PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

mercoledì 26 giugno 2013

Le tre vite di Antonio


Quella che vi voglio raccontare oggi è una tipica storia italo-americana.
E' la storia di Antonio.

In verità, la storia di Antonio è divisa in tre parti.

La prima parte della sua vita si svolge in Sicilia, in un piccolo angolo di paradiso, allora: stiamo parlando del 1958. Oddio, non che l'antico porto di Segesta sia cambiato, da 55 anni a questa parte.
Anche oggi, effettivamente, Castellamare del Golfo è uno dei gioielli siciliani...
















Un porticciolo "autentico" (di pescatori, intendo; niente yacht di lusso...), un paesino arrampicato ai piedi del monte Inici, che vive, seppur con un po' di difficoltà, di pesca e turismo.
Oggi.

55 anni fa di pesca e povertà.

L'alternativa alla miseria, mezzo secolo fa, era partire, andare via. Emigrare.
"Parto, non parto? Parto, non parto?", si deve essere chiesto Antonio per giorni, per settimane, per mesi...

Finché, alla fine, Antonio Pipitone decide di partire.
Un giorno del 1958 prende una corriera, poi un treno fino a Palermo, e poi una nave.
Diretta a New York.

Possiamo solo immaginare la sua emozione quando vide la  Statua della Libertà, con quella poesia scritta nel 1883 dalla poetessa Emma Lazarus incisa alla base.
Una poesia che sembrava proprio essere scritta per lui.

"Tenetevi i vostri antichi Paese 
  con la vostra storia fastosa. 
  Datemi le vostre masse stanche, 
  povere, 
  oppresse, 
  desiderose di respirare libere, 
  miserabili rifiuti dei vostri lidi affollati.   Mandateli a me   i diseredati, 
  gli infelici, 
  i disperati: 
  Io 
  alzo la mia lampada
  accanto alla porta dorata”.
 

E' qui che inizia la seconda parte della vita di Antonio Pipitone.

Erano anni, quelli, in cui era facile trovare "lavoretti", negli Usa, e passare dai "lavoretti" ad un vero e proprio lavoro.
Antonio ha iniziato facendo il muratore.
Poi ha fatto il cameriere.
Poi ha trovato la sua strada, occupandosi contemporaneamente di ristorazione ed edilizia. E così ha aperto prima un piccolo ristorante, poi un altro, poi un altro, senza mai dimenticare il suo mestiere d'origine.
Accanto ai ristoranti, nei decenni, il nostro Antonio ha infatti consolidato e sviluppato anche il "settore edilizia", fino ad aprire un'impresa di costruzioni.


E lavorando come un matto, anno dopo anno, in cinquant'anni tra l'altro è riuscito a dare lavoro a decine di persone: camerieri, cuochi, manager di sala, cassieri, muratori, carpentieri, geometri, architetti, tappezzieri...

Cavolo: come poteva non essere felice, Antonio?!?
In America era riuscito a realizzare l'impossibile.
Partito in "braghe di tela", in più di mezzo secolo, spaccandosi le reni sette giorni su sette, aveva messo su una ditta di costruzione (regolarmente registrata, e per la quale gli fu concessa regolare licenza), ovviamente aveva pagato con regolarità tasse, stipendi e contributi dei dipendenti, e in più, nel frattempo, si era sposato, ha avuto figli, i quali negli anni gli hanno regalato un bel po' di nipotini.
Tutti nati americani, ovviamente.
O diventati americani, come sua moglie, anche lei emigrata dall'Italia.

Tutti tranne lui.


Già, perché lui, in tutti quegli anni ha sempre rimandato il problema.

Avete letto bene: quel testone, quel disgraziato di Antonio, dopo un paio di visti, non ha infatti più regolarizzato la sua posizione, diventando così silenziosamente e automaticamente "illegale" .

Gli americani sono gentili, e negli Usa, i "clandestini", vengono chiamati, com'è giusto, soltanto "illegal".

Strano Paese, l'America.
Ma ormai lo avete imparato a conoscere un po' di più, se siete lettori abituali di queste pagine.

Antonio, per vivere da "clandestino" (pardon, da illegal) in America ha usato un trucco.
Il più semplice del mondo, in un Paese in cui la Polizia non può chiedere a casaccio, indiscriminatamente, i documenti: "Semplice: in tutti questi 55 anni sono stato un perfetto cittadino americano. Sono 'pulito', non ho mai commesso un reato, non ho mai usato un nome falso, non ho mai preso una multa, non ho mai avuto grane di alcun tipo.  E per 50 anni ho sempre  pagato regolarmente le tasse e ho sempre assunto regolarmente i miei dipendenti".
Finché...


