PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

mercoledì 27 marzo 2013

Tutti sono venuti da qualche altra parte...

Ho cercato, ma non ho trovato, la diretta streaming dell'incontro Bersani-5Stelle.
Ho trovato questo, invece, e (da quello che ho capito) mi pare decisamente meglio.

Ho trovato il discorso che il Presidente degli Stati Uniti, Barak H. Obama, ha fatto l'altro ieri prima della cerimonia nella quale 28 immigrati sono diventati cittadini americani:

"Siamo così orgogliosi di voi. 
In ciascuno di voi, vediamo il vero spirito dell'America. E vediamo un po' noi stessi, perché la maggior parte delle nostre storie risalgono a momenti come questo, dove un antenato - proprio come voi uomini e donne qui, oggi - ha alzato la mano destra e recitato il giuramento.


E il punto è che negli Stati Uniti, a meno che non si sia un nativo americano, tutti sono venuti da qualche altra parte; ed è per questo che siamo sempre stati definiti come 'nazione di immigrati'. 


Noi siamo sempre stati il meglio per gli Stati Uniti.

La promessa che oggi farete, voi che provenite da tutto il mondo, è uno dei nostri maggiori punti di forza, è mantenere la nostra forza lavoro giovane, è contribuire a mantenere le nostre imprese prime fra tutte. 


E' aiutare a costruire il più grande motore economico che il mondo abbia mai conosciuto".



Per vedere, clicca qui

domenica 24 marzo 2013

St. Patrick pride!

Lo ripeto ogni tanto, in queste pagine: "Ma gli Stati Uniti sono sempre lì, a mettere in discussione le nostre certezze...".

Ventun anni fa, l'anno del mio primo viaggio americano per esempio, dopo essere rimasto sbalordito fotografai subito questo enorme cartellone che campeggiava su un muro di un palazzo di Manhattan e che pubblicizzava un'agenzia specializzata in crociere riservate a clientela gay... (Ripeto, si trattava del 1992...). 







Sei anni dopo ero ancora negli Usa, per la quarta volta. Quell'anno vivevo ancora sospeso fra un contratto a termine e l'altro; e proprio durante uno di quei periodi di ansiosa e frustrante attesa, assai incazzato decisi che era venuto il momento di mandare tutti "a quel Paese" ed approfittare di quel periodo forzato di sospensione per seguire un mese di corso di inglese. 
A Ny, ovviamente.

Approfittai della disponibilità di un collega, che mi affittò casa sua mentre lui era in ferie in Italia. Era in una posizione stupenda, al 30° piano, il penultimo di questo palazzo qui sotto (quello accanto al Flatiron Building) con le finestre - nella foto che segue, più o meno indicate dal lampione...- che davano alla loro sinistra sulle Torri Gemelle, allora ancora svettanti, alla loro destra sull'Empire State Building.


Fu in una di quelle mattine, proprio mentre andavo "a scuola", che vidi una coppia tranquilla, mano nella mano.
Eleganti, lui era vestito "da ufficio": abito probabilmente italiano e 24 ore impugnata dalla mano libera; l'altro - perché di due uomini si trattava - aveva invece una borsa da palestra. Arrivarono all'angolo della strada e si salutarono.
Con un bacio sulle labbra.

Era la prima volta che vedevo "dal vivo" due uomini che si baciavano, per strada, peraltro con assoluta naturalezza e tranquillità, e fra la gente di New York che non mostrava alcun stupore.
Ricordo soltanto che mi fermai un secondo, e fra me e me sorrisi. 

Tre anni fa, poi, conobbi poi un italoamericano (figlio di un immigrato arrivato alla fine degli anni '60 dalla provincia di Salerno) che era regolarmente sposato con un uomo. Non solo: la coppia aveva avuto tre figli mediante due madri surrogate: un figlio ottenuto con il seme di lui, gli altri due -splendidi gemelli, maschietto e femminuccia - con il seme del compagno.



Mi sono tornati in mente queste cose quando ho letto cosa è successo l'altro giorno a New York, durante l'annuale  parata in occasione della festa di Saint Patrick

Dal 1851 la parata viene tradizionalmente aperta dai 750 membri del 69° Infantry New York Army National Guard, il primo battaglione del 69° fanteria della Guardia nazionale.

