PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

mercoledì 14 novembre 2012

Le lacrime di Carla

L'avevo notata.
L'avevo notata già da lontano, quando ancora non eravamo in fila per entrare al controllo passaporti.

Era giovane, giovanissima. Ed era affranta. 
Affranta, disperata. 
Lacrimava, singhiozzava in silenzio. Con una mano asciugava gli occhi e il naso, con l'altra si aggrappava a sua sorella, che la accompagnava.
Doveva essere sua sorella, perché si somigliavano.
Grazie a iojack.us
Sono passati tre mesi.
Tre mesi oggi, da quella coda, da quel passaporto in mano, da quel pianto.
Lei, Carla, davvero cercava di ingoiare quella tristezza, quella angoscia, quella paura dell'ignoto che aveva dentro.
Doveva essere la prima volta negli Stati Uniti, ho pensato. E per di più da sola.
E lo era, come raccontò dopo.

Ricordo la sorella più grande che cercava di controllarla, l'emozione: che in qualche modo voleva cercare di consolare Carla, la sorellina, che stava per partire per andare lontano.
Lontanissimo.
E come sembra ancor più lontana, l'America, quando si sa che il ritorno non è affatto dopo uno, due, tre mesi...

Fu come un passaggio di testimone: attaccai discorso (non che faccia fatica ad attaccar discorso con sconosciuti, io...) mentre eravamo in fila per entrare al controllo passaporti, quando ancora c'era la sorella vicina. Che ci sorrise, e con gli occhi chiese a me e a Giovanna di stare vicino alla sorellina che partiva. 
Per due anni.
In America.


Ricordo che la feci parlare, subito, mentre la nostra coda la allontanava dalla sorella che continuava a seguirla sempre più a fatica.
Ricordo benissimo quando Carla rivolse l'ultimo sguardo a lei, prima che fossimo troppo lontani.
Sì, era la prima volta che andava in America.
Anzi, era la prima volta che andava così lontano.

Il volo DL 169 era lì che ci aspettava.
Facemmo i controlli praticamente insieme, come tre amici. E' così complicato e sono così dettagliati i controlli, quando si va negli Stati Uniti. Aveva voglia di non concentrarsi troppo su quel che doveva fare. Aveva voglia solo di fare esattamente quello che facevano gli altri, quello che facevamo noi.

Mancava più di un'ora alla partenza e in quel tempo l'ho trapassata di domande.
Ci racconterà che andava in America grazie ad una organizzazione che si chiama "Au Pair in America" (se vi interessa cliccate sopra al nome), che da 25 anni si occupa specificamente di questo, mettendo in contatto famiglie americane che hanno bisogno, con ragazze che vogliano soggiornare "alla pari" negli States.
Requisiti: 18-26 anni, patente, amante dei bambini, diploma di scuola superiore, buon inglese ("Ma io l'ho solo studiato a scuola... Chissà come me la caverò..."), pratica di baby sitting in Italia, nessun precedente penale e nessun problema a stare un anno in una casa con una famiglia americana. 
(Documentandomi, poi, leggerò che la "famiglia americana" oltre a fornire vitto e alloggio gratuito, lascia 1,5 giorni liberi la settimana, due settimane di ferie retribuite l'anno, e versa settimanalmente alla ragazza 195,75 $, ad oggi 154 €uro). 

"Voi la conoscete, l'America? Com'è? Come si sta?", ci chiese...
Ricordo che io sorrisi, e che presi fiato come per parlarle per tutto il viaggio, per nove ore.
In realtà, subito le dissi solo "Credimi, vedrai: tornerai trasformata. Sempre se deciderai di tornare".
Ricordo benissimo lo sguardo perplesso di Carla, ancora umido di lacrime. Il suo sorriso un po' tirato. Ricordo quell'espressione che voleva dire "Sivvabbè, davvero? Devo crederci? Ma ti pare che non vorrò tornare a casa?".

Ora che ci penso la nostra chiacchierata non durò molto. Un'oretta, più o meno. 
Le parlai dell'irrazionale sensazione di libertà che si sente in America, del fatto che nessuno giudica cosa sei, come ti vesti, da dove vieni... Anzi, le dissi che tutti chiedono "Da dove vieni?", perché tutti, negli Stati Uniti, sono giunti da qualche parte...
Le parlai del gigantismo americano, degli spazi immensi, della voglia che ti viene di vedere altro dell'America, della voglia che ti viene di ripartire ("Per andare dove, amico? - Non lo so ma dobbiamo andare..."), ripartire per andare a cercare, a conoscere, tutte LE Americhe 
Le parlai della gentilezza degli americani, del senso civico che regna, del rispetto della cosa pubblica...
Poi salimmo in aereo.

