PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

sabato 8 giugno 2019

Le fragole di Erica.


Cari amici, vi presento Erica Alfaro, la protagonista di questa nuova storia di "Aria Fritta". 


Vive in California, ha 29 anni, e qui la vediamo nella classica foto ricordo - con tanto di tocco e toga - il giorno della sua laurea. 
Guarda dritto negli occhi, con uno sguardo davvero soddisfatto, radioso, fiero, direi. 


Che strana foto, però, per un ricordo di laurea.
Non l'ha fatta nel - peraltro bellissimo - campus della San Marco California States University, dove lei ha studiato e discusso la sua tesi in psicologia.
Finita la cerimonia, infatti, ha chiesto ai suoi genitori - orgogliosi ed impazienti di immortalare quel momento nella memoria del telefonino - di seguirla.

Fino al parcheggio dell'Università.
Dove, con loro un po' stupiti, li ha fatti salire in auto.

Il padre e la madre non fecero obiezioni (d'altronde, quello, era il gran giorno di loro figlia!). Certo si chiedevano cosa significasse tutto ciò e dove diavolo la loro "bambina", che aveva appena preso il master, li stesse portando.

Partiti, capivano sempre meno, mentre si allontanavano sempre di più dal campus.

Poi da quel quartiere.

Poi addirittura da San Diego...

"Ma dobbiamo solo fare una foto!", le dissero loro sorridendo e assecondandola, però.

Capivano sempre meno...
E ancor meno quando la loro ragazza alla guida prese la Ronald Packard Parkway, poi la Us 78 e in direzione nord, la Interstate 5. 
Che in quel tratto si chiama San Diego Freeway.

Ma dove diavolo??

Poi...

Poi improvvisamente, quasi nello stesso istante, tutti e due i genitori spalancarono gli occhi!

Tutto fu improvvisamente a loro chiaro quando, nei pressi della Pio Pico Drive, la loro Erica - sempre alla guida in silenzio e sorridendo - prese l'uscita 50 per Carlsbad.

E in un istante gli occhi spalancati dei suoi genitori si gonfiarono di lacrime.

Oh sì... 

Oh sì che Claudio Alfaro e Teresa Herrera conoscevano quella strada!
L'avevano percorsa centinaia, migliaia di volte nel corso della loro vita. 

In quella parte della seconda vita. 

Claudio e Teresa, 51 e 50 anni, la prima parte l'avevano vissuta a Oaxaca de Juárez, coloratissima - ma poverissima cittadina del Messico, che detiene la non invidiabile sesta posizione nella classifica nazionale di cittadina con la peggiore qualità della vita.  



Oaxaca de Juárez che era distante duemila miglia da San Diego.
Più o meno 3.400 chilometri, più a sud.

Là non avevano nemmeno potuto fare le scuole elementari: perché c'era bisogno anche delle loro piccole braccia per mangiare e vivere.

Poi, da adulti, la scelta - obbligata, drammatica - di andarsene.

Andarsene a cercare una vita migliore. 

Una vita, finalmente, con un possibile futuro. 

Pensate che quando nel 1990 arrivarono clandestinamente in California, i genitori di Erica erano analfabeti e parlavano solo il "mixtec" il dialetto delle montagne messicane. 

Giunti negli Stati Uniti, Claudio e Teresa si misero subito a lavorare, senza sosta, nei campi: la sola cosa che sapessero fare. Accettando di buon grado le dieci, dodici ore di fatica nella campagna californiana.

In California, la coppia aveva trovato casa a Oceanside, che sì ha una spiaggia bellissima di fronte all'oceano, ma che loro vedevano manco con il binocolo.
Altro che mare e palme: la campagna di quell'entroterra è semplicemente campagna.
Campi coltivati e basta.

Ma lì oltre che un lavoro adesso avevano anche una casa. La loro casetta americana con due stanze.
Piccola ma molto carina, era condivisa con un'altra famiglia, messicani come loro.
Una stanza per famiglia. 
Undici persone in due stanze.

Erica, al mattino andava a scuola con i suoi due fratellini. Poi, al pomeriggio, via a lavorare nei campi: "Secondo la stagione, raccoglievamo fragole, lamponi, pomodori... E più raccoglievamo, più ci pagavano. 
E a noi i soldi servivano per pagare l'affitto e mangiare". 

