Era giovanissima e magra come un chiodo, la maestra Rossana.
Per il suo primo anno di insegnamento venne assegnata alla scuola
elementare di Nibbiaia,
una frazione di
Rosignano Marittimo in provincia di Livorno.
Aveva poco più di venti anni.
Chissà com'era emozionata...
Nibbiaia, oggi, ha 629 abitanti.
Non sono in grado di dirvi quanti ce ne fossero nel 1957,
anno in cui vi trasporto oggi, cari amici di Aria Fritta. Ma non credo,
sinceramente, ne avesse molti di più.
Siamo, dunque, nel dicembre 1957 e precisamente in uno degli ultimi giorni di
scuola prima delle vacanze di Natale, quando, cioè, la maestra
Rossana Lecconi - che insegnava in una scuola interclasse formata da 14 bambini
di terza e 16 di quarta elementare - assegnò ai suoi alunni un tema.
Per il titolo, l'ottima maestra Rossana prese spunto
dalla storia di una delle sue alunne, Marisa.
Decise di chiedere ai suoi alunni di immaginare cosa ci fosse
a "Seimila passi da
scuola".
Già, perché l'alunna Marisa Leonzio (nove anni), ogni mattina usciva da casa con il
fratello, e partendo dalla sua casa colonica in località Podere del Gorgo, per arrivare a
scuola doveva farne seimila,
di passi.
Seimila all'andata e seimila al ritorno.
Li aveva contati.
E ne aveva parlato in classe, ovviamente.
Li aveva contati per far passare il tempo.
Ma anche la paura.
Pensate: ogni mattina la bambina Marisa doveva attraversare a
piedi un po' di campagna;
poi percorrere i sentieri che passavano dentro a due
boschi;
ed infine superare un torrente.
Il Chioma, che vediamo qui sotto.
Per passare oltre, la piccola Marisa doveva letteralmente
guadarlo, saltando - avete letto bene: saltando - fra
un sasso e l'altro fino ad arrivare alla sponda di fronte.
In tutto, un'ora e mezzo di percorso all'andata, e altrettanti al
ritorno.
A piedi.
E se lei ogni tanto frignava, papà Alberto non voleva sentire
ragione: lei doveva andare a scuola e basta. Perché avere un'istruzione era
l'unico modo per avere una vita migliore della sua, diceva sempre.
E noi non possiamo che vergognarci se pensiamo ai capricci, alle
storie, e ai nostri finti mal di pancia, che da bambini o da ragazzi dicevamo
di avere, per non andarci, a scuola...
Ora: finché era autunno o primavera, si trattava di una
passeggiata senza problemi: anzi, attraversare il bosco e il torrente era pure
una mezza avventura!
Ma quando pioveva o arrivava l'inverno, il percorso era tutt'altro che un
gioco, con il Chioma così gonfio d'acqua e con la sua corrente che
portava via.
E lei era pur sempre una piccola di nove anni...
Quando poi nevicava le cose erano ancora più complicate e i rischi erano
decisamente maggiori, con il pericolo di cascare nell'acqua gelida: e allora,
in quel caso, Marisa veniva accompagnata dal padre - il suo eroe
con tabarro e stivali - che per non farla bagnare guadava il fiume,
portandosela sulle spalle.
Con lui che ogni volta, per tranquillizzarla e
soprattutto per farla sognare, le diceva: "Dai, che un giorno costruirò un ponte tutto
per te!
Vedrai che prima o poi
succederà...".
Attraversato il ruscello, la piccola Marisa prendeva un altro sentiero,
poi una stradina di campagna e infine, finalmente, una strada asfaltata.
E quante volte, d'inverno, arrivava a scuola bagnata come un
pulcino, zuppa di pioggia... E allora la maestra Rossana spostava il
suo banco vicino alla stufa a legna che riscaldava tutta la
classe, cosicché lei potesse asciugarsi e scaldarsi.
"Sei la bambina più brava e coraggiosa che io conosca",
le diceva...
Terminata la mattina di lezioni, Marisa faceva il percorso inverso. Con
suo padre - il suo eroe, il suo gigante buono, un contadino dalle mani
"grosse così" - che nei giorni di piena del Chioma, la aspettava
lì, sulla sponda.
Per caricarsela sulle spalle e portarsela al sicuro.
A casa.