Il viaggio lei lo fece vicino ad un filibustiere (che certamente le stava facendo la corte, pensai), e ci ritrovammo proprio quando dovevamo scendere, quando si sarebbe trovata di fronte al tanto temuto controllo dell'Immigrazione americana.

Saranno anche severi, gli americani alla loro frontiera, ma per fortuna la loro esperienza li porta a distinguere facilmente una masnada di rincoglioniti italiani.
Lei aveva sbagliato modulo: aveva un visto "R", dunque non doveva entrare come "turista";
io pure, avendo il mio visto "I".
Ricordo che in quel momento pensai che ai suoi occhi tutta la mia "credibilità" era crollata in un istante, davanti a quel funzionario dell'immigrazione che scosse la testa.

Poi, tutto a posto: moduli compilati, lei che tira fuori da una busta di plastica trasparente fogli su fogli, per poi sentirsi dire da lui "Welcome in the United States!", prima che, sorridendo, le timbrasse con forza il passaporto.
Attraversando gli asettici corridoi del Jfk airport, andammo dunque insieme ai nastri per ritirare le valige. Poi ci dirigemmo verso l'uscita, dove ci saremmo salutati.
Mi sforzai di pensare quale potesse essere il suo stato d'animo, in quel momento: lo stato d'animo di una ragazza poco più che ventenne per la prima volta da sola nel Nuovo Mondo, con davanti quell'avventura.
E tutta la vita, porca miseria...

Lì, all'aeroporto, doveva raggiungere altre ragazze come lei, provenienti da mezzo mondo, mi parve d'aver capito, arrivate lo stesso giorno per la stessa organizzazione. Si sarebbe fermata con loro per seguire un corso introduttivo lì, vicino a New York, e poi sarebbe partita alla volta della sua nuova "famiglia", a Philadelphia.

La lasciammo così: io come un padre ero un po' preoccupato, perché sapevo che da quel momento sarebbe stata da sola. 
E soltanto chi è stato all'aeroporto di New York, agli arrivi, sa qual è il livello di grandissimo casino, di allegra gigantesca confusione che c'è lì...

E come un padre preoccupato lasciai a Carla sia il mio numero di cellulare americano che quello italiano: "Per qualunque cosa telefonaci senza farti alcun problema. E vedrai che andrà tutto bene", le dicemmo io e Gio prima di salutarla, e prima che lei si facesse inghiottire dalla folla, diretta chissà dove...
Non ci telefonò mai, mentre eravamo in America, Carla.

Una quindicina di giorni dopo accettò la nostra richiesta di amicizia su Facebook e da lì, con discrezione, come un padre ansioso, ogni tanto davo un'occhiata alla sua pagina.

Sorrisi e capii che andava tutto bene quando vidi la foto di lei, scalza e sorridente, seduta di fronte alla casa della sua "famiglia" americana.


"Purtroppo non mi fanno usare le scarpe dentro casa e quando esco fuori non ho voglia di cercarle", leggo sotto la foto del 1° settembre.
Ho sorriso...
D'altronde è così bello camminare a piedi nudi sul parquet, no?
Insomma, Carla - la stessa Carla che nemmeno 15 giorni prima aveva la gola che le scoppiava di lacrime - aveva proprio l'aria di star bene. 

Ci vuole poco per innamorarsi dell'America, vero Carla?

Leggo dal suo diario su Facebook:
21 settembre: "Week end a New York", con la pagina piena di fotografie della Grande Mela...

2 ottobre: "Il più grande spettacolo è l'America! :-)"

15 ottobre, il giorno del suo compleanno: "Un compleanno lunghissimo e ricco di sorprese è terminato poche ore fa... Non lo  scorderò con facilità! Il ristorante e tutto il suo staff ha cantato per me la canzone e si è presentato con una buonissima torta al cioccolato ed altre candele da spegnere! Sono stati tutti incredibilmente fantastici... parenti, famiglia ospitante, nuovi amici e pure qualche sconosciuto :)"

1 novembre: "Non so dove trovo le energie per correre, giocare, cantare... Riflettendoci ho tanti stimoli: i bambini in primis, che ogni giorno mi danno tante soddisfazioni, la piccolina in particolare. E poi, va beh, il generale la mia vita quasi perfetta! Consiglierei gli States come cura mentale a tutte quelle persone che si sentono giù moralmente! :) E' bello sentirsi vivi!"

Poi racconta di una gita a Washington, a vedere "la casa di Obama". Tra l'altro ha anche la fortuna di vivere la rielezione di Barak Obama dall'interno di una famiglia che ha votato Partito Democratico.
E quel giorno scrive, non so bene rivolta a chi: 

7 novembre: "La mia famiglia è democratica... io voterò più avanti :-) come te del resto. Dato che il nostro posto è qui!".