La parata di San Patrizio è uno degli appuntamenti annuali classici della New York multietnica, seguito da centinaia di migliaia di newyorkesi, unitamente alle migliaia di abitanti della Grande Mela nelle cui vene scorre sangue irlandese e che sfilano orgogliosamente con le camice verdi (no, la Lega Nord non c'entra niente...), il colore tradizionale dell'Irlanda.


E nemmeno la nevicata dell'altro giorno è servita a chiudere in casa le migliaia di persone che non volevano, che non potevano, mancare alla 252a edizione della più antica parata che tradizionalmente attraversa la Fifth Ave.
Come di consueto, la festività si è aperta con la messa nella Cattedrale cattolica di Saint Patrick - celebrata quest'anno dal cardinale emerito Edwaed Egan - colma all'inverosimile, con in prima fila le autorità cittadine.

C'era il primo ministro irlandese Enda Kenny, arrivato per l'occasione dall'Europa; il Governatore dello Stato di New York Andrew M. Cuomo; il sindaco di New York Michael Bloomberg incravattato di verde, con accanto - come ha scritto maliziosamente un quotidiano della città - "una schiera di devoti aspiranti candidati alla sua poltrona".


Quello di quest'anno, infatti, è stato l'ultimo "San Patrizio" del sindaco Bloomberg, indipendente, a scadenza di mandato. Il primo cittadino della Grande Mela è stato dunque costretto a farsi la parata due volte: prima, fino all'Upper East Side, con gli agenti di Polizia di New York; poi - correndo controcorrente con scorta e collaboratori - fra i leggendari vigili del fuoco di origine irlandese di New York.

Fra le fila, anche rappresentanti di organizzazioni cattoliche dell'Irlanda del Nord e gruppi notoriamente vicini all'Ira, l'esercito irredentista irlandese, la cui presenza - e soprattutto la calorosa accoglienza - negli anni scorsi non è mai stata molto gradita dalle autorità della Gran Bretagna, visto che a casa affrontavano le truppe (occupanti) di Sua Maestà a colpi di armi da fuoco. 

Ma l'altro giorno l'incidente diplomatico è stato un altro: gli organizzatori della manifestazione hanno infatti deciso di bandire dalla sfilata le associazioni di gay e lesbiche di origine irlandese arrivate sul posto con i loro striscioni.
E allora la presidente del consiglio comunale di New York, Christine Quinn, dichiaratamente lesbica e prossima candidata a sindaco, ha deciso di disertare la parata : "Se non possono sfilare le organizzazioni di gay e lesbiche significa che la manifestazione è vietata anche a me", ha dichiarato lei, qui sotto al centro della foto.

Opinione assolutamente condivisa dal governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo, italoameriano democratico figlio del leggendario Mario, che di fronte ad un divieto ritenuto ingiusto e discriminatorio, finita la Messa ha voltato le spalle e si è rifiutato di partecipare alla parata:
"Io sono il Governatore di tutti, anche dei cittadini gay e delle cittadine lesbiche, e non accetto discriminazioni - ha detto prima di girare i tacchi-. Se gli organizzatori non vogliono gay e lesbiche alla sfilata, significa che non vogliono nemmeno me".



Proprio più o meno come la pensa l'ex ministro Carlo Giovanardi, Pdl, (ma ci pensate? abbiamo avuto un ministro del genere!) secondo cui "due donne che si baciano per strada procurano lo stesso fastidio che dà chi fa la pipì all'aperto...".
O come il sindaco leghista di Treviso Gianpaolo Gobbo, secondo il quale fino a quando sarà lui ad essere primo cittadino della città "non si svolgerà mai un 'gay pride'. Certi eccessi - ha dichiarato - possono danneggiare la libido di bambini e adolescenti".

Sindaco, e andarsi a fare un bel viaggetto negli Stati Uniti? Beh, comunque la capisco: lei è il primo cittadino di Treviso, mica un piccolo Governatore qualunque come quello dello Stato di New York...


© dario celli. Tutti i diritti sono riservati.

martedì 19 marzo 2013

Dead Drops, scaricare file in libertà per le strade di New York

Una delle sensazioni che si prova quando si arriva a New York (anche quando è l'ennesima volta...) è legata all'atmosfera di "creatività" che si respira, alle novità che si vedono e che appaiono incredibili, impossibili, inimmaginabili, altrove.

