PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

martedì 4 giugno 2013

Il bicchiere di Laszlo

Ne discutevo proprio l'altro giorno con un collega: è vero: gli Stati Uniti sono una Nazione che non ha certamente la nostra Storia alle spalle. Ma spesso sono i suoi milioni di abitanti (e anche i suoi centinaia di milioni di oggetti) ad averla, una storia, incredibile.
Un esempio - apparentemente - stupido? 
I suoi bicchieri di carta.

No, non parlo di questi qui sotto, resi ancor più celebri dalle ragazze di Sex and the City...


















... e cioè i bicchieri di Starbucks, catena di caffetterie tanto amata dai giovani italiani che si recano all'estero (un po' "fighetti", dai!), e da loro molto frequentata appunto a New York o negli Usa (anche perché ci si collega gratis ad internet!);

e nemmeno di questi, altrettanto famosi...





















Tutti questi bicchieri hanno un antenato "no logo", che per decenni è stato, e viene ancora, offerto alla clientela dai drugstore di New York e dai "baracchini" che si trovano per strada.

Un bicchiere di carta che, tra l'altro, è comparso in decine di film e telefilm...
Al Pacino "Seduzione pericolosa"














Danny Aiello in "Brooklyn Lobster"
Joe Mantegna in "Homicide"









... e che ormai è entrato a pieno titolo fra le "icone" della Grande Mela. 
E si rimane di stucco, quando si scopre quale storia ha alle spalle questo bicchiere di carta "no logo".

Lo ha disegnato questo signore, del quale si può dire tutto tranne che non avesse una storia (anzi, "Storia"... E che "Storia"!) alle spalle.
Laszlo Büch nacque il 20 settembre del 1922 in Europa: a Khust, per la precisione, a quel tempo cittadina della Cecoslovacchia, ora - dopo la dissoluzione dell'impero Sovietico - in territorio ucraino.

Di religione ebraica, la sua famiglia non ci volle molto perché finisse, durante l'occupazione nazista, sotto le infami grinfie dei soldati della croce uncinata e dei loro vigliacchi collaborazionisti locali. Senza alcun motivo, suo padre, sua madre e lui furono arrestati e deportati in un campo di concentramento insieme ad altre migliaia di persone della loro città.

Non riesco nemmeno ad immaginare cosa può aver provato un ragazzino di 15 anni quando, dopo un viaggio di giorni in un vagone merci dove le persone erano costrette a farsela addosso, si è visto catapultato nell'inferno di Auschwitz. Né posso immaginare cosa provò quando, subito dopo, venne separato dai suoi genitori. 
Chissà quale strazio provò - chissà quale strazio provarono i suoi genitori... - quando lui venne trasferito a Buchenwald, altro campo di sterminio nazista, dove oltre agli ebrei venivano deportati e rinchiusi bambini e adolescenti, rom e sinti, gay e lesbiche, insieme a prigionieri politici delle nazioni occupate.

Così per anni, Laszlo ha vissuto lì, a Buchenwaldnella perenne angoscia di incorrere nella morte imminente, che ogni giorno sentiva - e vedeva - attorno a sé. 
Possiamo solo immaginare cosa possa significare per un ragazzo di 15 anni una situazione simile: recluso senza alcuna ragione, solo, privato dagli affetti più cari, con l'incolmabile tristezza provocata dal non sapere nulla dei suoi genitori. 
Che Laszlo, poi, non vide mai più

La svolta della sua vita di adolescente imprigionato in un campo di concentramento nazista giunse il 4 aprile 1945, quando gli sgherri di Hitler scapparono a gambe levate, precedendo di poche ore l'entrata a Buchenwald dei primi carri armati della 89a Brigata Fanteria dell'esercito degli Stati Uniti d'America.
Quattro giorni dopo, arrivò la liberazione dei prigionieri.

E fu così che il ventitreenne Laszlo Büch, con altre centinaia di ebrei del campo, raggiunse l'Oceano Atlantico, da dove - solo, orfano, senza parenti, senza vestiti, ovviamente senza alcun risparmio - si imbarcò alla volta dell'America.

