caminetto, cucina, due bagni, parco con laghetto, 2.295.000 $, cioè 1.765.000 €. Cliccare qui sotto per vedere!)


Volete guidare un carro armato? Ma santo cielo, naturalmente si può!


In questo settore, anzi, si è proprio specializzata una società del Minnesota che si chiama, appunto, "Drive-A-Tank", "Guida un carro armato". 
Tony Burglum e i suoi soci non hanno fatto altro che acquistare vecchi carri armati dell'esercito e offrirne la guida a pagamento sui terreni che la loro società ha acquistato e che sono adeguatamente ampi.
Il pacchetto "tre stelle" - per soli 399 dollari (307 €uro) - offre una visita introduttiva, un breve corso di "formazione", un'altrettanto breve lezione di storia sull'uso dei carri armati in battaglia e un corso accelerato di guida.


Dunque, spendendo poco più di 300 €uro si può guidare un carro armato (fino a due partecipanti) nei boschi attorno alla proprietà... 













... provando il brivido di guadare anche piccoli corsi d'acqua.
E fin qui la novità è relativa...


Mi hanno invece incuriosito alcuni pacchetti particolari che gli amici di Drive-A-Tank offrono al pubblico. 
Mi riferisco al"Crush car" che permette, a partire da 500 dollari (384 €uro) di demolire, distruggere, una o più auto.
Passandoci sopra con il carro armato, ovviamente. 























Immagino che dia una particolare scarica di adrenalina: sarà per questo che l'iniziativa ha riscosso così tanto successo. E forse è proprio per questo che Tory Borglum ha deciso di aprire un altro fonte di "distruzione": "Sì, ci siamo resi conto che la gente voleva di più".


E allora quelli di Drive-A-Tank hanno pensato di offrire alla propria clientela la possibilità - all'autorevole prezzo di 3495 dollari (2688 €uro) - di distruggere vecchi fienili in disuso. Almeno fino a quando non ricevettero una telefonata da una coppia di concittadini: "Beh, sinceramente nemmeno noi avevamo immaginato di spingerci così avanti", racconta Tory. 
Il quale racconta che qualche settimana fa Doug e Chris Volk gli telefonarono dicendo che avevano qualche problemino con la loro casa proprio nella Main Street di Kasota, una decisamente malandata casetta di metà '800, che nella sua storia ha dovuto affrontare più di un tornado (l'ultimo nel 2006). 
"Non era più possibile ristrutturarla, rattopparla con riparazioni che dopo qualche mese si rivelavano sempre insufficienti - hanno detto i coniugi Volk, che in quella casa avevano vissuto venti anni della loro vita -. Era venuto il tempo di demolirla e di ricostruirne un'altra nuova".
Dough e Chris hanno però deciso "di divertirsi un po'", hanno detto, offrendo a tutto il loro paesino (675 anime) uno spettacolo singolare e del tutto gratuito.


Quello che successe a Kasota nove giorni fa lo potete vedere cliccando qui sotto...



Ve l'avevo detto, no?, che negli Usa c'è decisamente una differente concezione di "conservazione dei beni"...
:-)

© dario celli. Tutti i diritti sono riservati

lunedì 7 maggio 2012

Su un ragazzo di nome Enzo, un altro di nome Dario e una vecchia canzone...

(Consiglio per la lettura: prima di iniziare, cliccate sulla freccetta, aspettate che il brano si carichi e iniziate a leggere alle prime note. Se necessario ricliccate per avere sempre il brano di sottofondo... Grazie!)


Enzo arrivò la mattina di venerdì santo.
Era stato un po' sfortunato, Enzo: perché visto che era incensurato,  se lui fosse arrivato il giorno prima, quella stessa notte (e Pasqua e Pasquetta) l'avrebbe passata a casa. 
Al Tribunale dei Minori, infatti, non c'era nessun giudice, il venerdì prima di Pasqua. Dunque perché potesse tornare a casa si trattava di aspettare fino a martedì.
Che sfortuna, appunto.


Quando entrò al Ferrante Aporti - il carcere minorile di Torino all'interno del quale ho lavorato un paio di anni quando io ne avevo più o meno 24 - anche lui era passato dalla stanza del laboratorio dove svolgevo insieme ad altri (veri) educatori la mia attività: far scrivere a macchina ai ragazzi, magari poi per arrivare a fare un giornalino. Quasi tutti erano entusiasti - nessuno di loro aveva mai usato una macchina da scrivere - soprattutto dopo aver scoperto che si poteva scrivere "senza troppa fatica" e con la calligrafia perfetta.
Dunque un venerdì arrivò, con la faccia terrorizzata e gli occhi rossi di chi aveva pianto disperato. A dir la verità, quando lo vidi, me ne accorsi al primo sguardo che Enzo era un "pesce fuor d'acqua", che non "c'entrava niente" con gli altri suoi coetanei poveri teppistelli ladruncoli, magari spacciatori, rapinatori o peggio...
Intanto Enzo, paffutello ed educato, dimostrava molto meno dei suoi 17 anni: diciamo che sembrava ne avesse a malapena 14 o 15, per essere generosi. 