Ok, forse saremo anche condizionati, noi che amiamo smisuratamente New York: noi che della Grande Mela rimpiangiamo, quando ne siamo lontani, anche la puzza che ogni tanto si sente. Siamo talmente innamorati che persino i topi che ogni tanto si incrociano per strada - soprattutto dopo i tagli sulla derattizzazione effettuati dall'Amministrazione locale - passano quasi in secondo (o terzo, o quarto, o ultimo) piano.

Ma non è di topi che intendo scrivere.
Voglio raccontarvi della prima volta che vidi, due anni fa, questa cosa qui:

Chi è già stato a New York sa che non si meraviglierà tanto facilmente di nulla.
E, infatti, quando vidi questo pezzo di chiavetta Usb che spuntava fuori dal muro pensai la cosa più semplice: che fosse stata messa lì per gioco, o per "provocazione".
E invece...



E invece poi ho scoperto che si trattava di una "opera artistico-multimediale" del tedesco Aram Bartholl, che nella foto qui sotto vediamo a destra.

Nato nel 1972, Aram fra le tante sue performance se n'è inventata una niente male: l'ha chiamata "Dead Drops" , letteralmente "crepa", "fessura".

Insomma, il nostro Aram - insieme ad alcuni suoi "seguaci" - ha disseminato un bel po' di chiavette Usb per New York, affinché sconosciuti possano mettere a disposizione reciproca (e scaricare, inserire e condividere) file di ogni tipo: video di proprie opere, immagini, musica, racconti, poesie...

Armato di scalpello, martello, cazzuola e cemento a presa rapida, Aram Bartholl le ha inserite in vari punti della Grande Mela.


Obiettivo dell'artista è lasciar liberi i cittadini di condividere, mettere a disposizione, regalare, tutto ciò che si vuole.
E "a sorpresa".
Una specie di nuovo "social network" in giro per la città.




















Uh, lo so cosa penseranno molti di voi: d'altronde lo stesso termine "Dead Drop", durante la Guerra Fredda indicava il nascondiglio dove venivano lasciati i messaggi segreti (o altro) delle spie o indirizzati a spie; ora, invece, si avrebbe il timore di trasmissione di virus, o  scambio di informazioni poco pulite...


Negli Usa, però, non sono paranoici come siamo un po' noi: in questo caso, qui, lo "spirito" è diverso.

Inviduato nell'apposito sito la presa Usb pubblica più vicina, chi vuole partecipare a questa inziativa (chiunque possieda un portatile o un palmare) collega il cavo Usb al proprio supporto portatile, guarda se c'è qualcosa di interessante (un po' come se si fosse in una biblioteca) e  scarica.

Lasciando, nello stesso tempo, qualcosa che si pensa possa interessare agli altri...

Basta collegarsi al SITO di Aram Bartholl per consultare la mappa aggiornata (più o meno, mi pare...) dei punti di file sharing offline, come li ha battezzati lui. E il gioco è fatto.

Una iniziativa che da New York si è sparsa a macchia d'olio, raccolta con entusiasmo dai teorici della libertà della rete in altre città degli Usa ma anche in Canada, Germania, Gran Bretagna.

Sul suo sito Aram Bartholl ha anche inserito un tutorial dove spiega come installare le chiavette nei muri.

Eccolo: se volete "respirare" un po' d'aria di New York e capire meglio come funziona, cliccate la freccetta qui sotto...



"Un'inedita e interessante nuova forma di comunicazione", l'ha definita un giornale di New York.

Lo so cosa penserà la maggior parte di voi/noi (italiani)...
Ma, suvvia, stiamo parlando di New York!





© dario celli. Tutti i diritti sono riservati.

martedì 12 marzo 2013

Roba dell'altro mondo... (Un altro rimborso stupefacente...)


Chi abita nella Grande Mela afferma che ci si può considerare un "buon newyorkese" quando si riesce a passare al primo colpo il tesserino di abbonamento alla metro nell'apposita fessura del lettore delle macchinette di ingresso (come NON è riuscita la ragazza del filmato qui sotto).