Cosa deve aver pensato il giovane Laszlo durante quei giorni di traversata dell'Atlantico, non è facile da immaginare: forse voleva soltanto andarsene via il più lontano possibile da quell'orrore che per lui era stata l'Europa.

Giunto a New York, passato davanti alla Statua della Libertà, anche Laszlo Büch entrò a Ellis Island per le visite e la registrazione.
E fu lì, come spesso succedeva allora, che il suo nome venne "americanizzato", storpiato da qualcuno che molto probabilmente non seppe trascriverlo correttamente.
Oppure da chi, forse, voleva solo proteggere quel ragazzo cecoslovacco, ebreo, orfano, ex deportato, vissuto negli ultimi sei anni in mezzo al terrore e alla morte.

Fu così che, in America, Laszlo Büch divenne Leslie Buck.

Non appena stabilitosi negli Stati Uniti, Laszlo - anzi Leslie - trovò lavoro in una fabbrica di bicchieri di carta di Mount Vernon, alle porte di New York, cittadina moderatamente famosa, oggi, per aver dato i natali all'attore Denzel Washington. 
Il suo compito era quello di procacciare clienti: ovviamente più clienti possibili.

Dopo qualche mese, il primo colpo: Laszlo riuscì a stringere un accordo con un bel po' di esercenti di origine greca di bar, dragstore e ristoranti di New York. Un contratto di fornitura di alcune migliaia di bicchieri per il caffè mattutino "da asporto", che gli favorì la fulminea promozione a Responsabile delle Vendite. La prima di varie promozioni, perché poi scalò tutta gerarchia fino a raggiungere la carica di Direttore Marketing.

Poi, negli anni '60, il grande salto, quando Laszlo/Leslie mise in piedi una azienda tutta sua, la "Sherri Cup Company".

Una vita di corsa, quella di Leslie, che solo ogni tanto si fermava a pensare al suo infernale passato. 
E proprio in quei momenti - dopo aver ringraziato Dio e gli americani - non si dimenticava mai di ringraziare con il pensiero e con una preghiera anche quegli immigrati greco-americani che gli avevano permesso davvero di cambiare vita, dopo l'inferno dei campi di concentramento nazisti.

Immigrati greci ai quali lui, in fondo, doveva tutto.

Ah, se solo avessi potuto intervistarlo... 

Gli avrei chiesto del momento preciso in cui gli si "accese la lampadina". 
Il momento, cioè, che lo portò per settimane nei corridoi di una biblioteca a consultare, ad immergersi, a sfogliare, a leggere e rileggere, decine di libri di storia dell'arte greca.

Quello che so è che ad un certo punto Leslie prese carta e penna e buttò giù un bozzetto.
Un bozzetto di un bicchiere pensato specificamente per i suoi clienti commercianti di origine greca: un bicchiere di cartoncino cerato dall'esterno azzurro (il colore nazionale della Grecia e della sua bandiera), una decorazione bianca sui bordi superiori ed inferiori del bicchiere (una "greca", appunto), due riproduzioni stilizzate di un'anfora antica che separavano due disegni con tre tazzine fumanti.
Tazzine sormontate da una scritta vergata in caratteri vagamente classici (insomma...):
 "We are happy to serve you", "Felici di servirvi".





























Un messaggio semplice e sereno.
Voleva chiamarlo "Amphora", il modello del suo bicchiere, ma anche qui il nome venne un po' storpiato, forse per come il tipografo lo aveva sentito pronunciare da lui.
Sta di fatto che nei cataloghi della sua azienda, il bicchiere comparve con il nome "Anthora".
Così come oggi è ancora conosciuto.

Fu un dono simbolico per chi lo aveva aiutato a fare i primi "passi americani", una specie di "voto", insomma. 
Lo ha confermato la figlia Linda al New York Times: "Mio padre, per ciò che ha sofferto nei campi di concentramento, aveva paradossalmente continuato a credere nell'umanità: e ci ha cresciuto insegnandoci ad amare il prossimo e a rispettare sempre il vicino di casa", ha raccontato.

Immessi nel mercato a metà degli anni '60, di bicchieri  "Anthora cup" ogni anno ne sono stati venduti svariate centinaia di milioni di pezzi. 

