PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

venerdì 4 dicembre 2015

L'albero di Cesidio


Ogni anno, per Steve e per sua madre Josephine, è lo stesso brivido.
Un misto di emozione e orgoglio.

L'amico che ci racconta la storia di oggi si chiama Steve Elling e abita a Great Barrington, piccolo paradiso di 7000 anime del Massachusetts, circa 135 miglia (216 chilometri) da Nuova York.
E' di origine italiana Steve, e in questo consiste il suo orgoglio.
Sua madre, 90 anni, questa signora qui sotto, si chiama Josephine Perruzza Elling.
Il padre di lei, infatti, (il nonno di Steve) si chiamava Cesidio Perruzza. Del quale lei, oggi, è l'ultima figlia ancora vivente.

Un grand'uomo, il nostro Cesidio. 
E con una grande storia - sconosciuta ai più - alle spalle...

L'inizio della storia, in fondo, è il solito.

E' quello di un ragazzo che alla fine del 1800 viveva a San Donato Val di Comino, piccolo paese in provincia di Frosinone.
Inutile dire che, quelli, erano tempi nerissimi anche per la Ciociaria: lavoravano in pochi, e chi lo faceva era un privilegiato. Beati i contadini, che almeno coltivavano e allevavano ciò che poi li avrebbe (parzialmente) sfamati...

Così Cesidio fece un po' di scuole, ma non riuscì a raggiungere quello che per un bambino, allora, era il traguardo minimo: la quinta elementare. La sua famiglia era infatti troppo povera per potersi permettere il lusso di mandarlo a scuola fino a dieci anni; e non è che, a quei tempi, i bambini delle famiglie povere potevano stare sulle spalle dei propri genitori senza far niente. 

Due braccia, anche se di bambino, non davano da mangiare se se ne stavano a scuola.
Erano braccia sprecate. 
Dunque, terminata la terza elementare Cesidio fu destinato al lavoro. 
E mica leggero: in una cava. Non lontano da casa sua. 

Diciamola tutta: un bel lavoro di merda per un bambino di otto anni.

Cesidio andò avanti così fino a vent'anni. Poi, evidentemente, non ce la fece più. 
O, semplicemente, voleva di più.
Volle di più di più di quel che vedeva, di quegli anni amari. E non voleva strisciare per farsi valere...
Meglio partire, meglio andar lontano.

Anche perché lui, un anno prima, a 19 anni, aveva sposato una bellissima ragazza del suo paese, Gerarda Cucchi. 
Bellissima e giovanissima: 16 anni.
Bellissima, giovanissima e incinta quando lui partì.


Eccoli qui, i due, in una foto di qualche anno dopo, mentre a New York si facevano il vino in casa...

L'anno dopo, dunque, a vent'anni e con la terza elementare in tasca, Cesidio decise di partire per l'America...

"Merica, Merica, Merica, 
cosa sarà la sta Merica..."
"Cosa sarà mai, quest'America...", cantavano in quegli anni gli emigranti veneti che si imbarcavano verso il Nuovo Mondo.
I registri di Ellis Island dicono che "Perruzza Cesideo" (era tutt'altro che raro, a quel tempo, l'errore nella registrazione dei nomi o, peggio, dei cognomi degli immigrati, errori che venivano quasi sempre già fatti nei registri della navi...) arrivò da Napoli sul piroscafo "Cristoforo Colombo". 

Che passò davanti alla Statua della Libertà il 1° aprile del 1893.
Non impiegò molto tempo a trovare un lavoro, il nostro Cesidio.
Vent'anni, con delle braccia della Madonna, aveva voglia di spaccare pietre notte e giorno.
E in una New York in prepotente espansione, fece quel che sapeva fare: scavare, maneggiare esplosivo, far saltare rocce testarde.
E le fondamenta dell'isola di Manhattan, si sa, sono di roccia durissima. 

Il lavoro, per lui, non mancava: in quegli anni bisognava spianare mezz'isola per fare piazze e viali. Bisognava sbriciolare la roccia per realizzare le gallerie della metropolitana...
E infatti venne subito assunto da una ditta di costruzione il cui capo era d'origine irlandese. 
Ora, non è che a quei tempi corresse molto buon sangue fra italiani e irlandesi, ma il boss della ditta preferiva gli italiani perché cattolici come lui. E perché gli italiani erano gran lavoratori, che non si facevano spaventare dalla polvere, dalla pioggia, dal gelo dell'inverno o dal caldo torrido dell'estate.
Ma non è che poi facesse loro favoritismi o sconti di sorta.
Lavoravano sodo e basta. 

Dovunque c'era da far saltare roccia e massi, la ditta mandava lui, il nostro Cesidio. 
"Miccia lunga!", "Miccia corta!!!", "Boooom!!!": e gran parte del suo lavoro era bell'e fatto.