 
Il costo "a corsa" della metro di New York è assai caro: 2,75$ a corsa (ad oggi pari ad 2,11 €); un po' meno se il biglietto lo si acquista in una delle macchiette presenti nelle stazioni (2,50$, 1,92€).
Per avere un'idea di cosa offre la metropolitana di New York basta dare uno sguardo qui sotto (tenendo conto che in questa cartina manca la parte nord di Manhattan, e si vede solo parte del Queens e di Brooklyn..).

Si può capire facilmente, dunque, perché praticamente tutti a New York usino la metro per gli spostamenti: più o meno 5 milioni di persone al giorno, dicono i dati della Mta, l'azienda pubblica che la gestisce.

E praticamente tutti quei cinque milioni di viaggiatori per utilizzare la metropolitana, utilizzano, più che i biglietti singoli, tessere MetroCard cumulative (che sono più convenienti) o abbonamenti MetroCard, ancor più convenienti.
                               
Ci sono le tessere da 5$ a 80$ e che riconoscono un bonus percentuale di sconto.
Poi ci sono quelle a numero di corse illimitate, che personalmente consiglio a chi è a New York per vacanza e vuole girare la città spostandosi in lungo e in largo risparmiando tempo (e soldi...). 
30$ (23€) è il costo dell'abbonamento settimanale illimitato a tutte le linee; 
112$ (86,21€) quello illimitato mensile sempre per tutte le linee.

Possono apparire parecchi, 23 o 86 €uro, ma chi è stato nella Grande Mela sa che da quelle parti si trotta come non mai, e usare la subway - con i suoi 368,5 Km complessivi che viaggiano su 23 linee passando da ben 468 stazioni, giorno e notte, 24 ore su 24 - è l'unico modo per andare su e giù per Manhattan in una manciata di minuti snobbando il suo traffico.
E' assolutamente normale, in un giorno, salire e scendere per le scale della metro una quindicina di volte. Esercizio salutare per la nostra forma fisica...

Le tessere (sia quelle settimanali che quelle mensili) sono di materiale plastico e sono "ricaricabili", facendo così una meritoria opera di risparmio energetico.

Per la verità c'è chi - in nome del riciclaggio e del riutilizzo - scatena la propria fantasia.

C'è chi la usa per farne componenti di arredamento, come l'artista-designer di New York Stephen Shaheen...
C'è chi le usa per esprimere in tutti i suoi quadri la propria arte, come la "Popart-MetroCard-artist" Nina Boesch...


C'è chi le usa più semplicemente per rendere più originale la propria bicicletta...


O chi le utilizza per confezionare insoliti capi d'abbigliamento...



(Non so perché ma, delle due, preferisco questa...)  ;-)













I più parsimoniosi, però, la riciclano riutilizzandola, o meglio, ricaricandola.

L'operazione "ricarica" è assai semplice. Com'è facile intuire, si tratta di reintrodurre la tessera nella Mta vending machine, e inserire nell'apposita fessura la banconota da 10 dollari (o più) e sfiorare sul video touch screen le opzioni opportune.

Tutto semplice, appunto.


A patto di non essere deficienti come me.

Non era certo la prima volta che "ricaricavo" la tessera settimanale.
Per arrivare alla fine della mia permanenza nella Grande Mela avevo calcolato che sarebbero stati sufficienti dieci dollari (7€ e 76 cent); eppure quella volta, la semplicissima operazione di ricarica non andò in porto. Per farla breve: la macchinetta mi restituì sì la MetroCard, ma senza che questa fosse stata ricaricata. E dei dieci dollari, nemmeno l'ombra.

Immaginatevi la scena. 
Voi cosa avreste fatto se dopo aver infilato la tessera... 
dopo aver inserito la banconota da dieci dollari... 
dopo aver visto che la tessera usciva "scarica"...
Cosa avreste fatto?
Dai, avreste fatto come me, che ho cercato di "sollecitare" la macchinetta con leggeri colpetti.
Con i "colpetti" che via via divenivano sempre più "decisi".  

Era evidente che dovevo aver sbagliato qualcosa. O forse la macchietta era guasta, non so...
Sta di fatto che presto i colpetti divennero pugni.

