PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

lunedì 7 maggio 2012

Su un ragazzo di nome Enzo, un altro di nome Dario e una vecchia canzone...

(Consiglio per la lettura: prima di iniziare, cliccate sulla freccetta, aspettate che il brano si carichi e iniziate a leggere alle prime note. Se necessario ricliccate per avere sempre il brano di sottofondo... Grazie!)


Enzo arrivò la mattina di venerdì santo.
Era stato un po' sfortunato, Enzo: perché visto che era incensurato,  se lui fosse arrivato il giorno prima, quella stessa notte (e Pasqua e Pasquetta) l'avrebbe passata a casa. 
Al Tribunale dei Minori, infatti, non c'era nessun giudice, il venerdì prima di Pasqua. Dunque perché potesse tornare a casa si trattava di aspettare fino a martedì.
Che sfortuna, appunto.


Quando entrò al Ferrante Aporti - il carcere minorile di Torino all'interno del quale ho lavorato un paio di anni quando io ne avevo più o meno 24 - anche lui era passato dalla stanza del laboratorio dove svolgevo insieme ad altri (veri) educatori la mia attività: far scrivere a macchina ai ragazzi, magari poi per arrivare a fare un giornalino. Quasi tutti erano entusiasti - nessuno di loro aveva mai usato una macchina da scrivere - soprattutto dopo aver scoperto che si poteva scrivere "senza troppa fatica" e con la calligrafia perfetta.
Dunque un venerdì arrivò, con la faccia terrorizzata e gli occhi rossi di chi aveva pianto disperato. A dir la verità, quando lo vidi, me ne accorsi al primo sguardo che Enzo era un "pesce fuor d'acqua", che non "c'entrava niente" con gli altri suoi coetanei poveri teppistelli ladruncoli, magari spacciatori, rapinatori o peggio...
Intanto Enzo, paffutello ed educato, dimostrava molto meno dei suoi 17 anni: diciamo che sembrava ne avesse a malapena 14 o 15, per essere generosi. 


Poi aveva  proprio l'aspetto - e mi si perdoni la superficialità - da "bravo ragazzo": ben vestito, sguardo timido, capelli curati. Andava persino a scuola, Enzo: e scuola superiore! Una rarità, lì. 
E non andava nemmeno troppo male: oddio, aveva qualche insufficienza, ma chi non ne ha mai avute, suvvia? (Io è meglio che stia zitto!).
Il problema è che Enzo avrebbe voluto "da morire" un motorino. Ma i suoi erano severissimi: finché c'erano insufficienze, di motorino non se ne poteva nemmeno parlare. E poi comunque la pratica sarebbe stata esaminata a risultato scolastico finale.
Forse.


Un'ingiustizia, per Enzo, che incompreso, aveva deciso che avrebbe guidato lo stesso.
Di nascosto.


Ora, dovete sapere che da qualche settimana, i carabinieri di Collegno avevano iniziato a ricevere strane denunce di furto. O meglio: veniva prima denunciato il furto d'auto (tutte di lusso: Mercedes, Audi, Bmw), poi la denuncia veniva ritirata. Sempre. Perché dopo qualche ora l'auto rispuntava. Già, era sempre così: a qualche ora dalla denuncia i proprietari ritrovavano l'auto, regolarmente chiusa, ma parcheggiata poco lontano. Non proprio, insomma, dove era stata lasciata la sera. 
Questo evento (il ritrovamento dell'auto) veniva dapprima accolto con sollievo in famiglia, scatenando però, subito dopo, furiose discussioni mattutine all'interno della coppia. Se le mogli avevano subitamente partecipato al dolore del marito ("Cazzo, amore, la macchina non c'è più! Qualche bastardo me l'ha rubata!"), al momento del ritrovamento dell'auto - non proprio trovata laddove la sera l'uomo l'aveva parcheggiata, magari proprio con la moglie - era inevitabile che lui venisse guardato quanto meno con sospetto. 
Giusto il tempo, per le mogli, di immaginare fughe notturne del marito con rientro prima dell'alba non trovando però più libero il posto occupato la sera.


Ricevute una, tre, sette denunce tutte identiche (prima di furto d'auto, poi ritiro della denuncia visto che la stessa veniva ritrovata poco lontano dal luogo di dov'era stata parcheggiata) i carabinieri di Collegno si misero dunque al lavoro per capire che cavolo stava succedendo, nottetempo, da quelle parti.


