PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

lunedì 27 maggio 2013

Facile parlare... (Riflessioni personali. Sulla "quinta fase b2" e i marinai di Cristoforo Colombo)

Che poi è facile parlare...
E' facile scrivere, lamentarsi, immaginare - ma sì, fantasticare - finché si sta in Italia.
Facile scrivere (e pensare!) "Oh come vorrei andarmene!", "Non vedo l'ora di farlo!", "Prima o poi vi mollo (più o meno) tutti!"  e così via...

Poi mi capita di pensare a come sarebbe veramente, e non so darmi risposte. Ci ho pensato - ancora una volta - ieri, per via di una stupida questione di armadio.
Guardavo la mia casa, i suoi (pochi) mobili, le montagne di cose cartacee che conservo, le foto appese, i libri, i piatti, il tappeto, Sofia (Sofiacanaamoremio...) e mi chiedevo: "Ma sarai capace davvero - DAVVERO - di mollare tutto e di ricominciare da zero in America?".

Credo di poter individuare, in questo senso, una serie di "fasi" nelle persone che sentono, o hanno sentito, l'esigenza di cambiare in qualche modo vita.

La prima è il fantasticare e bon.
La seconda è iniziare a leggere cosa scrivono le persone che hanno fatto questa scelta. (E questa opzione può durare anni...).
La terza è iniziare a parlarne, seppur ancora basando tutto sulle intenzioni teoriche.

Una diretta conseguenza di questa terza fase è la quarta, che porta a documentarsi (più o meno...) seriamente, mettere da parte, o memorizzare, appunti, ritagli, siti, blog, e iniziare a frequentare prima come osservatore, poi più "attivamente", forum sull'argomento, e poi sottoforum che si concentrano sui luoghi al centro dei nostri interessi, dei nostri sogni.

Il tutto, magari, mentre si iniziano a frequentare quei luoghi come turisti/viaggiatori, cercando di vederli dopo le prime volte con occhi più "critici"...

Quando questa quarta fase si consolida, si arriva ad un certo punto che si sa praticamente tutto.
Un punto in cui lo studio "teorico" è terminato, e che si dovrebbe, potrebbe, passare all'azione.

A quel punto arriva la quinta fase, composta in realtà, secondo me, da due sottofasi.
La prima (la "quinta fase a")ci porta a mollare, sopraffatti dalle stesse dettagliate informazioni che negli anni si sono raccolte, perché si sente il tutto "troppo pesante", "troppo impossibile", "troppo sogno"...

La "quinta fase b", invece, spinge ad agire. Con ulteriori altre due sottofasi: con prudenza (e relativa lentezza), la "quinta fase b1"
con speditezza, la "quinta fase b2".

La "quinta fase b1" credo abbia direttamente a che fare con un aforisma attribuito (ma mi pare che la cosa in rete sia - come al solito - controversa...) ad Oscar Wilde.
Quello che dice: "Attento a ciò che desideri: potrebbe avverarsi!".

A meno che non si imbocchi, con testa e cuore, con volontà e anche un po' di comprensibile paura e di incoscienza, la "quinta fase b2"...

Altrimenti, ecco che si torna alla settima riga di questo intervento: quella in cui mi chiedevo a come sarebbe veramente (e alle relative mancate - per ora - risposte).


So quello che io dico/scrivo agli altri, però.
Cioè ai tanti amici e amiche che mi raggiungono in qualche modo facendomi un sacco di domande, ritenendomi ormai un grande esperto. (Uuuhh, come son bravo da sempre a dar consigli razionali ed intelligenti... agli altri!).

Intanto dico che è legittimo immaginare (e anche sognare) una vita altrove (in qualunque altrove...). Poi a quelli che mi chiedono (in effetti un po' troppo) semplicemente "come si fa a trasferirsi in America?" 
rispondo che un traferimento si deve basare su un'approfondita analisi dei propri desideri, sulla conoscenza e sulle possibilità, e che trasferirsi negli Usa non è molto differente dal farlo all'interno dell'Italia.