Finché, qualche settimana fa, per uno stupido contenzioso legale - nel quale lui, peraltro, era pure dalla parte della ragione - venne fuori che lui aveva sì la patente americana, che sì aveva regolarmente pagato le tasse per 55 anni, che sì era incensurato e non aveva mai subito una multa nemmeno per divieto di sosta...

Ma - ormai ottantenne - era "illegal", privo, cioè, di visto di lavoro, o di visto di residenza, o di Green Card.
Non aveva niente.
Niente di niente.

Le cose, in questi casi, in America vanno spedite.
Dopo aver capito la situazione, gli agenti bloccano l'ottantenne italoamericano (anzi, italiano) Antonio Pipitone e chiamano i colleghi dell'immigrazione che lo arrestano. In attesa di capire.


Ma non è che ci fosse molto da capire. Tutto era chiaro.
Antonio Pipitone era negli Usa illegalmente, e così lo è stato per decenni.
I suoi avvocati, ovviamente, erano pronti alla battaglia, nemmeno poi tanto complicata, poi: d'altronde, per 55 anni, il loro cliente "era stato sempre un cittadino americano modello", "aveva contribuito ad arricchire l'America con il proprio lavoro e con quello fornito a decine di cittadini americani", "educando i suoi figli alla legalità e al vivere civile", erano pronti a dire al giudice.

Insomma, sarebbe stata una passeggiata.
Ma certo la causa sarebbe potuta durare qualche settimana, forse un mesetto; con il loro cliente che avrebbe dovuto attendere in un centro di detenzione per immigrati irregolari, gli sviluppi della situazione per giorni.

Il nostro Antonio conosce bene l'America (ci ha vissuto 50 anni!) e allora, improvvisamente, "su due piedi", prende una decisione: fra stare in una camera di sicurezza magari per un mese (almeno...) aspettando il successo dei suoi avvocati, e ritornare in Italia - alternativa che gli avevano posto gli agenti dell'Immigrazione - lui sceglie di tornare.

D'altronde era un po' che aveva quell'idea in testa: tornare in Italia, per vivere al paese quel che rimaneva da vivere.

E qui inizia la terza parte della vita di Antonio Pipitone.

Dopo nemmeno 24 ore di camera di sicurezza, il 25 aprile gli agenti dell'Us Customs & Border Protection lo caricano sul primo volo diretto in Italia.
Così, senza bagaglio.
Vestito così com'era al momento dell'arresto.

E ora immaginatevi la scena al posto di frontiera di Roma Fiumicino.
Antonio Pipitone esce dall'aereo con gli altri passeggeri e paziente fa la fila al varco riservato ai cittadini dell'Unione Europea.
"Da dove arriva?" gli chiede con il consueto distacco italico l'agente.

"Dagli Stati Uniti".
"Bene, bentornato a casa! Mi da il passaporto?"

(Passaporto? Ca quale passaporto??)


Già, il passaporto...

Il passaporto americano il nostro Antonio non ce l'aveva, e quello italiano, lo aveva richiesto al consolato di Philadelphia, in Pennsylvania, trent'anni fa, nell'83.
Ma poco tempo dopo lo aveva perso...

E se in trent'anni non aveva mai avuto tempo di perfezionare la documentazione per diventare cittadino americano (vero Elisabetta? ;-) ndA), figuriamoci se aveva trovato il tempo per richiedere un duplicato del passaporto italiano...

Avete presente lo stupendo film Terminal, con Tom Hanks?
Era ispirato ad una storia accaduta ad un apolide espulso da un Paese asiatico che a Parigi rimase nel limbo dell'aeroporto Charles De Gaulle per alcuni anni, prima che venisse trovata una soluzione.
Ebbene, questo è quello che, un mese fa, è accaduto al nostro Antonio Pipitone.