E fu proprio durante uno di quei giri di ronda notturna che una Giulietta dei Carabinieri notò - "intorno alle quattro e quarantacinque", recitava il verbale - una Mercedes in corso Francia. Mercedes che dunque venne raggiunta e affiancata dai militari.
Potete immaginare la loro sorpresa quando alla guida videro un bambino. Ok, bambino non era proprio (ve l'ho detto che Enzo dimostrava meno dei suoi anni), ma non era nemmeno alto abbastanza per guidare, tanto che quando venne fermato si accorsero che sotto al culo Enzo si metteva un cuscino.


Questa volta l'aveva davvero fatta grossa, Enzo.
Altro che cinque in fisica e mate. 
I suoi non gli compravano il motorino? E allora lui guidava le macchine. E che macchine!
Lui se ne usciva di casa (col cuscino) mentre a casa tutti dormivano alla grossa, scendeva in strada, sceglieva l'auto, apriva la portiera con una chiave passepartout avuta chissà come, e così come gli aveva insegnato chissà chi, metteva in moto e se ne andava in giro per un'oretta a Collegno.
Non ricordo se il padre lo prese a schiaffi in caserma (secondo me sì, vista la faccia che c'aveva il poveretto), mentre ricordo benissimo la sua espressione smarrita, affranta, spaventata.
Mi chiese quanto tempo sarebbe stato in carcere, Enzo: ma non sapevo proprio dargli una risposta: "Il problema è che oggi è venerdì santo, e mi sa che fino a martedì mattina...". La ferale notizia venne accolta da lui con un pianto appena soffocato, con gli altri ragazzi che guardavano il "pivello" con commiserazione.


Cercai di distrarlo chiedendogli se avesse mai usato una macchina da scrivere: al che lui prese un foglio e mi chiese cosa dovesse scrivere. "Beh, quello che vuoi", gli dissi. "Anzi - aggiunsi - perché non inizi proprio parlando di te?".
"Devo mettere il titolo?" mi chiese.


Ed ecco che lui iniziò a scrivere, tutto in maiuscolo, "FUGA DA COLLEGNO".


"Mi presento: mi chiamo Enzo e sono un ragazzo di 17 anni che non va d'accordo con la famiglia. Ho problemi d'uscita da solo e con amici".
Poi si fermava e mi guardava, chiedendomi come dovesse continuare. Io mi limitai a dirgli di scrivere quello che voleva, quello che aveva dentro. "Ma lo leggeranno i miei?", mi chiese. "Se non vuoi, no, ovvio". 
"Ok, allora lo terrai tu questo foglio", mi disse.
Da allora ho cambiato sei case e due città, ma il racconto di Enzo l'ho sempre conservato.


Ma è stato solo recentemente che, leggendolo, ho sbarrato gli occhi.
"A me invece piace molto fare l'avventuriero, girare il mondo con un amico fedele che non mi tradisca..."
"Mi piace viaggiare in macchina, perché voglio conoscere città diverse, gente nuova, cambiare ambiente dopo averlo conosciuto un po', parlare con ragazzi di lingue diverse e capirli."
"Spero di poter fare un lungo viaggio per vedere tutto quello che non ho mai visto; vorrei vedere New York, andare in cima ai grattacieli più alti, passeggiare fra i negozi, vedere gente che compra. Vorrei vedere i parco-giochi, le giostre e bere alle fontanelle per sentire se l'acqua ha un colore diverso.
Mi piacerebbe vedere i grandi Parchi Nazionali d'America, visitare le miniere d'oro e i pozzi di petrolio..."
"E invece sono qua, vedo ogni giorno le stesse strade, le stesse case, le stesse persone. Sento ogni giorno la stessa lingua, bevo ogni giorno la stessa acqua".


Cazzo, quello ero io.
Non so se ci sia stato una sorta di "transfert": io, sono certo, non gli ho dettato nulla. Semmai mi limitavo a fargli domande su cosa volesse scrivere, su cosa gli venisse in mente in quel momento, e gli ripetevo, mentre lui batteva sui tasti, le sue identiche parole. 
Qualche mese fa, quando ho ritrovato quel foglio di carta ingiallita scritto a macchina, rileggendo quelle righe mi accorsi che quelle cose che lui scrisse erano (anche) dentro di me. Solo che Enzo le aveva "viste" prima, di me. 
Era il 1982, forse il 1983, e davvero per me, allora, l'America era lontana, lontanissima. Non rientrava nemmeno fra i miei sogni. Semmai il mio sogno "impossibile" - a quel tempo - era Roma.  
E sarebbero passati dieci anni prima del mio primo viaggio americano. 