Un mio punto forte è rispondere: 
"Ma tu ti trasferirerti così, su due piedi, in base a consigli di sconosciuti, senza esserci mai stat*, da Quincinetto a Metaponto, o da Adrano a Bassano del Grappa, da Perdasdefogu a Firenze, o anche solo da Milano a Roma o da Torino a Roma? Evidentemente no! Chiederesti, leggeresti, ti documenteresti, e magari andresti anche a dare 'un'occhiata' iniziale a Metaponto, o a Bassano del Grappa, o a Firenze, o a Roma, o a Milano. 
O sbaglio?...".

"Devi fare un piano. 
Devi avere 'un piano'...".

Ma questa domanda non posso farla a chi è stato 12 (o son 14?) volte negli Usa. Come me, per esempio...
Ripeto (mi?) che non c'è in fondo molta differenza fra trasferirsi da Torino a Roma, come ho fatto io, nel 1987, praticamente senza paracadute, da solo, oltretutto.
Ovvio: Roma, allora, era distante sette-otto ore di treno.

Che però, a pensarci bene, non sono molto differenti a otto-nove ore di aereo. (Soldi a parte, ovvio...).

Certo, nel 1987 avevo 29 anni, e a Torino la radio dove lavoravo stava svaporando, abbandonando a se stesso e costringendo alla diaspora un collettivo di intelligenze che si sono dovute arrangiare altrove arricchendo poi quotidiani, radio, televisioni nazionali.
Fui decisamente fortunato, perché proprio un mese PRIMA del licenziamento - che sarebbe arrivato a fine febbraio - ricevetti una miracolosa e assolutamente inattesa telefonata durante la quale mi venne offerto un lavoro a Roma, seppur senza alcun contratto. "Famo 'na prova reciproca de sei mesi eppoi vedemo, ok?"...

Dunque tutto, davvero, dipende dall'età? Dall'incoscienza che ci pervade quando siamo giovani?
Ricordo benissimo chi mi fece quella telefonata e cosa mi disse: "Aò, so' anni che ce rompi li cojoni dicendo che vvoi venì a Roma, chiedendoci se cerchiamo quarcuno.

Ma te va davero de venì?
Aò, guarda che qui nun c'è nessun contratto, nun te ffa idee strane, eh?
Vie' qui, la casa te la trovi da te, e fra sei mesi vedemo che seppoffà. Magari prima o poi er contratto ce scappa...".

E ricordo benissimo come mi sentii quando ricevetti quella telefonata da Roma.
Ero nella mia piccola casa torinese di via Mazzini 36, che qualche anno prima era stata proprio la prima sede della mia Radioflash 97.7 che stava morendo.

Ricordo che abbassai la cornetta e piansi disperato.
  
Perché finalmente era arrivata l'occasione che speravo, perché finalmente sarei andato lontano, perché non sapevo cosa mi potevo aspettare, perché avrei dovuto abbandonare Torino la maledetta.
Quella Torino che con le gioie, e forse soprattutto con i dolori, mi aveva cresciuto. 
E fatto maturare a forza.
Piansi perché avevo davanti l'incognito, e perché capii che il grande momento - quello di passare dai sogni alla concretezza - era inaspettatamente giunto. 

Mai avuto, prima d'allora, un culo simile nella mia vita... 

Ammettiamolo: quante volte succede di trovare un lavoro 34 giorni prima di perdere quello che si ha, e per di più senza nemmeno aver cercato ancora nulla né soprattutto cercato in quella direzione?
Era il mio sogno, allora, Roma...

Quelli sono davvero treni che passano raramente nella vita. 

...

Beh, diciamo che quanto meno se vuoi sperare in un altro treno di quel tipo (casuale o meno), almeno dalle parti di una stazione ti devi mettere ad aspettare, no?