Mi fermai solo quando mi accorsi che venivo osservato dalla gente attorno (che nel frattempo si era allontanata di qualche passo) quasi come se fossi stato un pericoloso terrorista di Al Queda.
Ma soprattutto mi fermai perché - tempo una manciata di secondi - alle mie spalle si materializzò un'addetta della Mta.
Afroamericana, gigantesca, urlava parole incomprensibili, ma il suo tono di voce, l'espressione e la gestualità, rendevano tutto molto comprensibile.
L'unica frase che ben compresi fu: "Hey man, giù le mani dalla MIA macchina!!".

Devo ammettere che la signora - responsabile di quel gruppo di "Mta vending machine" - quando si rese conto che si trovava di fronte ad uno straniero (che ai suoi occhi doveva risultare piuttosto cretino se era nemmeno capace di caricare semplicemente una MetroCard) - divenne immediatamente comprensiva, assumendo all'istate il ruolo di "maestra d'appoggio". Cambiando tono di voce mi disse con aria severa e materna: "non ci si comporta così".
Insieme tentammo una seconda "operazione ricarica": sillabando le parole mi disse qualcosa del tipo "M e-t t i  la  c a-r t a  q u i",
"P r e-m i  q u i",  "D i-g i-t a  q-u-e-s-t-a  o-pzio-ne"...
Il tutto, peraltro, mentre sul display comparivano le istruzioni in italiano.
Eh sì, evidentemente devo proprio avere una faccia da deficente...

Poi intervenne una sua collega, fin'allora restata in silenzio e due passi più dietro (forse temevano una mia fuga...).
Si rivolse a me con lo stesso tono con il quale io mi rivolgo a Sofia, quando la mia canaamoremio combina qualcosa di grave. Collega che mi intima, alzando assai la voce, di tirare fuori il portafoglio.
Lo confesso: per un istante ho avuto il sospetto che mi volesse rapinare...
A quel punto mi chiese la mia carta di credito ("Ecco, ora mi rapina...") e la avvicinò alla MetroCard che avevamo appena caricato: fu a quel punto che, tuonando con una voce da soprano, urlò un "NO!" che attirò l'attenzione di un paio di centinaia di persone.
Finalmente (ed incredibilmente...) intuisco: ok, non si deve tenere la MetroCard vicino alla carta di credito o al bancomat. Infine, prende una tessera esaurita e davanti ai miei occhi la piega ripetutamente urlando ancora "NO!".
Ok, ho capito: la MetroCard non deve essere piegata...
(Non c'è dubbio: devo proprio avere la faccia da deficente...).

Poi mi disse che due fermate dopo, all'apposito sportello, avrei potuto ritirare il modulo per reclamare il rimborso dei miei dollari che avevo perso durante il primo tentativo. 
Scandendo le parole che pronunciava ad alta voce si raccomandò di annotare con cura e poi di scrivere chiaramente il numero della "MetroCard Vending Machine" della quale contestavo il mal funzionamento. Avrei poi dovuto descrivere brevemente quello che era avvenuto e il mio indirizzo di casa italiano.
Dopo le "opportune indagini e verifiche tecniche", mi disse, "eventualmente", sottolineò, mi sarebbe stato accordato ed inviato il rimborso.


"Sì, domani..." pensai, mentre lei mi salutò allontanandosi.

Il modulo dei "reclami" (in verità ne ritirai due "non si sa mai..."), lo compilai con la stessa attenzione che investe uno studente ad un fondamentale esame scritto. Poi lo misi dentro l'apposita busta che lasciai alla reception di un albergo.
Il primo che mi trovai davanti.
"Voglio proprio vedere...", pensai.

...

Mi dimenticai presto di quell'episodio.

Quando torno da un viaggio americano confesso che mi pervade la depressione. Non esco, lascio il bagaglio più o meno intatto per settimane, quasi come se dovessi ripartire da un momento all'altro.
Per casa (per giorni, giorni e giorni...) girano cartine, atlante stradale, libri comprati negli Usa, souvenir, depliant, biglietti, bigliettini e via dicendo. Di solito metto sotto carica il telefonino americano, che pealtro in Italia non funziona, e meditando sul "da farsi" - sul famoso "piano d'azione" - lascio che il tempo mi scivoli sopra.
Quando posso mi prendo un po' di ferie "cuscinetto", prima di tornare al lavoro e in quei giorni vago per casa (essì che è piccola...) più o meno come uno zombie.
Fino a quando tutto, lentamente, ritorna alla normalità: il lavoro, la macchina, il traffico, la casa, la spesa, le bollette, gli amici...

