"... La lasciammo così: io come un padre ero un po' preoccupato perché sapevo che da quel momento sarebbe stata da sola.
E soltanto chi è stato all'aeroporto di New York, agli arrivi, sa qual è il livello di grandissimo casino, di allegra gigantesca confusione che regna in ogni istante lì").
"Già, ho girato quasi un'ora, in quella bolgia infernale. Mi avvicinavo a qualunque gruppo di ragazze che vedevo... Ma niente: non era mai il mio gruppo. Mi chiedevo come potessi trovarlo, il mio gruppo, in mezzo a quel casino incredibile. Mi concentravo su chi aveva un cartello in mano, ma niente: non riuscivo proprio a notare nessuna persona con il cartello 'Au pair in America'".
Non solo: secondo me, Carla, aveva una - comprensibilissima - paura boia.
Lo ricordo benissimo il suo sguardo impaurito, appena mascherato dall'orgoglio di giovane sarda, quando la salutammo all'aeroporto... D'altronde come vi sentireste voi, a vent'anni o poco più, nell'area arrivi di un'aerostazione straniera - anzi al Jfk di New York, dove vi passano centinaia di migliaia di persone al giorno! - ed essendo in quell'aeroporto, in quella città, in quella nazione, per la prima volta...
Siamo esattamente nello stesso luogo dove ci siamo conosciuti, all'Aeroporto di Fiumicino, questa volta alle partenze nazionali. Ma oggi, Carla, è irriconoscibile.
Quanto sorride, quanto freme...
Sta facendo una sorpresa alla famiglia: è appena atterrata da Philadelphia senza che loro lo sappiano, tempo un'ora e partirà per la Sardegna dove resterà per una decina di giorni, per passare il Natale "a casa".
Ma se l'altra volta, quando in lacrime partiva per il suo primo soggiorno americano, Carla quasi non parlava, questa volta Carla - la stessa Carla, quella de "Le lacrime di Carla" ! (cliccare sopra alle parole per leggere...) - pare un "fiume in piena".
E non certo fiume di lacrime.
E chi riesce a fermarla? Sta in silenzio solo per addentare la sua prima brioche al cioccolato italiana, dopo più di tre mesi, che le ho preso ad uno dei bar dell'aeroporto.
E riprendiamo il nostro racconto da dove ci eravamo lasciati...
"Ad un certo punto l'ho vista, la ragazza con il cartello e con la maglietta di 'Au pair in America', e con lei le altre ragazze. Avevamo più o meno tutte la stessa faccia: un po' perse, vagamente spaventate, dall'espressione interrogativa...
I primi tre giorni siamo state nel quartier generale dell'organizzazione, a Stamford, in Connecticut.
Tre giorni in cui ci hanno spiegato cosa ci saremmo trovate davanti, come rapportarsi con la nostra 'famiglia' americana, con i bambini, consigli su come conquistare la loro fiducia, come affrontare le difficoltà, come portare i bambini in auto...
... come saper far fronte a piccole emergenze, partendo dalla più classica, quella del boccone 'andato di traverso'.
(Thank's Wsj.net) |
Mamma mia, non capivo nulla! Nove ore durissime, intense, piene di cose da memorizzare, istruzioni e consigli da imparare a memoria.
'Come farò mai?' mi chiedevo...
Ricordo che una volta sono uscita da sola, lì a Stamford, e mi sono quasi subito persa.
Tre giorni duri, pieni di cose nuove, fianco a fianco a ragazze sconosciute. Sembra una barzelletta, ma in camera eravamo in tre: un'italiana - io - una tedesca, un'israeliana. Quasi non ci siamo rivolte la parola, in quei primi giorni: ora, invece, sono le mie migliori amiche 'americane' ".
Poi, il penultimo giorno, la programmata "gita scolastica" a New York, a Manhattan, 56 chilometri.
"E in meno di un'ora mi sono sentita mancare il fiato...".
Come posso descrivere gli occhi di Carla, "il sorriso di Carla", mentre mi parla? Per quanto io mi sforzerò - pensavo mentre lei, "inarrestabile fiume in piena" mi parlava senza prender fiato - non ce la farò.
Già, New York fa sempre un gran bell'effetto: è tutta lì, davanti a te, luccicante, affascinante e anche un po' ingannante: se poi, come ha fatto Carla, si fa anche il tour New York by night...
Un'utile iniezione di energia prima di partire per Philadelphia, la sua destinazione.
Poi mi parla della sua "famiglia ospitante": lui ingegniere, amante del canottaggio, dimensioni "americane", lei insegnante universitaria. E i tre bambini ("Sono splendidi!") di 2, 5 e 7 anni.