E un po' quel che dico alle mie amiche e ai miei amici storditi dall'ennesima delusione sentimentale: "Ok, stai chiusa/o in casa a lutto per tutto il tempo che vuoi, ma ad un certo punto basta. Apri almeno le finestre! 

D'altronde non puoi pretendere che ti suonino al citofono dicendoti 'Immagino che tu sia senza fidanzato/a, ed eccomi qui che mi offro!'..."

Sorrido...

Dunque dico che a meno che non si conosce un/a americano/a e ci si innamora (possibilmente reciprocamente!), trasferirsi è frutto quasi sempre di un lungo, faticoso, meticoloso lavoro.

Un po' come cercare un lavoro: che, a mio parere, è appunto "un lavoro".

Mi spingo anche a fare lo spiritoso, consigliando, magari, di frequentare posti, luoghi, frequentati a loro volta da americani/e: "E chissà che Cupido non scocchi la freccia!". 

Che poi è una cazzata fino ad un certo punto: prova ne siano tutte le amiche e gli amici che ora sono negli Usa proprio grazie all'amore...

Poi, lo riconosco,  c'è la questione dell'età.
Un conto è cambiare vita a trent'anni (proprio come feci io, che di anni ne avevo 29), un conto a 40.
O, peggio?, a 50 passati.
Anche se (dannazione!) prima mi arriva il messaggio di My, uno dei protagonisti dei miei racconti, che mi scrive "L'America non guarda l'età ma guarda alla tua volontà"
poi mi arriva il messaggio di Franca e del suo compagno, che hanno fatto questo passo superati i 60...

E allora mi baso sulle esperienze degli altri, di coloro che l'hanno fatto questo salto. E che hanno sempre descritto come "convulsi", "un po' pazzeschi" gli ultimi giorni, l'ultimo giorno. 
Quando ormai la decisione, però, era stata presa e tutto - a quel punto - appariva (era) in discesa...
Che spesso hanno descritto come faticosissima, questa loro scelta, piena di momenti di solitudine e di nostalgia (canaglia), ma quasi sempre giusta, con il senno di poi. Con la costante preoccupazione, che a volte si trasforma in angoscia, di non poter intervenire in tempo, se poi succede qualcosa in Italia.
Una scelta sofferta - una vita - che peraltro hanno già fatto svariate decine di milioni di persone, in Italia...
Considerazioni che cambiano decisamente se si tiene conto, però, il destino di eventuali figli.


Io, per ora sono qui.
Alla 
parte b1 della quinta fase.
Nel frattempo, quando trovo un blog di qualche fuoriuscito/a, vado sempre a leggere le pagine che riguardano gli ultimi giorni, il momento del distacco, financo al fatidico ULTIMO giorno.
Cercando di capire, di "sentire", come si fa, cosa si prova, a salutare gli amici, a fare i bagagli, lasciando gli affetti, la famiglia, i genitori, le sorelle, i fratelli, i compagni di scuola.
Come ci si sente a licenziarsi, a fare i bagagli, a scegliere cosa portarsi dietro, a sentire il rumore della serratura della casa (ormai ex casa) che si chiude.
Come ci si sente a chiudere tutto e voltare le spalle per andare dove non parlano la tua lingua, dove non ci sono radici...

Dove tutto, o quasi, è una incognita...

Mah.
Intanto mi limito a non stuzzicare troppo quel "timore" malandrino.
Quel desiderio che, davvero, potrebbe avverarsi. 



Dal diario di bordo di Cristoforo Colombo:


"Tutto il venerdì e tutto il sabato, fino alle tre di notte, le navi galleggiavano immobili, in totale bonaccia.
E i marinai erano inquieti, poi spaventati, poi terrorizzati.
Sicuri di essere arrivati alla fine del mondo..."
(Venerdì 7 settembre 1492)

               

Trentadue giorni dopo, alle due di notte, il marinaio Juan Rodriguez Bermejo era sulla coffa - la piattaforma di avvistamento sull'albero principale - della Pinta, una delle tre caravelle. 
Improvvisamente vide prima il profilo di qualcosa sull'acqua, illuminato dalla luna. 
Si stropicciò gli occhi e trattenne il fiato, senza dire una parola.
Poi, subito dopo, vide delle luci tremolanti.