Arrivato all'aeroporto di Roma Fiumicino, Antonio Pipitone si è trovato con un telefonino americano - che in Italia non funziona - e un po' di dollari.
Vaga all'interno dell'area internazionale dell'aeroporto per alcuni giorni, lavandosi nei bagni e dormendo sulle poltroncine assai scomode.
Sentiti al telefono e rassicurati del suo arrivo, i figli gli inviano immediatamente dei soldi dall'America, ma all'ufficio "money transfer" di Fiumicino lui non li ha mai potuti ritirare, visto che non accettavano come documento né la patente, né l'ID (la carta di identità) americana.

Sono stati i figli, dall'America, ad allertare la polizia italiana: "Nostro padre è lì, in aeroporto. Aiutatelo, per favore".

E sono stati gli agenti della Polizia di Frontiera della Quinta sezione, di cui conosciamo solo i nomi - Antonio, Gianfranco e Giordano - a cercarlo immediatamente battendo i tre terminal di Fiumicino, e a rintracciarlo. E a dargli finalmente da mangiare, e a rassicurarlo che si sarebbero occupati della situazione. Lo hanno praticamente "adottato",  in quei 21 giorni di limbo: "I miei angeli" li ha chiamati lui.
Veri e propri angeli che hanno anche fatto una colletta per farlo dormire in un albergo fino a quando non ha potuto ritirare i soldi con i suoi documenti, visto che alla fine gli erano rimasti 13 dollari.

Ogni mattina era però a Fiumicino, per vedere se la sua situazione si sbloccava. E chiacchierava un po' con i turisti americani che incontrava, per passare il tempo.
Poi ritornava all'ufficio di Polizia per capire quando sarebbe uscito da quel limbo.
Terminato quando i documenti sono arrivati.

Eccolo qui sotto, Antonio, con la maglietta nera e un giubbino rimediato, fra i suoi angeli custodi che lo hanno aiutato a tornare a casa.
Perché alla fine, dopo 21 giorni, i nuovi documenti italiani sono arrivati e lui ha potuto finalmente raggiungere Castellamare del Golfo e la sua Sicilia.
E' a casa della cognata Tina che Antonio racconta tutto questo: "Mi ha fatto dei buonissimi rigatoni, proprio come quelli che mangiavo qui da bambino, e mi ha fatto la gallina, e ho bevuto il nostro vino...".

"Tornare negli Stati Uniti?
E perché mai?
Io ho 80 anni, ho vissuto una splendida vita in America. Ora aspetto mia moglie, che lei il passaporto ce l'ha ed è 'tutta a posto'. I miei figli verranno qui a luglio e a settembre per venti giorni, poi passeremo insieme il Natale, qui al paese.

Noi siamo 'very nice people', siamo lavoratori numeri uno, rispettosi, i miei figli mandano tutti i loro figli a scuola.

E io sono un perfetto cittadino americano: amo l'America, la nazione che mi ha fatto crescere.
No no: sono felice.
Ho fatto quello che ho voluto.
Ora sto qua e morirò nella mia Sicilia, dopo aver vissuto in questo splendido Paese",
dice in un lapsus, quasi come se ancora fosse in America.

Non porta alcun rancore per gli Stati Uniti, Antonio.
Anzi.

"Io non smetterò mai di ringraziare l'America per i cinquant'anni che lì ho vissuto meravigliosamente.
So di aver sbagliato.
Sono stato io a compiere un errore, e la legge americana va rispettata.
Ora fatemi riposare.
E God bless the United States of America!
Che Dio benedica gli Stati Uniti d'America...".



© dario celli. Tutti i diritti sono riservati

13 commenti:

  1. stupendo

    ciao cristian

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  2. Storia meravigliosa... ho le lacrime agli occhi.

    Rita

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  3. Secondo me in USA ci giocano un pò con questa cosa degli illegal,in quanto finchè pagano le tasse,non creano rogne e contribuiscono ad arricchire gli USA per loro va bene....se no come si spiega che un illegal può prendere la patente,pagare le tasse ed aprire delle attività?

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    1. Credo che si spieghi (credo...) con il fatto che negli Usa non esistono "anagrafi" centrali, e che spesso i vari enti (paradossalmente) non sono necessariamente collegati fra loro.
      Se leggi "La storia di G.", in queste pagine, troverai un'altro caso simile: un mio caro amico che negli Usa prese la patente nonostante fosse "illegale".