Sabato 17 maggio 1930 lui e la sua squadra vennero chiamati dalla Robertson & Todd Corporation per far spazio alle fondamenta di quello che, nel disegno del progettista Benjamin Morris, doveva diventare il più bel complesso di Art Decò di New York. 

Un progetto pazzesco, per quei tempi, decisamente ambizioso: 14 palazzi ai quali successivamente sarebbero stati aggiunti quattro grattacieli. 

E si doveva lavorar bene, perché il committente era la persona più in vista nella Nuova York di quel tempo: si trattava nientemeno che di un banchiere.
Il suo nome era John Rockefeller Jr., a quel tempo ultimo rampollo della famiglia americana più facoltosa di quegli anni.
(Non so se mi spiego...).

"Mio padre sapeva riconoscere dalle venature i punti deboli della roccia che doveva far saltare, e senza che l'esplosione provocasse disastrosi danni collaterali. Lavorava prima con il trapano e poi con l'esplosivo".

A parlare è appunto lei, Josephine Perruzza Elling, oggi 90enne, la mamma di Steve, la più giovane dei dieci figli che poi Cesidio Perruzza e Gerarda Cucchi ebbero in America, a New York.
La donna della foto all'inizio di questo racconto.

"Mia madre partì da San Donato Val di Comino,  qualche anno dopo mio padre. 
Pensate: mio madre non aveva mai visto il mare. 
Non sapeva cosa fosse l'oceano. 
Non aveva mangiato mai un gelato: era una semplice contadina.
Non partì per New York con mio padre, ma qualche anno dopo, perché lui voleva arrivare a guadagnare abbastanza per poterle spedire un biglietto di prima classe".

Perché quando lei l'avrebbe raggiunto con il loro bambino, Cesidio voleva che i suoi amori viaggiassero comodi, nel lusso che non avevano mai visto.

E' lei, con il suo racconto, a riportarci al 1931.

Qualche giorno prima di Natale di quell'anno, Cesidio e i suoi ragazzi si misero in fila in cantiere per ricevere la paga settimanale.
Si sentivano fortunati, erano fortunati!, erano benedetti dal Cielo: la crisi del '29 con la sua Grande Depressione in America era quasi passata.
Se poi si tiene conto che le poche lettere che ricevevano da casa descrivevano un'Italia sempre più povera che per di più si preparava ad una sciagurata guerra, pensate come si sentivano, com'erano fortunati.

Con quell'Italia sicura di vincere...

Insomma, un giorno di dicembre del '31 Cesidio e la sua squadra arrivarono in cantiere indossando stivali da lavoro, tuta e maglioni pesanti: fa sempre un freddo cane, a dicembre, a New York.
Quel giorno, con loro, si erano trascinati un grande abete che qualcuno vendeva per strada.
Lo comprarono facendo una colletta fra loro, per festeggiare quel Natale che tanto sapeva di crisi quasi finita
.

Lo tirarono su addobbandolo alla meglio, con quel po' che avevano attorno: qualche corda colorata, frutta della loro merenda, pezzi di stoffa, bottoni, fiori...

La carta stagnola degli involucri dei detonatori fu trasformata in centinaia di luccicanti piccole strisce. 
Accanto, coperchi e scatolette di latta, quelle che poco prima, contenevano il loro cibo,
E poi un po' di bottigliette colorate, che avevano contenuto acqua e vino.

Era il loro omaggio alla città che li aveva accolti, che li aveva tirati fuori dalla miseria, il loro canto di gratitudine per essere stati risparmiati dall'orrore della povertà che attanagliava l'Italia.

E piacque talmente tanto quell'albero, che venne rifatto anche l'anno dopo.
E poi anche l'anno successivo, quando il Rockefeller Center venne completato.
Un albero che diventò, poi, una tradizione.

Con l'abete che, anno dopo anno, diventava sempre più grande, più ricco di decorazioni e più luminoso.


L'albero di Natale del Rockefeller Center è il simbolo delle festività natalizie di New York, e la sua accensione, ogni anno, è un appuntamento che richiama decine di migliaia di persone.

Certo quello di oggi è un albero un po' diverso. Si tratta di un  gigantesco pino 
che ogni anno arriva dalle sconfinate foreste dello Stato di New York, decorato da migliaia di luci ecologiche a basso consumo. 

In cima, la stella di cristallo dal diametro di due metri e dal peso di 250 chili, che nel 2004 Swarovski ha creato appositamente per quello che è diventato uno dei simboli più amati della Grande Mela.

Ai suoi piedi, la pista da ghiaccio aperta al pubblico dal 1936, già dai tempi del nostro amico Cesidio.

Dei dieci figli che Cesidio e Gerarda ebbero in America, ne sopravvissero sette. Perché per i bambini erano tempi duri anche quelli, e anche lì.

Con gli anni, Cesidio e Gerarda Perruzza riuscirono a comprarsi un appartamento, in questa palazzina di Brooklyn, al 358 di Prospect Place, quella qui sotto: un salotto con caminetto, una grande cucina con due finestre, un piccolo giardino sul retro. 