Cazzo! 
Erano, non potevano che essere, dei fuochi accesi!

Ebbe un altro comprensibile momento di esitazione, il nostro Juan Rodriguez: si stropicciò ancora gli occhi.
Guardò meglio... 
E poi ancora meglio.

Poi alzò il braccio, indicò quel Nuovo Mondo e prese fiato.
E con tutta la voce che aveva in gola, svegliò tutti i marinai della Pinta gridando 
"Terraaaa!!".


© dario celli. Tutti i diritti sono riservati.


29 commenti:

  1. Nel 1996 mi trasferii da Ivrea a Venezia. Senza pensarci. In realtà la meta era Roma ma mi chiesero di coprire un'emergenza per tre mesi e poi mi avrebbero mandata a Roma. Ma a Roma non ci andai mai. Per MIA scelta rimasi a Venezia.
    Ma il mio sogno era l'America. Da sempre. Da quando capii che per parlare l'americano bene come mio padre dovevo andare in America. Ebbene sì, il mio obiettivo, all'epoca, era puramente linguistico: sognavo di poter passare dall'italiano all'inglese con uno schiocco di dita. Non è così facile!
    Non ho avuto fase 2, fase 3a, 4b... È arrivata l'opportunità il 13 giugno e il 27 eravamo qui. A volte, come dici tu, passa il treno (o l'aereo nel nostro caso) e conviene prenderlo senza troppo pensarci. Mica aspetta! Quindi siamo passati dalla fase 1 (il sogno) alla 7 vivere/sopravvivere qui! E ai tuoi lettori (che non sono i miei perché non arrivano mai dal tuo blog, sigh) vorrei dire una cosa: NON È ESATTAMENTE FACILE! Devi saper affrontare la fase della nostalgia, dei dubbi atroci e non tutti riescono a superare quella fase! Ma qui si va oltre e vado fuori tema.
    Un abbraccio caro amico mio!

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  2. Non posso astenermi dal commentare un simile post.
    Caro Dario, anche io sono quì, e credimi, potrei essere giè "lì", non avrei bisogno di alcun visto, permesso o carta che mi permetta di risiedere legalmente. Ma....ci sono valanghe di MA....
    Non ho 29 anni, ma diversi in più. Ho letto, valutato, chiesto, provato, immaginato e infine sognato. La strada è tortuosa e alla base di tutto mancano le condizioni economiche per tentare un benchè minimo approccio con una vita a stelle e strisce. Vorrei scrivere di più e più dettagliatamente, ma non risolverei il problema di fondo. Che è il mio tardivo risveglio e la presa di coscienza che ho sprecato parte della mia vita in un paese che non riconosco come il mio, avendo in tasca il passaporto per una nuova vita.

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    1. l'avessi io quel passaporto... ;)

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    2. MaryA, io penso che "quel" passaporto (metaforico o meno) l'abbiamo fino all'ultimo giorno della nostra vita.
      E che, fino a quel giorno, non esiste "risveglio tardivo".
      Davvero.

      d.

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    3. ...Dario, io il passaporto ce l'ho veramente, e non solo metaforico. E' che è troppo lungo il percorso, e anche se non sono una matusalemme, certe riflessioni di vario genere le ho fatte. Mi piacerebbe parlarne meglio e dettagliatamente, perchè sul piatto della bilancia ci sono tante cose che vanno soppesate per bene, e ti assicuro che non sono cose di poco conto.
      Sono in stand by.....