Poi aveva  proprio l'aspetto - e mi si perdoni la superficialità - da "bravo ragazzo": ben vestito, sguardo timido, capelli curati. Andava persino a scuola, Enzo: e scuola superiore! Una rarità, lì. 
E non andava nemmeno troppo male: oddio, aveva qualche insufficienza, ma chi non ne ha mai avute, suvvia? (Io è meglio che stia zitto!).
Il problema è che Enzo avrebbe voluto "da morire" un motorino. Ma i suoi erano severissimi: finché c'erano insufficienze, di motorino non se ne poteva nemmeno parlare. E poi comunque la pratica sarebbe stata esaminata a risultato scolastico finale.
Forse.


Un'ingiustizia, per Enzo, che incompreso, aveva deciso che avrebbe guidato lo stesso.
Di nascosto.


Ora, dovete sapere che da qualche settimana, i carabinieri di Collegno avevano iniziato a ricevere strane denunce di furto. O meglio: veniva prima denunciato il furto d'auto (tutte di lusso: Mercedes, Audi, Bmw), poi la denuncia veniva ritirata. Sempre. Perché dopo qualche ora l'auto rispuntava. Già, era sempre così: a qualche ora dalla denuncia i proprietari ritrovavano l'auto, regolarmente chiusa, ma parcheggiata poco lontano. Non proprio, insomma, dove era stata lasciata la sera. 
Questo evento (il ritrovamento dell'auto) veniva dapprima accolto con sollievo in famiglia, scatenando però, subito dopo, furiose discussioni mattutine all'interno della coppia. Se le mogli avevano subitamente partecipato al dolore del marito ("Cazzo, amore, la macchina non c'è più! Qualche bastardo me l'ha rubata!"), al momento del ritrovamento dell'auto - non proprio trovata laddove la sera l'uomo l'aveva parcheggiata, magari proprio con la moglie - era inevitabile che lui venisse guardato quanto meno con sospetto. 
Giusto il tempo, per le mogli, di immaginare fughe notturne del marito con rientro prima dell'alba non trovando però più libero il posto occupato la sera.


Ricevute una, tre, sette denunce tutte identiche (prima di furto d'auto, poi ritiro della denuncia visto che la stessa veniva ritrovata poco lontano dal luogo di dov'era stata parcheggiata) i carabinieri di Collegno si misero dunque al lavoro per capire che cavolo stava succedendo, nottetempo, da quelle parti.


E fu proprio durante uno di quei giri di ronda notturna che una Giulietta dei Carabinieri notò - "intorno alle quattro e quarantacinque", recitava il verbale - una Mercedes in corso Francia. Mercedes che dunque venne raggiunta e affiancata dai militari.
Potete immaginare la loro sorpresa quando alla guida videro un bambino. Ok, bambino non era proprio (ve l'ho detto che Enzo dimostrava meno dei suoi anni), ma non era nemmeno alto abbastanza per guidare, tanto che quando venne fermato si accorsero che sotto al culo Enzo si metteva un cuscino.


Questa volta l'aveva davvero fatta grossa, Enzo.
Altro che cinque in fisica e mate. 
I suoi non gli compravano il motorino? E allora lui guidava le macchine. E che macchine!
Lui se ne usciva di casa (col cuscino) mentre a casa tutti dormivano alla grossa, scendeva in strada, sceglieva l'auto, apriva la portiera con una chiave passepartout avuta chissà come, e così come gli aveva insegnato chissà chi, metteva in moto e se ne andava in giro per un'oretta a Collegno.
Non ricordo se il padre lo prese a schiaffi in caserma (secondo me sì, vista la faccia che c'aveva il poveretto), mentre ricordo benissimo la sua espressione smarrita, affranta, spaventata.
Mi chiese quanto tempo sarebbe stato in carcere, Enzo: ma non sapevo proprio dargli una risposta: "Il problema è che oggi è venerdì santo, e mi sa che fino a martedì mattina...". La ferale notizia venne accolta da lui con un pianto appena soffocato, con gli altri ragazzi che guardavano il "pivello" con commiserazione.