L'inizio del loro sogno americano fu piuttosto turbolento: ad un certo punto i genitori di Erica, infatti, dovettero lasciare gli Usa perché dovevano aspettare in Messico l'esito della domanda di naturalizzazione, in quanto parenti diretti di una cittadina americana. Si stabilirono così nella città messicana attaccata al confine americano: Tijuana. 
In quel modo la piccola Erica - nata negli Usa e dunque cittadina americana - poteva continuare a frequentare la scuola a San Diego, in America, dall'altra parte del confine.

A 15 anni l'ormai adolescente Erica vede in un venticinquenne l'amore della vita e la via d'uscita. E, incinta, sposa quel giovane, ovviamente abbandonando la scuola. 
Ma il sogno romantico di ragazzina si trasformò presto in un incubo: a suon di urla, insulti, schiaffi, calci. 
Sempre più quotidiani.
"Sogno" che cessò definitivamente quando lui la cacciò da casa. 
Via, fuori: lei e il bambino. 
Prendete la vostra roba e andatevene.

Erica ricorda bene quel doloroso, faticoso, periodo  che seguì: "Non vedevo via d'uscita, mi sentivo frustrata, e mi lamentavo in continuazione. D'altronde ero una ragazza, che di giorno lavorava in campagna, con un  piccolo che la notte non mi faceva dormire. 
Un inferno...
Ed io ero sempre uno straccio"

Fu la madre - saggia come sanno essere tutte le mamme - a dirle che c'era una sola soluzione per rompere quel circolo vizioso, fatto di lavoro, 
figlio, 
sonno che manca, 
sveglia all'alba, 
lavoro, 
figlio, 
e ancora quel sonno, che mai era abbastanza:
"Sappi che la tua vita sarà sempre così, d'ora in poi. 
Hai una sola possibilità per uscire da quest'inferno: studiare. 
Studiare e farti una posizione".

Cavoli, cari amici di Aria Fritta, siamo sinceri: quante volte ci siamo sentiti dire esattamente questa cosa noiosa dai nostri genitori? 

Ed Erica capì che in effetti, per lei, studiare era forse davvero l'unica soluzione. 
La sua unica "uscita di sicurezza".
L'unica possibilità che aveva per cambiare vita.
Ma sì, diciamolo: per emanciparsi. 

La signora Teresa, la mamma di Erica, non poteva certo conoscere don Milani, che nel lontano 1965 - dall'altra parte del mondo, a migliaia di chilometri, in Italia, in una minuscola frazione persa fra le montagne toscane - espresse con chiarezza il concetto ai suoi alunni della scuola di Barbiana, tutti ripetutamente respinti dalle nostre scuole, tutti figli di contadini e montanari analfabeti:
"Guardate, l'operaio sa cento parole, il padrone ne sa mille: ed è per questo che è lui, il padrone...". 

Erica, per fortuna, quella volta stette ad ascoltare sua mamma: prese coraggio e ricominciò da capo, iscrivendosi, a 17 anni, ad una scuola serale di San Diego.
Andando così, ogni giorno, avanti e indietro (da sola) fra il  Messico e gli Stati Uniti
Di giorno andava al lavoro in campagna con i suoi genitori, che erano ancora in Messico, in attesa di ricevere i documenti per vivere regolarmente con lei negli Usa grazie al "ricongiungimento familiare"; 
di sera, finita la giornata di lavoro, attraversava il confine per frequentare, a San Diego, in California, una scuola serale, finita la quale, ritornava a casa, a Tijuana, quando ormai era notte.  

E lì, in Messico, finalmente stava un po' con il suo bambino, che i nonni accudivano in sua assenza. Giusto il tempo di addormentarlo e sprofondare anche lei, in pochi secondi, finalmente nel sonno. 

Che periodo, quello! 
Sopra al suo letto, per farsi coraggio, aveva attaccato al muro un foglio con su scritto, in caratteri belli grandi: 
"La peor derrota es darse por vencido". 

"La peggior sconfitta è darsi per vinti".

Era il suo incentivo quotidiano, la frase che lei leggeva nei momenti di stanchezza, quando avrebbe voluto mollare tutto e fermarsi.

Ma lei non voleva assolutamente darsi per vinta. 

Anche perché, come spesso succede quando si inizia ad agire, ad un certo punto le cose iniziarono a prendere la direzione giusta

Intanto la domanda di ricongiungimento dei suoi genitori fu approvata, con loro che così poterono tornare a vivere tutti insieme negli Usa, in California. 

Poi, finalmente, arrivò il diploma.
E che festa, quel giorno, con il suo bambino...