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  3. Ok, ne so niente, ma dico. Pianificare nei dettagli e' fondamentale, lo dico sempre. Pero' ad un certo punto bisogna mollare gli ormeggi e andare in mare aperto e navigare a vista.
    Chiaro che a trent'anni e' piu' facile, torni indietro e sai cosa c'e'. Da piu' grandi e' piu' difficile. Ma si puo'.
    My, e chi e' My?? :DD

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  4. Interessantissimo articolo, Dario!
    Io nel Maggio del 2011, appena sposata da un mese, decisi di andarmene dall’Italia. Mio marito aveva bisogno di me negli Stati Uniti. Io non avevo nulla..20 anni e una valigia...nessun diploma, neanche delle superiori, e nessun soldo! Ma lo rifarei! Certe soddisfazioni non me lo toglie nessuno, studiare soprattutto! Ho iniziato un’avventura tutta nuova…da sola.. Ho perso tutte le coincidenze degli aerei e mi sono ritrovata per piu’ di 40 ore in posti mai visti e dovevo contare solo su me stessa. Una volta arrivata a destinazione, El Paso, TX, era come se il viaggio e le mie preoccupazioni fossero passate. Certo, se non fosse stato per mio marito non vorrei essere qui. La mia unica soddisfazione è studiare e ad avere un marito che mi cerca di capire e aiutare a pieno! I tempi sono difficili; io è da 2 anni che cerco lavoro e non trovo nulla. Ho 22 anni; per noi penso sia anche piu’ difficile siccome siamo giovani e non avevano molto prima (almeno io).

    Il mio consiglio è pianificate bene le cose, informatevi di tutto. Per quelli interessati, fatevi una vacanza e poi valutate. Non è tutto oro quel che luccica.

    Ripeto, io 2 anni fa ho letteralmente preso le valigie e me ne sono andata..con niente! Non lo consiglio a nessuno. Ma lo rifarei mille volte se dovessi tornare indietro.

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  5. Non lo consigli a nessuno...
    (Ma lo rifaresti mille volte!)
    Dunque...

    :-)


    d.

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  6. ma ti trasferisci in usa?
    ci sei riuscito?

    ciao cristian

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  7. Ehehe sembrano le fasi delle sperimentazioni di un farmaco :)

    Io mi sono fatto anni di fase 1: sogno o son desto
    Per la serie, mi piacerebbe ma sto bene anche qua, poi l'Italia ha iniziato a sprofondare finchè la crisi non ha dato il colpo di grazia finale! Ora il paese è in uno stato di completo abbandono e degrado economico e sociale.

    Quindi nel giro di un anno sono passato a fase 2, 3 e 4a (non sono mai stato negli states quindi mi manca la 4b)

    Sono titubante per nascita e pessimistico per esperienza, non proprio l'ideale :)

    Quindi sto raccogliendo info a più non posso, luoghi, usi e costumi, tasse, costo della vita, cerco di capire quanto dovrei guadagnare per avere uno stile di vita decente, passo ore a capire dove mi piacerebbe abitare, addirittura mi trovo a guardare case in vendita su internet o posti dove potrei aprire un'attività, da qui i permessi e le licenze, consulto i siti statali ecc.

    Insomma continuo a oscillare tra 1 e 4.
    Per ora il mio obiettivo è almeno di andarci a fare una vacanza in USA echecacchio!!! :)

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    1. Esatto, almeno un viaggio iniziale come turista-viaggiatore lo DEVI fare. Serve per capire, confrontare, meditare e scegliere, eventualmente...
      Guardare già le case da comprare, senza sapere bene in che città andare, o in quale zona di quella città, è (quasi) inutile...
      Mi sa che sei un segno di terra, eh?
      :-)

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    2. No, sono di fuoco, Ariete :) l'astrologia meglio lasciarla ai ciarlatani ehehehe :D

      Andare in usa non è così semplice, fosse per me andrei subito ma "purtroppo" devo tenere conto di fratello, cognata, genitori (soprattutto madre) che potrebbero uccidermi se non dovessimo andare insieme!
      Quindi tanto per ricollegarci allo spazio, c'è bisogno di soldi e una bella congiunzione astrale per partire.....ma soprattutto di soldi :P

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    3. Beh, effettivamente un viaggio per cinque costa assai...
      :-)

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  8. Io sono oltre la 5° fase.... sono già al di là dell'oceano con la testa!!!! :-)
    Mannaggia alla lottery andata male, mannaggia, mannaggia. Adesso passiamo ad altre strade.