La storia di Enzo (non l'ho mai più rivisto dal martedì dopo Pasqua, quando finalmente uscì e tornò subito a casa) mi è tornata in mente ieri, mentre in auto sentivo una canzone americana che mi ha richiamato immediatamente alla mente un'altro brano, questa volta italiano, scritto nel 1968.


Era contenuto nell'album dei New Trolls "Senza orario, senza bandiera", il primo del gruppo, quello scritto insieme a Fabrizio De Andrè. Quello che contiene anche "Irish" e "Miniera".


Uh, quante volte l'ho messo quel vecchio pezzo dei New Trolls che parlava di "Nuova York" nei dieci anni in cui ho lavorato nelle radio (questo che state ascoltando, se avete seguito il mio consiglio).
Ma mai, prima di ieri, mi ero reso conto che parlava proprio della città che un ragazzo di nome Enzo - e un altro, poco più grande di lui, di nome Dario - sognava nel 1983.


"Vorrei comprare una strada nel centro di Nuova York,
la vorrei lunga e affollata di gente di ogni età...


































e tanta luce 
nei buffi tubi di vetro colorato.















Una fontana 
con mille bambini che giocano...
un gatto grigio che scalda assonnato il suo angolo.
E voli alti... 
E al tramonto 
vorrei sedermi all'ombra di un grattacielo...
































... fino a che io sentirò una voce che mi dirà: 
«Scusami, William... Mi spiace per te,
ma è la fine...»"



Enzo, ti prego: fatti vivo, in qualche modo.
Trovami.
E dimmi che poi, a New York, tu ci sei stato davvero.
O che magari ci abiti...


© dario celli. Tutti i diritti sono riservati

8 commenti:

  1. forse Enzo non era così diverso dagli altri ragazzi dell'istituto, mi piace pensare che anche loro avessero dei sogni, dei desideri, ma che, forse, a loro non era nemmeno più concesso immaginarseli quei sogni...

    gio

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    1. Già.
      Quello che mi colpì è che sembravano davvero ragazzi senza sogni. E quanto faceva comodo che ci fossero ragazzi così...
      Certamente io non ero molto differente da lui, da loro.

      Forse sono stato solo un po' più fortunato...

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  2. e non è giusto commuoversi di prima mattina!!!!
    cercalo tu quel ragazzo ..e abbraccialo anche per me.
    sarà sicuramente in giro per il mondo :)

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  3. Toccante questa storia, davvero. Vorrei davvero trovarlo Enzo. Sono senza parole...
    Sei un grande!

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  4. Loredana Bonizzonilunedì, 07 maggio, 2012

    Questo racconto è . . . da pelle d'oca e sapere che ci sono persone come te mi fa sentire in pace con il mondo. Sei una gran bella persona Dario!

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  5. Un racconto..un'esperienza,stupenda. Quel ragazzo era un sognatore..si sa, per rincorrere i sogni si fanno cose assurde :) Come cercare nell' etere il sè stesso di tanti anni fa ;) Spero si faccia vivo, chissà quante avventure..

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  6. cercalo Dario...
    non manca a te il modo di trovarlo...
    e poi con social network, o semplicemente partendo dalle pagine bianche di collegno, non credi?
    il nome completo lo ricordi?
    se no... potresti sempre cercare di venirne a capo rivolgendoti al carcere... insomma... qualche idea ti verrà!! ti illuminerai per trovare la strada che porterà a lui.
    d'altra parte è stato già 'illuminante' il ritrovamento del foglio ingiallito, non credi? è il destino che suona un campanellino...
    grazie sempre per le sensazioni che riesci a scatenare nella mente e nel cuore di noi lettori, assetati e curiosi di conoscere nuove avventure di vita.
    Antonia.

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  7. interessante passaggio tra passato e presente

    la foto con i mille bambini riprende un posto di NY che conosco perchè ci hanno girato una scena del telefilm "Castle".

    cristian

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