Anche perché il concerto era gratis.
Mi dicono che allo Yankee Stadium era in programma, ieri, anche un concerto dei Metallica (a pagamento), ma non lo sapevo quando per strada dei ragazzi con la maglietta blu e il simbolo della Barilla, scesi da alcune Fiat Cinquecento blu con il simbolo della Barilla mi diedero, qualche settimana fa, a Union Sq un biglietto di invito.
O meglio, per la mangiata di pasta (fredda) che la Barilla garantiva in questi giorni nei suoi stand a Central Park, appunto.
Insomma, ieri pomeriggio ci siamo messi belli in fila con un cielo che non prometteva nulla di buono. E io, al contrario di molti Newyorkesi, non avevo consultato prima le previsioni del tempo.
La coda per entrare dal lato est di Central Park era ordinata ed interminabile. E ci hanno detto che una coda gemella (ordinata ed interminabile) c'era anche nel varco del lato ovest.
Ovvio che in quelle condizioni si socializza con i vicini di coda.
I nostri erano due donne sulla 40ina abbondante, canadesi arrivate apposta da Montreal. Dal Quebec canadese, innamoratissime di Andrea Bocelli.
Una delle due nata in Canada ma da genitori emigrati dalla provincia di Avellino, l'altra - sua cognata - di origine tedesca era sposata, appunto, con il di lei fratello.
Quanto adoro il sangue misto, on. Calderoli!
Le due erano euforiche per essere a New York (senza i rispettivi mariti), super euforiche per assistere ad un concerto di Bocelli, e super super euforiche per aver bevuto una quantità di Margarita che avevano occultato in due borracce da joggin.
Lo so, io sono astemio, dunque non posso capire completamente la loro "allegria".
Ovviamente non hanno capito nemmeno loro come fosse possibile che un uomo italiano fosse "astemio": alla notizia volevano, dunque, svezzarmi lì, durante la coda (di due ore) per entrare a vedere "Bocielliu", come lo chiamavano loro, infilandomi in bocca a forza il ciucciotto della loro borraccia.
In due ore di coda si parla di tutto, ovviamente: compreso di matrimonio.
La più giovane delle due - quella che parlava "solo" inglese, francese e tedesco e capiva solo vagamente un po' l'italiano - si è subito informata del mio stato civile dicendomi che leri era sposata da undici anni e che questa "vacanza" a New York le era sembrata provvidenziale "perché 11 anni di matrimonio sono abbastanza, no?". Aggiungendomi che ora era dotata dell'esperienza sufficiente per avviarsi ad un secondo matrimonio...
Confesso che se fosse stata cittadina americana un pensierino l'avrei anche fatto (eddai, che sto scherzando!).
L'allegro convivio si è dissolto non appena la coda ha iniziato a muoversi e ad entrare nei percorsi "guidati" di Central Park, con quel cielo che non prometteva nulla di buono.
Io mi ero vestito "leggerino", anche perché al mattino c'era il sole, ma appunto, non avevo visto le precise previsioni del tempo americane che parlavano di un brusco (e se lo definiscono loro, così!) abbassamento delle temperature, unitamente a pioggia a tratti.
E così è stato.
Prima del concerto, per la verità, tanta pioggia, no. Anzi, c'è stato un tramonto dal cielo rosso incredibile.
Ma appena iniziato è arrivato il vento e l'acqua.
La scena era migliaia di persone (tutte giovanissime, dai 16 ai 35 anni, la media, moltissimi stranieri, molti cinesi e giapponesi) sedute o sdraiate a terra su teli e infagottate come omini Michelin.
Loro.
Che avevano visto le previsioni del tempo.
A fianco a noi sette o otto cinesi di Taiwan che non si erano adeguatamente informati, con uno di loro, stoico, che moriva dal freddo (batteva letteralmente i denti) visto che era in pantaloncini e maglietta.
Per me l'unico riparo fu un impiermiabilino ("ponciuo", come dicono qui) del tipo di quelli che si mettono i turisti in città e che sono andato a cercare e a comprare uscendo dalla fila.
E l'ombrello che invece mi ero portato.