Poi, una mattina, succede che trovi una busta nella cassetta della posta.
Una busta che arriva "dall'altro mondo".

Quante settimane erano passate da quella mattina in cui prendevo a pugni la macchinetta della metropolitana di Manhattan?
Cinque, sei?
Davvero non pensavo più a quei dieci dollari perduti, alla mia inutile battaglia (prima ragionevole, poi a colpi di pugni...) contro quella biglietteria automatica, all'enorme signora afro-americana che mi rimbrottò, al modulo che compilai con attenzione lasciandolo - senza alcuna speranza, lo confesso - al portiere di un albergo perché lo spedisse per mio conto; giusto per vedere se poi sarebbe successo qualcosa...

La lettera, scritta su carta intestata del "Mta, New York City Transit", era firmata dal "Direttore del Servizio Consumatori MetroCard":

"Gentile signor Dario,
abbiamo apprezzato la sua segnalazione in merito al problema che ha avuto nell'utilizzare un nostro distributore automatico MetroCard.
Effettivamente abbiamo verificato che la macchina conteneva una banconota da dieci dollari in più".
(Seguono ben dodici - 12! - righe di didattiche e particolareggiate istruzioni - corredate anche di depliant illustrato a colori! - su come avrei dovuto svolgere correttamente l'operazione ricarica della tessera se non fossi stato un impedito...).

"Come vede, accluso a questa lettera c'è un assegno di dieci dollari, corrispondente al valore della banconota che la MetroCard Vending Machine n. 2550 le ha trattenuto nel corso di quello spiacevole incidente.

A noi sta a cuore molto seriemente tutto ciò che riguarda i nostri clienti, e dunque, scusandoci dell'inconveniente, qualora avesse bisogno di ulteriori chiarimenti le comunichiamo che può telefonare al (212)638-7622 dalle 9 alle 17, dal Lunedì al Venerdì.

Sincerely,
Annette Stewart".



Già, proprio roba "dell'altro mondo"...

Mi girai la lettera fra le mani e, ancora una volta fra l'incredulo e l'incazzato, scossi la testa.
Pensai all'assegno di rimborso (poi clicca sul rosso...), quella volta nemmeno richiesto, che più di dieci anni prima mi spedì la Hertz.

Decisi di mettere questo sotto vetro e appenderlo al muro.
Lentamente le mie dita si sorpresero a digitare sulla tastiera le lettere dell'indirizzo internet del sito sulla Lotteria Green Card...  
(Se vuoi saperne di più sulla Green Card clicca sul rosso).



© dario celli. Tutti i diritti sono riservati.

giovedì 7 marzo 2013

A New York gratis


Che una delle principali parole d'ordine in occasione di un viaggio negli States sia "risparmiare" lo sappiamo. (Anche perché - in shopping, in particolare - già se ne spendono parecchi di soldi, negli Usa...).

E allora, per colazione, intanto è meglio evitare i "modaioli" Starbucks. Ok provarli una volta, fa un po' figo e molto Sex and the City, ma guardate i prezzi qui sotto (non aggiornati): suvvia, davvero vi va di pagare un "cappuccino" dalla temperatura ustionante - tasse incluse - oltre 4 €?

                                                        

Io, nelle mattine in cui escludo l'american breakfast optando per la "colazione continentale", trovo sia molto più newyorkese comprare la colazione nei coffee truck, quei baracchini (tutti autorizzati e controllati dalle autorità sanitarie) che si possono trovare al mattino agli angoli delle strade di New York. 
Camioncini spesso  ingiustificatamente evitati dagli italiani.

 













Essendo in gran parte gestiti da asiatici o mediorientali, i titolari dei banchetti - per evitare frizioni con qualche patriota "testa calda" - a volte, accanto a quella relativa al controllo sanitario, espongono anche un altro tipo di certificazione: quella "antiterrorismo".