Appartamento che, tra l'altro, al momento in cui scrivo, è in vendita.
Lavorò fino a 70 anni, il nostro Cesidio Perruzza, e quando andò in pensione, perfino il quotidiano The Daily News (oltre che questo miserrimo blog...) si occupò di lui. 
Logico: d'altronde aveva visto crescere la città come pochi. 

E alla domanda curiosa del cronista che gli chiese "Ma come si fa ad essere un dinamitardo fino all'età di 70 anni?" , lui rispose semplicemente: "Beh, basta evitare le sbornie...".

Nel 1971 la coppia passò però una bruttissima avventura nel loro bell'appartamento di Brooklyn: successe quando si trovarono dei ladri in casa che li legarono e li imbavagliarono per prendersi poi pochi spiccioli. 
Fu allora che decisero di lasciare la loro Nuova York per trasferirsi nel verde e più tranquillo e vicino Massachusetts.

Ma l'aria pura del Massachusetts se la godettero soltanto un anno.
Morirono tutti e due nel 1972, a qualche settimana di distanza, i nostri due amici italiani.
Non potevano sopportare di vivere l'uno senza l'altra.

Quando i loro figli si trovarono a sgombrar casa, furono costretti a chiamare gli artificieri dell'Esercito americano: 
in cantina, infatti, trovarono una scatola di dinamite perfettamente conservata che conteneva candelotti esplosivi pronto all'uso. 

Che Cesidio aveva tenuto per decenni certamente "perché non si sa mai"...

Cari amici, la foto davanti all'albero del Rockfeller Center è un classico.
E se in questi giorni sarete a New York, quando vi troverete davanti all'"albero di Cesidio", non dimenticate di inviare a lui un piccolo, devoto, affettuoso, pensiero.


Perché se voi siete lì davanti a farvi una foto, direi proprio che è merito suo. 
Del ciociaro Cesidio Perruzza, venuto negli Stati Uniti d'America da San Donato Val di Comino, il suo piccolo paese in provincia di Frosinone.


© dario celli. Tutti i diritti sono riservati

11 commenti:

  1. Questa storia pochi giorni fa è arrivata anche nella nostra nobile terra, la Ciociaria. Se ne parla molto in questi giorni da noi a Frosinone. E quando ho letto questa storia mi sono letteralmente emozionato e nello stesso tempo tutto ciò mi ha riempito di orgoglio. L'orgoglio di moltissimi Ciociari partiti (come molti altri italiani) per gli Stati Uniti senza niente, lasciando una terra da sempre sottovalutata, mal governata e maltrattata, in cerca di un posto in cui si potesse guardare al futuro con ottimismo e da grandissime persone e grandissimi lavoratori si sono fatti apprezzare ed amare. Subito il ricordo è andato ad uno zio di mia madre che purtroppo non c'è più. che partì giovanissimo da Frosinone per New York da semplice sarto e lì ha costruito il suo futuro e quello di tutta la sua famiglia. Che storie stupende.

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    1. Grazie, Alessandro, grazie delle tue parole.
      Gli Stati Uniti, come tutto il mondo, sono e sono stati fatti con le storie, i sogni, le fatiche, di piccoli uomini e donne.
      E io adoro queste storie.

      Come quella di Cesidio.
      E dello zio di tua madre.
      Se puoi, leggile questa storia.
      E' l'unico tributo che possiamo far loro per le fatiche che hanno sopportato da sconosciuti.

      Un abbraccio a lei e a te.

      d.

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  2. Ma guarda che combinazione! ho scritto un post sullo stesso argomento 2 giorni fa, quando ho letto la storia dell'albero del Rockefeller Center dal NY Times. Non la conoscevo, vedo che tu invece la conoscevi benissimo! Bella storia

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  3. Bella storia Dario!
    Sono stato due volte al RC(anche se solo una volta ho avuto la possibilità di vedere il Christmas Tree come lo chiamano i NY)e non sapevo nulla di come sia venuto fuori quell'albero in quel punto...che spettacolo! Grazie ancora per le chicche che fornisci a noi lettori di AF.

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  4. Proprio una bella storia, sono contento di averla letta :)

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    1. Grazie, nomade!
      Gira un po', perditi un po' fra queste pagine ancora...

      d.

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  5. grazie di questa tua ulterriore "perla" (y)

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  6. E poi dicono che gli States sono una nazione senza storia millenaria......forse non ha piramidi, templi, muraglie o catacombe..... ma, per me, la storia la fanno i popoli che poi lasciano a noi posteri ciò che loro hanno costruito o usato; la storia (per me) non sono i manufatti, la storia è chi ha fatto i manufatti: LA STORIA SIAMO NOI!......e tu che ce la racconti. Grazie. Elio.

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    1. "La Storia è fatta da piccoli uomini", diceva Sandro Pertini...

      Come sempre, grazie, Elio.


      d.

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