Ma vedere (anzi no, ascoltare...) un concerto, seduti sull'erba (bagnata) con la pioggia che arrivava da qualunque direzione grazie ad un vento che sembrava riversarsi proprio lì, su quell'immenso prato di Central Park, era davvero impossibile.
Sul palco una intera orchestra filarmonica, e Andrea Bocelli che si alternava con altri artisti lirici (e che non ha manco salutato, all'inizio).
Ma la gente è andata in visibilio ugualmente.
Abbiamo gettato la spugna proprio all'intervallo, e mi è spiaciuto.
Perché io ero là non solo per "vivere" l'avventura come un americano - mi sa che l'anno prossimo anticiperanno l'avvenimento visto che l'anno scorso la stessa cosa accadde per il concerto di Bon Jovi, mi pare... - ma in realtà, confesso, ero andato lì soprattutto per ascoltare una canzone che mi fa venire i brividi. (E che gli amici cultori del "belcanto" inorridiscano pure, alla notizia).
"Con te partirò...", infatti, mi fa sempre lo stesso effetto.
Brividi e anche una incomprensibile ed irrazionale emozione che talvolta sconfina nelle lacrime.
E' qualcosa che parte "da dentro".
Da molto dentro.
Me la sono ascoltata una volta tornato a casa, quando è rientrato il mio roommate che, ho scoperto, era anche lui lì. (A proposito, ha attaccato in bagno i ritratti della famiglia reale norvegese. Dice che tutti, in Norvegia, hanno le regali foto esposte nel bagno...).
E la canticchierò fra qualche minuto, quando salirò nella macchina che ho noleggiato per uscire da New York e andare nel vicino New Jersey a trovare (anzi, a conoscere) un amico che "ha dovuto" scappare dalla Sicilia per evitare problemi con alcuni "personaggi" del suo paese.
Adoro l'idea di salire in macchina e farmi un viaggetto uscendo dal casino newyorkese per arrivare nei tranquilli paesini che vediamo nei film: quelli con le villette, tutte carine e curate, tutte con il giardino, tutte senza persiane o sbarre alle finestre, tutte con il Bbq nel retro.
D'altronde lui mi ha detto che vuole farmi vedere come vivono gli italiani lì.
Non mi perderò, purtroppo, nei milioni di chilometri delle strade americane. Né per sbaglio arriverò dalle parti di Chicago, sulla Route 66, che porta fino in California.
Sono dotato di navigatore satellitare, infatti.
Che ti porta sempre dovunque, ma che ti fa anche sempre tornare a casa.
Sempre se si vuole...
Sorrido.
P.S.: prima di arrivare al concerto ho incontrato un cieco con il suo cane guida. Era stupendo quel cane, con il suo sguardo così attento e premuroso. Al collo aveva un cartello con su scritto: "Don't pet me. I'm working". "Non fermatemi per farmi coccole: sto lavorando".
P.S.2: Sul crollo della mensola, del quale ho accennato questa notte, non mi dilungo. Ma potete immaginare, forse, cosa vuol dire essere svegliato in quel modo e trovarsi (miracolosamente illeso) con il letto sepolto da ogni cosa.
Compresa la terra di un potus...
Commenti
RispondiElimina#4 19:21, 17 settembre, 2011
Mi fa sempre acidamente sorridere l'idea che voi maschi vi dovete sempre "giustificare". Nel tuo bel racconto quanto suonava stonato e non parte di te quel "eddai che sto scherzando"!
P.
PS Fossi stato in te il margarita l'avrei proprio provato! Non sai cosa ti perdi e poi con il freddo aiuta.
utente anonimo (IP: 4ae8ef60051d34c)
#3 17:46, 17 settembre, 2011
Assolutamente no!
Ci hanno pensato loro scomparire.
Per fortuna...
:-)
dario.celli
#2 15:24, 17 settembre, 2011
pubblicità occulta alla barilla mi fai ora?
non dirmi che non hai approffittato delle due donzelle ubriache?
ciao cristian
utente anonimo (IP: 4b609c78e7767e6)
#1 23:27, 16 settembre, 2011
Mi deve scusare se ho fatto un link a questo post sul mio blog,prima di avere il suo permesso.
Non ho saputo resistere.
Spero non Le dispiaccia.
She
shewant