 
Ma Erica, a quel punto, sapeva che non doveva, non poteva fermarsi.

Voleva di più, farla tutta, quella strada. 
Così arrivò il passo successivo: l'iscrizione all'Università. 

Università della California alla quale arrivò grazie ad una borsa di studio, e che Erica frequentò anche quando il suo piccolo venne colpito da una terribile paralisi cerebrale. Una situazione che, ovviamente, si ripercosse sul suo rendimento scolastico.
"Le spese erano sempre maggiori e i voti ne risentirono...", ricorda. 

Ma niente: lei non mollò nemmeno quella volta.

Ci mise sette anni per laurearsi, Erica Alfaro. 
Ma quando arrivò al traguardo, quel 19 marzo 2017, era come se avesse dimenticato d'incanto tutta la sofferenza, la fatica, i sacrifici fatti.
Ora - solo ora - tutto ciò che era successo nella sua vita iniziava ad avere un altro senso. 
Adesso sì che iniziava a vederlo, il senso.

Cari amici: dovevate vedere - ma certamente la potete immaginare - l'espressione dei genitori di Erica quando le venne consegnata la pergamena. Piangevano, piangevano a dirotto che quasi sembrava fosse successo loro una disgrazia...

La loro bambina laureata!
La prima laureata nella storia della famiglia Alfaro... 
Laureata e per di più in un'università degli Stati Uniti d'America!

E in quei momenti, la nostra Erica dimenticò d'incanto tutta la sofferenza, la fatica, i sacrifici fatti.
In quel momento si rese conto che lei voleva di più. 
Tutto quello non le bastava.
Voleva continuare, voleva raggiungere anche il master, e dunque, ancora una volta timidamente, presentò domanda per entrare alla San Diego State University.

Che il maggio dell'anno scorso le inviò questa lettera: 
"Cara Erica Alfaro, congratulazioni e benvenuta!
We look forward to working with you...
Non vediamo l'ora di lavorare con te...". 


Così siamo ai nostri giorni, amici. 
A qualche giorno fa, quando la nostra Erica ha conquistato anche il master in "Formazione e Psicoterapia"...

Il lungo racconto della vita di Erica ci ha portato indietro con gli anni, ma eravamo nella sua auto, ricordate?, con lei che finita la cerimonia di consegna del master stava portando i suoi genitori chissà dove per fare la benedetta foto ricordo.
L'avevamo lasciata sulla Pio Pico Drive davanti al bivio per l'uscita 50, quella per Carlsbad, con gli occhi dei suoi genitori che, tempo un secondo, si erano riempiti di lacrime quando avevano capito dove la figlia voleva fare quella foto.

Ecco dove voleva farla, la foto!
Ormai lo avevano capito: quelli erano i campi dove loro, da anni, stavano ore piegati a raccogliere lamponi, pomodori, fragole... 

La foto ricordo per il conseguimento del master sarebbe stata fra i campi di fragole di Carlsbad.

Nessun altro posto sarebbe stato migliore. 
Nessun altro luogo avrebbe potuto ricordare meglio la sua fatica, quella dei suoi genitori, i suoi sogni di ragazza.
I sogni della famiglia Alfaro.

E guardate che espressione fiera aveva il padre mentre, con gli occhi ancora increduli, guardava commosso la sua bambina e continuava a ripetersi "Mia figlia con un master! Una Alfaro con il master!"
              

Vi devo confessare una cosa, cari amici: prima di scrivere questo racconto ho fatto, "in punta di piedi", un'incursione nella sua pagina Facebook. Ed è lì che ho preso queste foto, che Erica ha deciso di condividere, qualche giorno fa, con tutto il mondo, raccontando la sua storia.

                                                                               
Immagini accompagnate da queste parole: 

"Con immenso amore, dedico la laurea e il mio master ai miei genitori, emigrati fra mille difficoltà negli Stati Uniti d'America per darmi un futuro migliore.

Dedico la laurea e il master a loro e ai loro immensi sacrifici. 

Se condivido pubblicamente queste foto personali, è per incoraggiare tutti gli studenti illegali e senza documenti, così come le ragazze diventate madri troppo presto o le donne vittime di violenze domestiche, a credere nel futuro e a battersi per finire gli studi. 

Ce la potete fare.
Ce la potete fare davvero.
Come ce l'ho fatta io...". 

...