    Rita

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  9. Riflessioni utili, anche se aggiungerei un elemento che mi sembra un po’ trascurato o forse sottinteso… ossia le cause specifiche e la dimensione costruttiva, della nostra personale voglia di andare via.
    Perché è verissimo, che è fin troppo facile pensare “Voglio andarmene via, non vedo l’ora di partire”, ma io anzitutto mi domanderei: da cosa sto desiderando di fuggire? E cosa sto desiderando di trovare o di costruirmi all’estero?
    Forse perché accanto a quegli slanci di fuga o di “sogno”, anch’io nei discorsi altrui trovo spesso una serie di riferimenti a piccoli o grandi tesori, per così dire, da cui ci si allontanerebbe a malincuore o che si cercherebbe di conservare a fatica: un mobilio a cui siamo affezionati, un ritrovo o un paesaggio che ci trasmettono un senso di familiarità, e soprattutto una cerchia di affetti che rappresenta addirittura l’universo del “tutti (più o meno)".
    Cose che insomma rendono sofferta la scelta, tanto da produrre poi quell’angoscia al timore di “non poter intervenire in tempo se poi succede qualcosa in Italia”... Ma allora, perché tanti vogliono andare via? Perché queste cose non bastano, cosa manca in queste vite? Forse una dimensione di avventura, di sfida con sé stessi, di conoscenza culturale? E quindi forse chi parte con questi presupposti, tra solitudine e nostalgia più o meno prevedibili, ha forse la mente già protesa a quando potrà tornare? Che sia per poco, tipo per vacanze che consentano di riabbracciare periodicamente i propri amici e parenti, o persino definitivamente, che sia pure in maturità o più avanti per trascorrere almeno la vecchiaia nel paesello d’origine, come nel classico schema degli emigranti storici?
    Sarà che nel mio caso, le motivazioni che mi frenano sono le stesse che m’incentivano, ossia la speranza di un lavoro corrispondente alle mie aspirazioni e di una vita dignitosa, che qui sembra pressoché impossibile per me, ma per l’appunto la configurazione delle mie aspettative riduce anche i presupposti e le chances, posto che qui sono riuscito a costruirmi almeno una dimensione in grado di farmi sopravvivere, pur tra molte frustrazioni e disagi che sono appunto la causa della mia insofferenza... Mentre credo di non avere termini d’immedesimazione, per poter immaginare l’impatto che il grande passo avrebbe nella sfera affettiva, su me che non ho nulla di appeso alle pareti dei miei spazi domestici, né mobili che rimpiangerei vivendo con altri ricomprati, e neppure un “tutti” a cui mancherei, tanto che so che nulla di quanto possa mai accadere renderebbe utile od opportuno un mio ritorno.
    D’altronde capisco che talvolta la vita è come recitava il vecchio proverbio su chi ha denti ma non ha pane e chi ha pane ma non ha denti... Come c’è chi sostiene che la motivazione di fuga non è mai un buon presupposto per emigrare, “perché in tal caso si parte come con l’elastico: tiri, tiri, tiri, finché non arrivi al punto di rottura, a quel punto l’elastico rimbalza e ti riporta indietro”.
    Non è facile liberarsi da questi timori, così come dai messaggi dei disfattisti che affermano che “tutto il mondo è paese”, o dagli pseudo-psicologi che affermano che ogni migrazione è in realtà una ricerca di sé stessi e quindi i luoghi hanno un’importanza relativa... Fino poi a quelli che t’insinuano insicurezze personali, della serie che se qui non riesci, tra tanti che “in qualche modo ci riescono”, a costruirti una sistemazione lavorativa e abitativa decente, per non dire una dimensione affettiva di famiglia e amicizie, è sintomo di problemi squisitamente tuoi, che ti porterai dietro ovunque, tanto più in un paese dove sarai straniero, specie negli USA che hanno fama di luogo dove la gente dà valore soltanto al denaro e il lavoro è strutturato in modi che lasciano pochissimo tempo per la famiglia... Ma magari gli amici migrati di Dario proprio grazie all’amore hanno da raccontare diversamente: o no?