E in uno degli ultimi giorni del primo trimestre, dunque, lei e gli altri
alunni della maestra Rossana si trovarono di fronte ad un nuovo tema.
In questo caso era un "classico": "Racconta cosa vorresti come regalo di Natale e
perché".
E sono sempre teneri, i temi dei bambini su questo argomento, vero?
Più o meno, i loro desideri sono rimasti immutati nei decenni
(giochi elettronici a parte, che sono cose d'oggi): un pallone, una bambola, un
camion, un paio di scarpette da calcio, un trenino, una bicicletta,
un fucile da cow-boy...
Del trenino elettrico, la piccola Marisa non avrebbe saputo cosa
farsene: in casa sua, infatti, non c'era né elettricità, né acqua corrente.
E il bagno, infatti, era fuori casa...
Logico, dunque, quale fosse il sogno della piccola Marisa: lei scrisse che da
Babbo Natale quell'anno desiderava ricevere "un
ponte".
Un ponte sul fiume Chioma.
"Certe volte, per arrivare prima a casa, corro.
Specialmente quando piove, o quando viene giù dal Santuario di
Montenero quel vento ghiacciato. Ma poi devo aspettare che ci sia mio papà
che mi aiuti a passare il fiume", scrisse sul quaderno con la sua
calligrafia da bambina.
"Sì, caro Babbo Natale: ecco
cosa vorrei per regalo. Vorrei proprio un ponte".
E a quel punto accadde l'imprevedibile.
La maestra Rossana, commossa, lesse il componimento al direttore del Circolo
didattico di Rosignano, e lui, il prof. Benincasa, decise di inserire il
tema sul giornalino scolastico che pubblicava con racconti scritti dai
bambini.
L'imprevedibile fu che quel giornalino
arrivò sotto gli occhi di un redattore della cronaca cittadina de "La Nazione", quotidiano di
Firenze. Che
ci scrisse un articolo.
E che l'articolo venne letto da un dirigente italiano
dalla "Columbia Pictures" - una delle maggiori società di
produzione cinematografiche del mondo.
Raggiungendo così, in un baleno, l'America.
Ora, il caso volle che la "Columbia", proprio in quelle settimane, si
stesse preparando a lanciare in Europa "Il ponte sul fiume Kwai", il celebre film di David
Lean, con William Holden, Alec
Guinness e Jack Hawkins già uscito negli Usa.
Una pellicola che di lì a poco avrebbe vinto prima tre "Golden
Globe" e poi ben sette "Premi Oscar" oltre ad
altri vari 24 riconoscimenti internazionali.
Cari amici di Aria Fritta: se conoscete l'America, o
anche solo se siete lettori di queste pagine, avrete capito che negli Usa le cose vanno
veloci.
E che i sogni, quando si tratta di
Stati Uniti, si possono davvero avverare.
E infatti, tempo una manciata di giorni, nell'aia della cascina di Gorgo - la
frazione di Rosignano Marittimo dove abitava Marisa Leonzio, lontana 8.244 chilometri dal mondo di Hollywood - si palesò
rombante, e spaventando tutte le galline che lì razzolavano tranquille,
un macchinone nero, un'Alfa Romeo targata Roma.
Dalla quale uscì un signore elegante, completo
grigio fumo di Londra, camicia bianca, cravatta dal nodo piccolo, cappello
Borsalino in testa e occhiali da sole: alto, magro, abbronzato, capelli
impomatati e baffetti alla Clark Gable, che sembrava fosse stato
catapultato nel cortile di quella cascina da un disco volante.
Oggi ride come una bambina, la signora Marisa mentre mi racconta quei momenti.
Anzi, ride ancora oggi stupita, esattamente come
rideva sbalordita quella bambina.
"Sa, non è che ci fosse tanto traffico dalle nostre parti. Anzi, pensi che
noi non avevamo nemmeno un trattore!
Sicché quando sentimmo il rumore di un motore nel
cortile di casa nostra uscimmo tutti nell'aia. Allora vedemmo un tizio che scendendo si guardava intorno: uno sconosciuto che
sorrideva e veniva verso di noi.
Ci salutò, ma non capimmo cosa diceva. Ma parlò
subito il suo interprete.