Già, avete letto bene: la nostra Erica ha proprio scritto "studenti illegali e senza documenti"

A qualche illustre nostro ministro (ex...) verrebbe un colpo al sapere che oggi negli Stati Unit d'America ci sono 200-225mila ragazzi illegali, clandestini, senza documenti che frequentano ogni giorno regolarmente le scuole americane: dalle elementari all'università.

Senza che queste scuole pretendano da loro qualsivoglia documento.
Perché più delle regole burocratiche è importante che loro studino.

Tutti per diventare come Erica, la nostra amica "radical chic" che voleva la sua possibilità di rivalsa.

Non sapete quanto vorrei vedere la vostra faccia, in questo momento, cari lettori di Aria Fritta.
E la sua.

Comunque, se vi interessa, di questi ragazzi ne ho scritto QUI.




© dario celli. Tutti i diritti sono riservati

9 commenti:

  1. Bellissimo racconto, Dario. Siamo rimasti digiuni di "Aria Fritta" a lungo. Spero di leggerti ancora. Un abbraccio a te e a Giovanna.
    Loredana Bonizzoni

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    1. Cara Loredana,
      grazie ancòra per la tua presenza e la tua attenzione.
      Ok, vincerò la pigrizia e le avversità quotidiane con lo scrivere nuove storie.
      Te lo prometto...

      d.

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  2. Carissimo Dario, bellissima testimonianza. Ho le lacrime agli occhi e non mi vergogno di scriverlo... Un inno alla vita e all'amore! Dagli USA ancora una volta una lezione di democrazia per i nostri politici sovranisti.
    Un abbraccio. Paolo

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    1. Paolo, come sai e senti, l'ho scritta con il cuore...
      Un abbraccio a te.

      d.

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  3. Bellissima questa storia. Grazie per avercela fatta conoscere. L'America resta un paese dove i sogni si possono realizzare.
    Vorrei chiederti se è vero che nella prossima iscrizione per partecipare alla lotteria sarà obbligatorio inserire il numero di un passaporto valido. Io per esempio non ce l'ho e non posso pensarci all'ultimo minuto perché passa del tempo per ottenerlo dopo aver presentato la domanda alla polizia di stato, rischiando di non riuscire a riempire il modulo della lotteria entro la scadenza prefissata.
    Ne sai qualcosa di questi nuovi requisiti ?

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    1. Caro amico, ti ringrazio per le tue parole.

      Utile o no per la partecipazione alla Lottery, il passaporto in tasca è un ottimo amuleto che porta ottimismo, che induce all'azione.
      Devi fare qualche sacrificio perché richiederlo costa 42,50 euro più 73,50 euro di marca da bollo.
      Ma averlo è una indispensabile "uscita di sicurezza", indispensabile per viaggiare fuori dall'Europa.
      In particolare per andare negli Stati Uniti.

      Sappi che il passaporto si può anche richiedere negli Uffici Postali, solo che in quel caso i tempi tecnici burocratici sono leggermente più lunghi.
      Di norma - richiesto in Questura - ci vogliono una quindicina di giorni.
      Più o meno.

      Hai davanti, dunque, tempo per richiederlo e riceverlo.
      Soprattutto prima del prossimo ottobre, quando si riapriranno i termini per partecipare alla Lotteria Green Card.

      Il passaporto poi ti sarà utile per fare un primo viaggio, un primo sopralluogo, negli Stati Uniti. Indispensabile - credimi - se oltretutto si sogna di andarci ad abitare, ovvio.
      E' una cosa che io consiglio sempre, a chi non ci è mai stato.
      Non mi hai detto da dove scrivi, ma tu ti trasferiresti mai a Bari, a Pinerolo, a Livorno o a Catanzaro senza mai esserci stato?
      Un primo sguardo "da turista", credimi, serve eccome.

      Ora alzati e vai all'ufficio postale, e compila il bollettino per pagare la tassa indispensabile per il rilascio del passaporto.
      Sbrigati, ché poi dovrai andare in Questura!

      Fila!
      Di tutto il resto, ne parleremo dopo...

      d.

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  4. Ah,ah! Hai ragione seguo il tuo consiglio. Grazie.
    Comunque scrivo da Messina.
    Saluti.

    Nino.

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  5. Era un pò che non ci allietavi con i tuoi racconti che per me sono sempre fonte di approfondimenti. Una bellissima storia di riscatto e determinazione che fa da contrappunto alle tante storie di intolleranza xenofoba di cui troppo spesso si legge di qua e di là dell'oceano. Un in bocca al lupo a Erica e ai tanti che ci provano tutti i giorni. Saluti. Enzo

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