      Sul pagare le tasse, mi pare ovvio: uno Stato, i soldi, non li rifiuta mai!
      Anche in questo caso conosco numerose persone che, pur essendo "illegali" versano (o hanno versato) regolarmente tasse e tributi. E tutti lo fanno soprattutto perché consigliati dagli avvocati, perché nell'eventuale ricorso per ottenere la regolarizzazione, il fatto di aver pagato regolarmente le tasse è oggettivamente riconosciuto come elemento "positivo", favorevole al ricorrente, elemento che dimostra l'intenzione genuina dell'illegale a vivere veramente "da americano" (oltre al fatto che ha contribuito, in effetti, alla ricchezza degli Stati Uniti)...

      d.

      P.S.: Grazie per essere passato da qui!

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  4. Che storia strana.
    Mi sembra assurdo che in 50 anni sto tipo non si sia minimamente preoccupato di mettersi in regola, io non ci dormirei la notte!
    Ma nemmeno la moglie o i figli hanno mai detto niente!
    Eccheccavolo però...

    Discorso illegal-clandestino è indifferente, indicano la stessa cosa.

    Se si facesse in Italia la stessa cosa, saremmo moooolti meno.

    Altra cosa assurda è il non collegamento tra i vari enti, pensavo che un paese altamente informatizzato come gli Stati Uniti, tutto fosse collegato, scrivi il nome e tac vien fuori tutto.
    Misteri del mondo moderno!

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    1. Caro Rossi, se - come dici tu - si facesse in Italia la stessa cosa chi pulirebbe il culo agli anziani non autosufficienti, chi starebbe nelle cucine del 75% dei nostri ristoranti, chi farebbe le pulizie nel 70% delle case degli italiani, chi lavorerebbe nelle stalle, nelle concerie, nelle campagne a raccogliere mele e pomodori?
      Inoltre, com'è noto, in Italia non si fa affatto la stessa cosa: in Italia le forze dell'Ordine possono chiedere i documenti a chiunque vogliano, a loro assoluta ed indiscutibile discrezione: perché hanno la pelle scura, perché sono vestiti male o trasandati, perché hanno i capelli lunghi (venivo fermato almeno una volta al giorno, quando ero ragazzo... e che facevano poi? guardavano il mio documento e manco controllavano. E che erano? Tutti Pico della Mirandola?).
      Ti sembrerà assurda questa storia, ma libertà individuale, negli Usa, è un diritto assoluto e primario.
      Tantovero che un cittadino americano - come ho già raccontato in queste pagine - non è obbligato a possedere alcun documento di identità.
      Misteri della libertà...

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    2. "chi pulirebbe il culo agli anziani non autosufficienti, chi starebbe nelle cucine del 75% dei nostri ristoranti, chi farebbe le pulizie nel 70% delle case degli italiani, chi lavorerebbe nelle stalle, nelle concerie, nelle campagne a raccogliere mele e pomodori?"

      Eh, in effetti hai ragione tu, per alcuni è meglio lasciare le cose come stanno e avere un enorme bacino di schiavi, non sia mai che debbano pagare uno stipendio onesto a dei regolari...e chi se ne frega se poi il cittadino medio (90% della popolazione) debba subirne le conseguenze sotto forma di spaccio, stupri, abusivismo, scippi, rapine in villa ecc...
      Vuoi mettere? con 100€ al mese mi raccoglie l'insalata! altro che noleggiare dei macchinari, ancora un pò e non affittiamo più nemmeno le trebbiatrici, gli facciamo fare tutto a mano ai "negretti".
      Che vergogna!

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  5. Avevo letto la storia di questo signore sul giornale. Mi fa tenerezza, e comunque e' proprio vero che poi in vecchiaia tutti vanno a ritrovare le proprie radici. Ciao Dario :)

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  6. Ricordo che quando andai a vivere a Venezia, all'anagrafe si accorsero che c'erano delle discordanze fra carta d'identità, patente e codice fiscale. Si presero loro carico di sistemare tutti i documenti.
    Qui una persona può cambiare città, cambiare nome e SPARIRE. E questo, a quanto ho letto, è utile alle associazioni di soccorso per far sparire mogli e/o figli abusati.

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  7. Ciao, questa è una storia su mio padre. Volevo ringraziarti per aver dedicato del tempo a condividere la sua storia. Mio padre mi ha avuto in vecchiaia, quindi ero troppo giovane per poterlo aiutare legalmente. Non dimenticherò mai il giorno in cui mi è stato portato via e mi mancherà per il resto della mia vita. Vorrei poter avere una copia del giornale in cui è stata condivisa la sua storia. Grazie ancora.

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