Insomma, quel marziano si piazzò di fronte a mio
padre, gli strinse la mano e gli disse: 'Mr. Leonzio? Sono qui
perché vorremmo costruire noi il ponte a sua figlia'...
Ricordo che mio padre quasi si spaventò, sgranò gli
occhi e gli disse subito: 'Ma lei chi è?? E come fa a conoscere la storia del
ponte?
E comunque guardi che siamo contadini: non
abbiamo soldi, noi! Altro che ponte...'".
La piccola Marisa non lo sapeva, ma in
quell'istante iniziò il suo film americano.
Quel pezzo grosso di Hollywood sorrise, rispondendo semplicemente "Don't worry,
Alberto! Stai tranquillo! Noi abbiamo soltanto letto il tema di tua
figlia, e ci ha commosso. E abbiamo deciso che penseremo a tutto noi. Lo
faremo noi, quel ponte, e chiederemo noi il permesso al Comune.
E pagheremo tutto noi, naturalmente!
Anzi, perché non prepara le valigie e venite in
America? E' una bellissima storia, la vostra, e sono certo che agli americani
piacerà molto!".
"In America?? Ma che dice questo??? Che mi venga
un colpo!", avrà pensato quel pover'uomo (che in realtà forse
avrà detto fra sé e sé qualcosa del tipo "Maremma impestata!").
Cari amici, riusciamo ad immaginarci la faccia del signor Alberto in
quel momento, di quell'uomo che era solo "casa-lavoro", di
quell'uomo dalle "oneste fortissime mani"?
Possiamo mai immaginare l'espressione di quel papà che
d'inverno si portava sulle spalle la sua piccola per farle attraversare il
torrente in piena, perché potesse andare a scuola?
L'espressione di lui, che in casa non aveva né acqua
corrente, né elettricità?
L'America...
Sì, ovvio, ne aveva sentito parlare. Sapeva che di
italiani ne erano emigrati molti in America e anche di toscani o livornesi...
Ma dove mai era veramente, questa America?
Da lì tutto successe velocemente.
E infatti tempo un po' di giorni e in paese arrivarono
geometri, e tecnici e carpentieri, che nel giro di poche settimane
(incredibile...) tirarono su il ponte.
Di legno, proprio come quello del film!
E con lo stesso disegno, la stessa forma: solo
più piccolo, ovvio.
Era lungo 16 metri e largo 5: più piccolo, sì, ma perfetto per superare i
più alti livelli invernali del Chioma in piena.
Il giorno
dell'inaugurazione, domenica 19
gennaio 1958, a Gorgo c'erano
tutti: il sindaco, il parroco, i carabinieri, la maestra Rossana, il preside
della scuola, il Provveditore agli Studi, la banda e gli abitanti tutti delle frazioni lì intorno, molti "con gli occhi rossi e il
cappello in mano", mentre la banda suonava la marcia che nel film i soldati anglo-americani prigionieri dei giapponesi fischiettavano mentre costruivano il ponte.
Tutta gente che fino ad allora era costretta ad allungare la
strada di non so quanti chilometri per superare il torrente.
La voce di Marisa Leonzio che mi racconta, quasi 60 anni dopo, quei momenti è ancora oggi
commossa: "Ricordo
che rimasi sorpresa del fatto che quel giorno vidi tanta gente piangere.
Ingenuamente mi chiedevo il perché, visto che quel ponte era una bella cosa. Ma ero troppo piccola per capire cosa significavano davvero quei quattro
tronchi sopra il Chioma".
Lei era l'invitata d'onore e infatti fu lei a percorrere per prima il nuovo ponte sul fiume Chioma.
Eccola qui, la piccola Marisa Leonzio, nove anni, amore di
bimba, con quel vestito della festa e collana.
Che giorno, quel giorno!
In quell'angolo di mondo, in quel
puntino della Toscana, quel giorno arrivarono giornalisti e fotografi da tutta Italia.
E non solo: anche dall'America, ovviamente.
Fu un avvenimento che entrò nella storia
dell'"Italia semplice" di quegli anni, che dopo le sofferenze
provocate da una guerra sciagurata aveva bisogno di storie belle.
E di miracoli.
La consacrazione dell'avvenimento, avvenne senza dubbio con la copertina de "La Domenica del Corriere" del 2 febbraio 1958, come sempre
uscita dalla matita del mitico Walter Molino.