Nel 1994, il record: MEZZO MILIARDO di bicchieri venduti soltanto in quei 12 mesi.

L'"Anthora cup" presto diventò una vera e propria icona: tanto che negli anni divenne anche portapenne di porcellana (esattamente identico all'originale in carta), mug di ceramica, maglietta, cravatta, portachiavi e portamonete.





   

Quando nel 1992 Leslie Buck si ritirò dall'attività, la società da lui fondata gli fece un regalo, a lui che in tutti quegli anni li aveva sempre rifiutati ("Regali? - diceva sempre ai figli -. Non mi sembra il caso... Ci sono cose più importanti. E per me il più bel regalo è stata la vita"): quel giorno dovette accettare di ricevere diecimila bicchieri di carta (i suoi bicchieri) con la scritta, però, appositamente modificata in suo onore: 
"E' stato nostro piacere servirti".

Poi arrivò il Parkinson, che ebbe il definitivo sopravvento il 26 aprile 2010 quando, a 87 anni, Leslie Buck (anzi, Lazlo Büch), con a fianco la moglie, quattro figli e quattro nipoti, chiuse gli occhi per sempre.

Se ne andò con il sorriso. 
Forse perché sapeva che, finalmente, ora avrebbe potuto prendere un caffè bollente con i suoi genitori: un momento che aspettavano da 72 anni. 

Ma solo perché il loro ragazzo era andato a cercare i bicchieri. 



© dario celli. Tutti i diritti sono riservati.

17 commenti:

  1. Storia stupenda, come sempre Dario.Ciao, Aldo

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  2. Grazie per aver condiviso una così bella storia.

    Ri Benny
    Rita

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  3. Non ho capito se ha brevettato il tipo di bicchiere o solo il logo.
    Nel primo caso i tipi sarebbero ultramiliardari, nel secondo...solo miliardari...

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    1. Credo di poter dire che il bicchiere esisteva già.
      Sul logo, beh, credo proprio di sì...
      :-)

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    2. E' bello passare di quì ogni tanto e trovare queste perle.....

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    3. MaryA,
      sei troppo gentile...
      Grazie!

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  4. e'per questo che siamo tutti conivolti e non dovremmo mai dimenticare quello che menti malate hanno fatto ad altri uomini......l'umanita'che si spazzatura la violenza brutale che diventa condizione di una vita......anche io ho avuto mio nonno prigioniero nel campo di Baden Baden e se un cancro non se lo fosse portato via oggi gli chiederei tutte quelle cose che da ragazzino dimenticai di chiedergli e approfondirei quelle dette......ma bambino non so piu e allora l'unica cosa che posso fare e' non dimenticare e sentirmi anche io coinvolto grazie dario

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  5. E' vero, gli Stati Uniti non hanno una storia millenaria come l'Europa o l'Asia ma, a dispetto del loro famoso caffè, me li raffiguro come una tazzina di caffè ristretto, concentrato di aroma, gusto, profumo: questo sono gli States, un concentrato di storie millenarie, perchè ogni componente si porta dietro la sua storia millenaria. Sei d'accordo?

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    1. Una storia che è sintesi di storie millenarie.
      Quelle dei suoi abitanti.

      Ma che bella frase, Elio!!!!!

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  6. Non potrò tornare a casa dal mio prossimo viaggio a NYC (a fine giugno, non vedo l'ora) senza qualche Anthora cup! Bella storia. Grazie Dario. R.

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  7. Una storia che è sintesi di storie millenarie.
    Quelle dei suoi abitanti.

    Ma che bella frase, Elio!!!!!

    concordo

    ciao cristian

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  8. Bellissima storia che non conoscevo grazie!
    una commozione speciale perchè mio marito è per 3/4 greco e io ho visitato il campo di sterminio di Auschwitz.
    Un bacio
    http://ilibridisandra.wordpress.com

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  9. Risposte
    1. Amico, nessun problema.
      Fai così: risparmia energia e visita qualcos'altro.
      La rete è piena di cose adatte a te.
      Buona fortuna!

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