Mi parla della prima volta che ha guidato in America, delle tre multe che si è presa per parcheggio mal fatto ("Qui ci sono trentamila regole per parcheggiare! Non pensavo, per esempio, che prentendessero davvero che proprio quella parte di strada dovesse essere sgombra per la pulizia, esattamente all'ora indicata dal cartello..."), mi parla di quella volta che con la sua "famiglia ospitante" è andata in Indiana ad un matrimonio, e si è trovata a piangere dalla commozione, alla scena dell'arrivo degli sposi in chiesa e alla loro uscita, con i testimoni schierati ai due lati...
Le chiedo se si è fidanzata, e mi fa ridere quando mi risponde "E come si fa? Ogni volta che esco, conosco un ragazzo che quasi vale un fidanzamento! E' impressionante quanto siano fighi i ragazzi americani... Ed è vero che loro hanno un debole per le italiane...".
Rido ancora quando sento che si lamenta del fatto che dalle sue parti, locali e discoteche chiudano alle 2 del mattino, e mi rendo conto di come sia piccola ("troppo piccolina..." cliccate qui) la notte, quando si è così giovani...
Quando parla dei bambini che deve accudire - Autumn, Naha e Turner - gli occhi di Carla luccicano: "Li adoro e loro ora adorano me. Mi mancano da morire già adesso, che li ho lasciati da dieci ore... Ci sono alcune cose che mi colpiscono ancora, dopo tutti questi mesi: che quando piove vanno tranquillamente in giro senza ripararsi dalla pioggia e che già capiscono l'italiano. Anzi, qualche parola in italiano la dicono addirittura già... Quando sono partita, la piccolina mi ha chiesto, in italiano, 'Ciao, Calla! Ma... tonni, veo'?"
Poi mi parla della sua "casa americana",
e dell'educazione e della civiltà della gente.
Mi racconta di quando ha dato una sigaretta ad un ragazzo che gliel'ha chiesta per strada e del dollaro che lui voleva darle in cambio. O di quell'altro incontrato a New York, che faceva la colletta per comprarsi l'IPhone5 ("& sigarette", aveva scritto nel cartello, dove aggiungeva "Perché dire bugie?).
Mi racconta del corso di lingua che ha seguìto (pagato dalla "famiglia ospitante", "Ma la mia 'mamma ospitante' ha deciso che forse sarebbe meglio che vada a farne uno all'università... E magari lì farò anche un master...").
Mi dice che la sua "famiglia ospitante" ha pagato quasi 8000 dollari - più di 6000 euro - per averla con loro.
Mi parla di quel commesso di Prada con il quale ha chiacchierato a Manhattan, e che guadagna 5 mila dollari (3800 euro) al mese.
Mi parla della fortuna che ha avuto a trovare la 'famiglia giusta' e delle due ragazze del suo corso che invece non ce l'hanno fatta, hanno "gettato la spugna" e sono tornate a casa.
Mi parla dei colori dell'autunno americano, con quelle foglie a terra che sembrano colorate a mano...
Mi parla del fatto che a gennaio ha deciso che si iscriverà in palestra.
Mi parla dell'educazione, della civiltà e della gentilezza degli americani.
Mi parla di quella volta che ascoltava a tutto volume Ligabue in auto ("con io che mentre guidavo ballavo, saltando sul sedile, come una bambina") senza accorgersi che lì c'era il limite di 35 miglia all'ora (56 km orari); mi parla del fatto che tutti rispettano i limiti di velocità; e mi parla del poliziotto che - naturalmente - l'ha fermata... "Ero troppo presa dalla musica di uno dei miei cantanti preferiti! E poi era davvero strano percorrere le strade di Philadelphia ascoltando musica italiana!". (Ma non so dirvi se il poliziotto in questione sia stato clemente e abbia ritenuto l'ascolto di Ligabue una accettabile attenuante...).
Mi parla della nostalgia che ha dei tre bambini e del loro cane ("Avrà 99 anni!"), della nostalgia della famiglia ospitante americana e della nostalgia che là sente per la sua Sardegna quando solo ci pensa, e per la birra Icnusa, e per un panino alla mortedella, e per i suoi amici.
E per la sua, di famiglia...
Carla, ancora, non lo sa: ma è la lacerante contraddizione che vivono le migliaia di sardi sparsi per il mondo, i milioni di italiani che vivono all'estero.
E lì, in America.
E' ora di andare. E mentre ha in mano la carta d'imbarco per la sua Sardegna mi guarda e mi dice: "Dannazione, avevi ragione tu: mica so se torno più in Italia, sai? Vedrò che fare, vedrò come fare...
Io, lì, sto bene. Mi sento davvero bene...
Io lì mi sento libera. Punto".
Proprio come aveva fatto capire quando aveva messo questa foto sulla sua pagina Facebook.
Punto.
E avanti un altro.
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