Cercai di distrarlo chiedendogli se avesse mai usato una macchina da scrivere: al che lui prese un foglio e mi chiese cosa dovesse scrivere. "Beh, quello che vuoi", gli dissi. "Anzi - aggiunsi - perché non inizi proprio parlando di te?".
"Devo mettere il titolo?" mi chiese.


Ed ecco che lui iniziò a scrivere, tutto in maiuscolo, "FUGA DA COLLEGNO".


"Mi presento: mi chiamo Enzo e sono un ragazzo di 17 anni che non va d'accordo con la famiglia. Ho problemi d'uscita da solo e con amici".
Poi si fermava e mi guardava, chiedendomi come dovesse continuare. Io mi limitai a dirgli di scrivere quello che voleva, quello che aveva dentro. "Ma lo leggeranno i miei?", mi chiese. "Se non vuoi, no, ovvio". 
"Ok, allora lo terrai tu questo foglio", mi disse.
Da allora ho cambiato sei case e due città, ma il racconto di Enzo l'ho sempre conservato.


Ma è stato solo recentemente che, leggendolo, ho sbarrato gli occhi.
"A me invece piace molto fare l'avventuriero, girare il mondo con un amico fedele che non mi tradisca..."
"Mi piace viaggiare in macchina, perché voglio conoscere città diverse, gente nuova, cambiare ambiente dopo averlo conosciuto un po', parlare con ragazzi di lingue diverse e capirli."
"Spero di poter fare un lungo viaggio per vedere tutto quello che non ho mai visto; vorrei vedere New York, andare in cima ai grattacieli più alti, passeggiare fra i negozi, vedere gente che compra. Vorrei vedere i parco-giochi, le giostre e bere alle fontanelle per sentire se l'acqua ha un colore diverso.
Mi piacerebbe vedere i grandi Parchi Nazionali d'America, visitare le miniere d'oro e i pozzi di petrolio..."
"E invece sono qua, vedo ogni giorno le stesse strade, le stesse case, le stesse persone. Sento ogni giorno la stessa lingua, bevo ogni giorno la stessa acqua".


Cazzo, quello ero io.
Non so se ci sia stato una sorta di "transfert": io, sono certo, non gli ho dettato nulla. Semmai mi limitavo a fargli domande su cosa volesse scrivere, su cosa gli venisse in mente in quel momento, e gli ripetevo, mentre lui batteva sui tasti, le sue identiche parole. 
Qualche mese fa, quando ho ritrovato quel foglio di carta ingiallita scritto a macchina, rileggendo quelle righe mi accorsi che quelle cose che lui scrisse erano (anche) dentro di me. Solo che Enzo le aveva "viste" prima, di me. 
Era il 1982, forse il 1983, e davvero per me, allora, l'America era lontana, lontanissima. Non rientrava nemmeno fra i miei sogni. Semmai il mio sogno "impossibile" - a quel tempo - era Roma.  
E sarebbero passati dieci anni prima del mio primo viaggio americano. 


La storia di Enzo (non l'ho mai più rivisto dal martedì dopo Pasqua, quando finalmente uscì e tornò subito a casa) mi è tornata in mente ieri, mentre in auto sentivo una canzone americana che mi ha richiamato immediatamente alla mente un'altro brano, questa volta italiano, scritto nel 1968.


Era contenuto nell'album dei New Trolls "Senza orario, senza bandiera", il primo del gruppo, quello scritto insieme a Fabrizio De Andrè. Quello che contiene anche "Irish" e "Miniera".


Uh, quante volte l'ho messo quel vecchio pezzo dei New Trolls che parlava di "Nuova York" nei dieci anni in cui ho lavorato nelle radio (questo che state ascoltando, se avete seguito il mio consiglio).
Ma mai, prima di ieri, mi ero reso conto che parlava proprio della città che un ragazzo di nome Enzo - e un altro, poco più grande di lui, di nome Dario - sognava nel 1983.


"Vorrei comprare una strada nel centro di Nuova York,
la vorrei lunga e affollata di gente di ogni età...


































e tanta luce 
nei buffi tubi di vetro colorato.















Una fontana 
con mille bambini che giocano...
un gatto grigio che scalda assonnato il suo angolo.
E voli alti... 
E al tramonto 
vorrei sedermi all'ombra di un grattacielo...
































... fino a che io sentirò una voce che mi dirà: 
«Scusami, William... Mi spiace per te,
ma è la fine...»"



Enzo, ti prego: fatti vivo, in qualche modo.
Trovami.
E dimmi che poi, a New York, tu ci sei stato davvero.
O che magari ci abiti...


© dario celli. Tutti i diritti sono riservati