Me lo ha fatto ricordare lei che sono passati tre mesi da quel giorno, da quando la incontrammo smarrita e in lacrime all'aeroporto di Fiumicino.
Me lo ha fatto ricordare con questo suo messaggio scritto due ore fa nella sua pagina di Fb:

"E sono già 3 mesi in USA... vissuti con la speranza di poterci stare per sempre!
Nel mentre, mi godo questa vita per due anni! 

La mia famiglia ospitante mi ama quanto io amo la mia nuova vita e tutti coloro che mi circondano ".


E allora, ancora, ho sorriso.
E con quel sorriso mi sono addormentato...




P.S.: Poi succede che lei oggi legga queste righe e che mi scriva: 
"... Evidentemente i miei occhi 'parlavano' tanto quel giorno. Quel giorno che inizialmente ho maledetto e che adesso benedico. 
Mi sono innamorata dell'America dopo un giorno. E' bastato pochissimo! Sono arrivata a New York e le lacrime sono magicamente sparite. 
Pensai: 'Non illuderti, Carla, se adesso stai bene, è normale, stai con altre ragazze e ti stai divertendo, ma una volta che arriverai a Philadelphia avrai da lavorare, da studiare e non sarà così divertente!'.
E invece ogni giorno è un giorno nuovo, nuovo di zecca!
Si respira aria buona, qui...
Credo ci sia qualcosa di magico... 
Ci si sente liberi...
Attualmente mi sento libera, viva, felice, fresca, fortunata.
Dario&Gio, avevate perfettamente ragione...
L'America, altro che Lourdes! ;)
Un abbraccio grande quanto l'America! :)".

 
(Cliccare QUI per leggere il seguito)

© dario celli. Tutti i diritti sono riservati

25 commenti:

  1. Storia meravigliosa!! Come sempre, certe esperienze vanno fatte... e poi ti rendi conto che potrebbe cambiarti la vita!!!

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  2. Io piango quando me ne ritorno in Italia, invece...
    Penelope

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    1. Basta creare, poco per volta, le condizioni per restare...

      d.

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    2. Era proprio la sorella maggiore che non si voleva staccare da lei e che nascondeva le lacrime...per fortuna però ora sono entrambe felici e Carla ha iniziato a vivere la sua vita da quando è arrivata in America. Grazie per esserle stato vicino.
      Marta

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  3. ma che bel racconto :-)

    [anche io ogni volta che parto dall'italia piango, esattamente perche' parto ma non so quando torno... una volta pero' atterrata in america sto gia' sorridendo :-) ]

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  4. Mi hai fatta commuovere... !

    Bellissimo racconto

    Rita
    Ri Benny

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  5. Bellissima racconto e storia, che emozione tutto questo!! Sei stato davvero fantastico!!! E sono felice per la ragazza che dalle lacrime è passata al sorriso....emozioni davvero forti!!! :-) ciaooooo

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  6. ... che storia dolce! Grazie per avercela raccontata con tanta naturalezza e affetto!

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  7. Caro Dario,
    anzitutto grazie per avermi suggerito di leggere queste tue righe.
    Lo scenario che apri non è solo quello di una fuga possibile, ma anche quello - più ampio, secondo me - di una nuova frontiera dell'emigrazione: se prima si espatriava per "fare fortuna", adesso si lo si fa per vivere, per sopravvivere. Andrebbe analizzato con la lente d'ingrandimento l'espatrio volontariodi Carla, alla ricerca di una felicità che evidentemente qui non è neppure più pensabile.
    E l'attenzione che hai sapientemente e con garbo gettato sulle mille luci degli States evidenziano ancora di più - come in un controcanto strozzato - la penombra cupa del nostro paesotto alla deriva. Una penombra che - quale limite dovremo ancora superare per averne piena coscienza? - sta precipitando senza freni verso il buio pesto.
    Grazie ancora.

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    1. Cara Chiara, non lo so...
      Non so cosa rispondere.

      La mia risposta, in realtà, meriterebbe un "racconto" a parte. Perché tutti meritate, meritiamo, di riflettere.
      Su tutto questo.

      Sulla (legittima) voglia di andarsene.
      Sulla (legittima) voglia di restare.
      Sulla (legittima) voglia di cambiare questo Paese.
      Sulla (legittima) rassegnazione al fatto che non cambierà mai.

      Cercherò di scrivere (e di rifletterci su, prima).
      Anche se sono in arretrato su un sacco di cose.

      Adoro le (mi nutro delle) vostre risposte.
      Senza queste, il mio sarebbe solo esercizio di vanità.

      Grazie ancora...