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  10. Io sono un quinta fase, mi piacerebbe dire B ma sono troppo pratico e realista, sono più vicino alla A. Vorrei provare, quello si, dopo 8 volte al di là dell'oceano ti vien la voglia di assaggiarne una fettina di questa america da "alien" e non da turista, sono ancora combattuto tra i "mi piace" e i "non mi piace", mi ci vorrei svegliare una mattina a fianco e poterla vedere senza trucco, al naturale, per capire se la sera prima in discoteca tra i fumi dell'alcol e le luci strobo ho preso una cantonata. In modo regolare ci vai per procura ( Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata diceva l'Albertone nazionale ), per studio ( se hai l'età per studiare e i genitori con portafoglio ben imbottito, agli over 30 bastano dei genitori esasperati e facoltosi che si vogliono liberare del pargolo ), per lavoro se titolato/qualificato/già assunto da multinazionale che ti spedisce di là perchè ce n'è di bisogno ( eventuale consorte o compagna/o ne può trarre vantaggio di conseguenza ). Al momento non rientro in nessuna di queste categorie, il massimo che ho vinto alla lotteria è stata una bottiglia di mediocre rosso ..... Qualche idea ?? io per il momento appena posso scappo di là in ferie, in attesa che i miei titoli e qualifiche diventino interessanti oltre oceano ma la vedo ardua.

    Ale

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    1. Almeno la tua te la sei portata a casa dall discoteca, io l'ho solo vista ballare sul cubo! E bona era bona :) eheheh bella la metafora :)

      Se sei "titolato" puoi sempre bombardare di resume, magari qualcuno abbocca :)

      E comunque ti rimane la possibilità di visto E2 investitore, se hai dei soldi da parte puoi sempre aprire un'attività tua (come vorrei fare io) ci vogliono soldi e non è un immigrant visa, ma rimane comunque rinnovabile ad libitum finchè resta l'attività, come dire: piuttosto che niente, è meglio piuttosto!

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  11. Sai perchè alla veneranda età di 56 anni partirei anche stanotte? Forse è la mia indole..... nel 1967 ci siamo trasferiti da Palermo a Torino come tanti in cerca di un futuro migliore, poi 5 o 6 anni dopo, essendo diventato un discreto batterista (lo sono ancora!) cominciai a girare per il Piemonte, la Liguria e l'Emilia, facendo ballare migliaia di italiani prima nei dancing e poi (in fondo sono un jazzista e non posso suonare solo liscio!) in vari night clubs, quindi cambiando ambiente ogni mese; d'accordo, era sempre Italia, però a 16-18 anni gestirsi da solo, ho imparato a trovare una soluzione comunque. Non so se questo basterebbe ad avventurarsi in una realtà completamente diversa ma ci proverei. Saluti.

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    1. Beh, lo spirito ce l'hai!
      Ma l'importante è fare "un piano"!
      :-)

      d.

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  12. Credi sia sufficiente chiamare uno dei tanti pianisti con i quali ho suonato per fare un piano ??? IO sono solo un batterista, ricordi?

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  13. Dario articolo fantastico, ci si sente proprio cosi :)

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    1. Grazie, michela.
      E grazie per essere passata da qui.
      E tu a che fase sei?
      :-)


      d.

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