Toccava a lui, in quegli anni, immortalare
infatti l'avvenimento di cronaca più importante della settimana.
Che giornata!
I fotografi vollero poi far vedere a tutti l'euforia dei bambini del paese, così orgogliosi della loro amichetta.
E allora, altra foto: eccoli, dietro alla nostra piccola Marisa
che felice salutava vittoriosa.
Mentre Gorgo festeggiava la conquista del ponte ottenuto
grazie ad una bambina, e mentre quel grande avvenimento arrivava sulle
prime pagine dei giornali italiani, c'era chi nel frattempo si
spendeva ad organizzare il viaggio.
Perché il signor Alberto non era mai stato all'estero e non aveva il
passaporto; e, ovviamente, non ce l'aveva nemmeno la piccola Marisa.
E allora ecco che velocemente vennero superati tutti gli ostacoli
burocratici e fatti tutti i documenti in un baleno.
E poi anche i
biglietti aerei.
Stava succedendo una cosa pazzesca, per loro che non si erano mai allontanati da
casa.
Fino a quando arrivò il grande giorno.
"Ricordo tutto benissimo: i pianti alla mia partenza, il
viaggio in macchina fino a Livorno, e poi in treno fino a Roma...
Mamma mia che emozione vedere l'Italia che mi scorreva
accanto".
Ma quello era solo l'inizio: a
Roma, Alberto Leonzio e la piccola Marisa vennero prima accolti dal
Presidente della casa cinematografica Columbia Picture, e poi intervistati
negli studi della Rai.
Ma soprattutto furono invitati
al Quirinale da donna Carla, moglie dell'allora Presidente della Repubblica
Giovanni Gronchi, alla quale Marisa regalò la copia del "Sei Rose" - il giornalino della scuola che la rese famosa - e sei rose rosse, simbolo di Rosignano
Marittimo.
Donna Carla Gronchi che a sua volta donò a Marisa e al suo papà i vestiti per
affrontare adeguatamente il viaggio.
Un viaggio che si svolse senza la maestra Rossana, perché il Ministero della Pubblica Istruzione di Roma non le rilasciò il permesso.
Che rabbia...
Poi arrivò i momento della partenza: il 9 marzo 1958, eccoli finalmente all'aeroporto di
Roma Ciampino.
Eccoli salire sul volo per Parigi (mamma mia, a Parigi!)
da dove Alberto e Marisa Leonzio partirono, sorvolando
l'Oceano Atlantico, per Nuova York.
"Oh sì, ricordo tutto, anche se
sono passati quasi sessant'anni - mi racconta ancora tutta
entusiasta -: ricordo quando arrivai all'aeroporto di Roma, ricordo come
rimasi a bocca aperta quando vidi un aereo decollare. Ma come mai faranno
ad andare su, mi chiedevo...
Poi arrivammo sotto al nostro aereo: mi sembrava
enorme!
Era enorme!
Ricordo che avevo un po' paura e che un po' di paura forse ce l'aveva anche mio papà.
Ma io al suo fianco mi sentivo sicura!
E quanti aerei c'erano poi a Parigi!
Tantissimi e ancora più grandi! Un'oretta di pausa e arrivò il
nuovo decollo.
Questa volta per l'America.
Per Nuova York.
Viaggiammo in Prima Classe, dove le poltrone erano così grandi che
se fosse stato presente poteva starci seduto comodo, con me, anche mio
fratello.
Ricordo che durante il volo venimmo coccolati come se mio
padre fosse stato un Re e io la sua principessa.
Ci davano da bere, da mangiare tutte le volte che volevamo, e a
mio padre venne dato anche lo spumante.
Lo spumante... Non so se lui l'avesse mai bevuto, prima di
allora.
Mamma mia, che sogno vivevo...".
Solo che no, non era un sogno.
"Ricordo la gentilezza delle hostess, che mi curavano e che mi tenevano la
mano come se fossi stata la loro sorellina. Ricordo che in volo mi misero
vicino al finestrino e io tenevo sempre il naso appiccicato all'oblò.
Mica mi rendevo conto di essere così in alto!
E ogni volta che vedevo spuntare una città sotto le nuvole
chiedevo a mio papà se quello fosse un paese vero o se era finto,
magari disegnato da qualcuno".
Con il signor Alberto che aveva sempre gli occhi spalancati,
lucidi.