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  8. MARIA SEMERARO BELLANCA dice:
    " Dario trovo la storia molto affascinante. Mi hai fatto ritornare indietro nei mie 18 anni, quando io, come lei, ero aggrappata in aeroporto, la paura la leggevano tutti, appena incominciammo ad imbarcarci feci un passo indietro, mi chiedevo se era meglio tornare a casa..Era la paura del non sapere e la paura di volare per la prima volta (che purtroppo non mi e' mai passata). Comunque e' il modo in cui racconti, le foto e i minimi dettagli spiegati con tanta accuratezza che fa veramente vivere questa storia a chi la legge :) o ricordo che il pilota ogni tanto mi veniva a trovare (visto che non avevo un Dario o una Gio) e mi rassicurava che mi avrebbe portata a New York sana e salva e che a lui non gli andava di morire (con un sorriso naturalmente). Il mio ricordo piu' bello e' quando le ruote dell'aereo toccarono il suolo americano....ufff che sollievo allora gia' cominciai ad immaginare la mia nuova vita...e come vedi sono ancora qua', ed ho fatto delle esperienze uniche, tante che purtroppo non avrei mai potuto fare in Italia :(

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  9. mi pare di riconoscere una certa foto :-P

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  10. Okay, devo smettere di leggere! Perchè a 55 anni (e all'orizzonte si scorgono i 56) il cuore è sensibile e torno indietro a quando avevo l'età di Carla: il sogno americano c'è sempre stato ma, prima la musica, poi la famiglia, rimaneva in un angolo a sonnecchiare. Poi la primavera del 2008 lo risveglia e si materializza attraverso un regalo che ci siamo concessi per la maturità della nostra 'bimba'; è un viaggio organizzato, classico tour della Florida in pullman, ma lascia il segno! E magari qualche lacrima fa di tutto per rimanere negli States mentre siamo al check in di Miami, o forse siamo noi che vogliamo lasciare una traccia del nostro passaggio tra gli alligatori delle Everglades e le rampe di Cape Canaveral. Ci eravamo fatti una promessa (le promesse vanno mantenute) e dopo mesi di preparativi il 9 settembre 2011 ci accoglie a JFK. Il Suv ci attende a poche centinaia di metri da dove il Boeing 767 ci ha scodellato sul suolo yankee per il nostro giro in completa autonomia (basta pullman!). Un cerchio abbozzato durante i mesi precedenti: NYC (emozionante commemorazione 11/9/2011), Niagara Falls+Toronto, Pensylvania con annessi Amish, Philly, Washington D.C. e di nuovo JFK dove, a malincuore, molliamo il Suv e le solite lacrime (anche virtuali). Questo viaggio non ha lasciato solo il segno, ha proprio scavato nel cuore, infatti non c'è reportage tv sugli USA che non termini con la solita domanda della nostra 'bimba': 'papy, mi porti???', al che io rispondo: 'Moni, mi porti???. Chissà se il 2013 ci porterà in dono la Green Card che abbiamo richiesto tre settimane fa; lo so che sono anziano, anche la mia dolce metà è anziana, ma la nostra 'bimba' no!....e chissà che noi si torni a respirare aria statunitense, e non solo per una vacanza. Caro Dario, non ti conosco personalmente (e Dio sa se lo vorrei) ma che ne dici: riusciremo a ritrovare le nostre lacrime tra Miami e NYC?

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    1. Caro Elio,
      non ti permettere di scrivere certe cose in queste pagine.
      Io e te non siamo anziani, dannazione!
      :-)
      Io voglio semmai ritrovare i nostri passi, non le nostre lacrime...
      Mai, mai, mai, rassegnarsi.
      "Non arrenderti, né ora, né mai!"

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    2. Nelle nostre lacrime è conservato il DNA delle nostre emozioni (ne ho versate alla commemorazione del 11/9/2011) ma hai ragione a ripercorrere vecchi sentieri e magari trovarne di nuovi. Vedi, la parola 'antico' viene associata a qualcosa da restaurare, la parola 'vecchio' viene associata a qualcosa da buttare, ma la parola 'anziano' ha il sapore di 'vissuto' o anche 'saggio e maturo'. Condividi?

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    3. 'nsomma... :-)
      Faccio fatica ma sì, condivido...

      Ma c'è un momento in cui si smette di "crescere"?

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    4. Ma c'è un momento in cui si smette di "crescere"?
      Come giustamente dici:
      Mai, mai, mai, rassegnarsi.
      "Non arrenderti, né ora, né mai!"....(di "crescere")

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  11. che emozione! mi hai fatto rivivere le sensazioni di quando 24 anni fa (24 anni? argh!), 16enne, sbarcai al JFK per iniziare la mia avventura di exchange student nelle fredde praterie del midwest.
    sono commossa, ma essendo al lavoro mi contengo...

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    1. E ora, ex 16enne, dove sei?
      Che fai?

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    2. adesso, dopo aver fatto tappa in Minnesota, Svezia e Tanzania, sono in Italia e forse ho trovato il mio posto :)

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