La differenza di prezzo con gli Starbucks è abissale - poco più di un dollaro e mezzo per un caffelatte e una brioche - anche se qui il caffè è solo "americano" e i cappuccini non sanno cosa siano (nel camioncino non hanno la macchina per farli).
Sono gentili e pazienti, i venditori, e anche interessati ad imparare cose nuove: mi è capitato, per esempio, di spiegare ad uno di loro come fare il latte macchiato (anzi, "macciato"). 
Ha trovato un po' bizzarro che volessi nel bicchiere solo tre dita di caffè e che il resto lo volessi riempito di latte. Che però in quei baracchini hanno solo ghiacciato. 
Fortuna che la temperatura del caffè era, come di consueto, "da ustione": così il risultato finale era un perfetto, tiepido, latte macciato.

Risparmiare, risparmiare...

Quando si avvicina l'ora di pranzo, i baracchini che al mattino vendono caffè, fette di torta, muffin e bagels lasciano il posto a chi vende cibo salato: pita con manzo e insalata e pomodori, oppure con pollo e verdure (con quantità industriali di cipolle), oppure kebab, e gli ottimi hot dog. 


L'unico cibo che mette d'accordo ebrei e musulmani, come si può notare dai clienti che attendono: vedrete che a prendere i mitici hot dog newyorkesi saranno sia ebrei aschenaziti che musulmani osservanti.
E non voglio sapere perché...



Risparmiare, risparmiare...


E allora, se pianificate un po' la vostra visita a New York, per esempio, potete anche visitare musei e mostre senza pagare.


Ci sono strutture che sono SEMPRE gratuite (cliccate sopra il nome di ogni museo per andare sui relativi siti web e controllare gli orari):

il Museo Nazionale Indo-Americano (1 Bowling Green), bellissimo museo dedicato alla storia della popolazione nativa americana;

il Forbes Magazine Galleries (62 Fifth Avenue, all’altezza della 12th Street), dove oltre a sale dedicate alle uova Fabergé, al gioco del Monopoli e ad alcuni manoscritti di Presidenti Usa, sono esposti 500 modelli di navi e circa 12mila soldatini di differenti periodi storici;

il Museo dell'Istituto della moda e della tecnologia, (227 W 27th st., all'altezza della 7a Ave.) con una mostra permanente di abiti allestita in base alla stagione: abbigliamento, accessori, design, con particolare attenzione all'arte giovanlie e futura del fashion;

il Sony Wonder Technology Lab (Sony Plaza Public Arcade, l'atrio pubblico al 550 di Madison Ave.) Museo sulla tecnologia, la creatività e l'intrattenimento futuristico.






Ma anche numerosi celebri musei di New York hanno giorni particolari dedicati agli ingressi gratuiti.


Il Moma, per esempio: il celebre Museum of modern art si può visitare gratuitamente dalle 16 alle 20 di ogni venerdì.

O il Guggenheim, che il sabato dalle 17,45 alle 19,45 si visita con una offerta libera.

O il 9/11 Memorial&Museum (il Museo dell'11 settembre)  martedì dalle 17 alla chiusura (massimo quattro biglietti gratis a persona).

O il Museum of Art & Design, che ogni giovedì dalle 18 alle 21 accetta anch'esso una offerta libera.

Il Whitney Museum of American Art, il Museo d'Arte moderna (in particolare americana) fondato nel 1931, è a offerta libera il venerdì dalle 18 alle 21.

Sempre il venerdì, dalle 17 alle 21, si può visitare con offerta libera l'International Center of Photography.

Il Museum of Jewish Heritage - A Living Memorial to the Holocaust, il Museo della Storia dell'Ebraismo e dell'Olocausto è gratuito dalle 16 alle 20 di ogni mercoledì.

Se siete appassionati di giardinaggio lasciatevi libero il martedì, perché l'ingresso al Brooklyn Botanic Garden è gratuito tutto il giorno.

Assolutamente da non mancare il mercoledì - specie se con voi ci sono dei bambini - lo Zoo del Bronx, uno spazio immenso dove sono gli animali (non in gabbia) a muoversi liberamente. 
Il mercoledì, appunto, l'ingresso allo Zoo è ad offerta libera. 
Donazione suggerita: 16$ per gli adulti, 12$ per i bambini.


Ma sono oltre 60 i musei e le sedi espositive della Grande Mela che prevedono l'ingresso gratuito in determinate ore e giorni della settimana.

La lista completa (e sempre aggiornata) la trovate qui.




© dario celli. Tutti i diritti sono riservati.