Era emozionato e forse anche un po' preoccupato.
E anche se il viaggio fino a Parigi lo fecero in compagnia
dell'attore William Holden, che doveva andare a Parigi, era sempre un po'
preoccupato, lui.
E anche se il famoso attore di Hollywood le regalò un mazzo di
violette.
Poi arrivarono a Nuova
York...
Subito la piccola fu portata in cima all'Empire State Building, il
punto di New York più vicino al cielo, a quel tempo.
E possiamo immaginare facilmente la meraviglia, lo stupore, sentito da una bambina della campagna toscana.
"Rimasi senza
parole, con la bocca aperta -
mi racconta -. Mi sembrava qualcosa di
extraterrestre! Era tutto spettacolare!
Quelle macchine che da quella
altezza sembravano formiche, giocattolini...
E tutte quelle luci intorno...".
Rimase cinque giorni nella Grande Mela, Marisa.
Cinque giorni
degni di una grande diva: con giornalisti americani al seguito, interviste televisive,
servizi fotografici.
Naturalmente fu portata in cima alla Statua della Libertà e avanti e indietro
lungo Manhattan...
"Ricordo ancora la meravigliosa pista
di ghiaccio sotto quel grattacielo (il Rockefeller Center, nda) e quei negozi di giocattoli, con le
bambole che si muovevano da sole. 'Non ci crederà nessuno, quando lo racconterò...', mi ricordo che pensai...".
E poi, dopo Nuova York, arrivarono anche cinque giorni a Washington: andò in visita alla Casa Bianca, (ma ve la immaginate una piccola bambina della campagna livornese in visita nientepopodimeno che alla Casa Bianca??) dove fu ricevuta dalla moglie del Presidente americano per essere poi ospitata a casa
dell'allora vice presidente Richard Nixon.
Dove fece a palla di neve con una delle sue figlie, che la
portarono anche in giro per negozi di giocattoli: "Mi chiesero di scegliere dei regali, ma tutto mi
sembrava esagerato, per me. Ricordo che scelsi due piccole bambole; io ero già felicissima, ma mi
dissero che era troppo poco.
E allora mi regalarono una intera casa delle
bambole, tutta arredata!
Un sogno...".
E poi le chiedo del "punto debole" per tutti gli italiani che si recano per la prima volta negli Usa...
"E sì, fu il mangiare a sembrarmi proprio strano: e quella storia che al mattino si faceva colazione con l'uovo
fritto proprio non la capivo!
Però io mangiavo tanta
frutta: mele, pere, arance.
E un giorno scoprii le banane, che in Italia non avevo mai
mangiato...".
New York, Washington: poi volevano portare la nostra Marisa in California, a Hollywood, negli studi cinematografici della Columbia.
Ma per lei era troppo.
"Dissi di no, che
avevo voglia di tornare a casa.
Volevo tornare da mia mamma, da mio
fratello, dalle mie amichette...".
Non che poi, in Italia, la vita di Marisa Leonzo fu tanto più
tranquilla: tornata il 19 marzo, fu subito invitata a Milano alla prima del
film, per essere poi ospite di Mike Bongiorno a "Lascia e Raddoppia?" e di Cino "Mago Zurlì" Tortorella, allo "Zecchino d'Oro".
La sua fu una favola che continuò anche in Italia, in fondo.
Perché dirigenti la Croce Rossa Italiana, commossi dalla sua storia, annunciarono che l'Ente avrebbe pensato all'istruzione della bambina, scuola superiore compresa.
Marisa che
così, dopo le medie in una scuola privata, frequentò un istituto
magistrale di Cecina, dove si diplomò maestra.
Si sposò ed ebbe due figli, la nostra Marisa:
Andrea e Davide, che in questi anni le hanno regalato cinque nipoti.
Che ogni tanto le chiedono di raccontar loro la
favola della piccola Marisa in America.
Oggi, il ponte sul torrente Chioma non esiste
più.
Del ponte della piccola Marisa emergono soltanto i monconi di alcuni dei suoi pali di legno.
Questo racconto lo dedico a mio padre Elio, che proprio quell'anno, nel
1958, negli ultimi giorni della sua vita, fischiettava allegro le celebri note
de "Il ponte sul fiume Kwai".
E' proprio vero che "certi amori fanno giri immensi"...
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