PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

giovedì 15 giugno 2023

La banca di Amadeo

 

Cari fedeli amici di Aria Fritta,
questa storia, inizia da un minuscolo paesino dell'Appennino ligure: Favale di Màlvaro. 

Siamo in provincia di Genova e il piccolo centro incastrato a 300 metri di altitudine prende il nome dal torrente Màlvaro. Oggi conta 427 abitanti: e pensare che nel 1869 Favale di Màlvaro di abitanti ne aveva ben 2167. 


Ma quelli di fine ottocento erano anni di grande fame anche nel nord Italia:

dunque, decennio dopo decennio, gli abitanti poco per volta abbandonarono il paese della Val Fontanabuona in cerca di fortuna altrove.
Nel 1881 ci abitavano 1968 persone, vent'anni dopo, 1509.

E poi sempre di meno: 1223 nel 1911, 1148 nel 1921, 840 nel 1951 e 670 dieci anni dopo. 
Fino a ridursi a 480 abitanti nel 2001. 
E oggi ancor meno...

Una diaspora provocata dalla miseria ma anche dal conflitto religioso fra i seguaci - non pochi in quelle valli - di Pietro Valdo, fondatore della Chiesa cristiana evangelica Valdese, altrimenti chiamato Valdo di Lione. Che pur dichiarandosi fedeli all'allora papa Alessandro III si allontanarono dalla Chiesa  (semplifico volutamente un po'...) in quanto Roma non condivideva la loro decisione di far predicare il Vangelo anche dai laici e - pensate un po' - dalle donne.

Non sono però in grado di dirvi se alla base della decisione del nostro protagonista di oggi di lasciarsi alle spalle Favale di Màlvaro ci siano state anche ragioni religiose.
L'unico dato certo è che a partire dai primi anni del 1900 il paese letteralmente si svuotò: con molte delle sue famiglie che superarono l'Appennino ligure per raggiungere Genova, da dove sarebbero poi salpati alla volta del Nuovo Mondo.


Fra i 459 favalesi che fra il 1881 e il 1901 lasciarono la "Val Fontanabuona" c'erano Luigi Giannini - 29 anni, agricoltore - e la sua giovanissima moglie Virginia Demartini, 14 anni. Che nel 1869 si imbarcarono in uno dei tanti bastimenti a vapore che partivano da Genova diretti nelle Americhe.
Anzi, in California, negli Stati Uniti d'America, dove in quegli anni a migliaia giungevano da tutto il mondo emigranti affamati di lavoro e anche attirati dalla possibilità di svoltare la vita scoprendo magari un giacimento d'oro di cui quelle terre erano ricche.

Ma non era il loro mestiere, quello, e a San José - nella contea di Santa Clara - Luigi e Virginia Giannini ricominciarono da zero praticando la sola cosa che sapevano fare: coltivare la terra 
Con i soldi che avevano da parte riuscirono a comprarsi un terreno con una casetta, che loro trasformarono in pensione. Una piccola locanda con 
20 posti letto praticamente uno attaccato all'altro.

Nel frattempo coltivavano il terreno intorno - 40 acri, poco più di 16 ettari - che grazie al loro sudore divenne piano piano una piccola azienda. Con i loro dipendenti che dormivano nella vicina locanda. 
Ed è lì che, il 6 maggio 1870, nacque Amadeo Pietro: o meglio, "Amadeo Peter", come venne registrato all'anagrafe di San Josè.

Come immaginerete erano anni difficili quelli, per i nostri emigranti: complicati, spesso drammatici.
Pensate: Luigi, il padre del nostro protagonista di oggi,
 un giorno ebbe una discussione con uno dei suoi dipendenti che gli rimproverava di aver ricevuto un dollaro in meno di quanto loro avessero pattuito. Una discussione tutto sommato banale, che però finì con una coltellata. Che uccise il padre del piccolo Amadeo, che lo soccorse inutilmente.  
Fu così che  il nostro Amadeo Peter - chiamato dagli amici sinteticamente "Appi", dalla fusione delle sue iniziali - a sette anni rimase orfano di padre. 

Possiamo immaginare il trauma per lui e per la giovanissima mamma Virginia.
Che aveva solo 22 anni, due figli con un terzo in arrivo. E che dunque e non aveva molto tempo per piangere: era il 1876 e lei doveva continuare a tenere in piedi la piccola azienda agricola. 
Di tornare in Italia non se ne parlava nemmeno... 
A fare cosa, poi? 

Così finiti i dodici mesi di lutto, decise di accettare il discreto  corteggiamento di un amico di famiglia, Lorenzo Scatena: che si offrì non solo di adottare Amadeo e i suoi due fratelli, ma che in dote portò a casa se stesso, le sue braccia, ma soprattutto un carro.
Che sarebbe stato utilissimo - financo fondamentale - per portare i loro ortaggi fino al porto di San Francisco. 

Amadeo intanto va a scuola, continuando contemporaneamente a lavorare nell'impresa agricola di famiglia. Era un ragazzino sveglio, e lo dimostra già a 14 anni, quando intuì una cosa banale ma fondamentale: e cioè che la frutta era meglio raccoglierla non completamente matura per evitare che arrivasse nei negozi inevitabilmente marcia.

Poi a lui, 14enne, venne in mente che era necessario far conoscere a più persone possibili l'esistenza della loro piccola azienda. Dunque iniziò a chiedere in giro i nomi di altri italiani che abitavano nelle cittadine vicine, ricopiando a mano - per cento volte (cento!) - una lettera scritta di suo pugno in cui proponeva a potenziali clienti italiani i servizi e i prodotti della campagna della famiglia Giannini. 
Si era fatto, insomma, una "mailing list" ante litteram: una lista di cento clienti che da "potenziali" divennero quasi tutti clienti "stabili".

Poi, altra idea: decise che doveva rivolgersi non solo agli italiani, ma anche alle altre comunità di immigrati. E dunque scrisse, di volta in volta, volantini e manifesti nelle relative lingue.

Fu un successo commerciale. 

Era sveglio, il nostro Amadeo: nel 1892 conobbe la 23enne Clorinda Agnes Cuneo, figlia di un importante banchiere di San Francisco, il cui istituto - la Columbus Savings&Loan bank - lavorava principalmente con la comunità italiana. Certo, il suocero era assai perplesso di quella relazione: lui, banchiere, per la figlia si aspettava un buon partito e non è che fosse entusiasta di quel corteggiatore della sua bambina. 
Pensate che (non proprio elegantemente, suvvia...) una volta arrivò a riferirsi lui definendolo "Quel verduraio italiano".


Ma l'amore dei due ragazzi, alla fine, fu più forte: soprattutto il nostro Amadeo accettò di divenire genero di quell'ingombrante futuro suocero, s
e non altro perché così avrebbe imparato il mestiere di banchiere.

Che infatti apprese bene in pochissimo tempo. 

Capì immediatamente che le banche del Nuovo Mondo, con la loro secolare altezzosità, trascuravano un'importante fetta di potenziali clienti: gli immigrati.


Così, a 34 anni, si licenziò e prese in affitto un ex saloon di San Francisco, facendone sede della sua banca: che sarebbe stata più moderna, più aperta, meno burocratica e che avrebbe garantito più facilmente l'accesso al credito agli immigrati, che gli altri istituti bancari invece trattavano con prudenza e diffidenza. 
 
"Si chiamerà Bank of Italy - decise - e sarà ad azionariato diffuso": nessun socio - per statuto - avrebbe potuto cioè possedere la maggioranza assoluta, o relativa, dell'azionariato. Ma al massimo 
quote inferiori al 5%.

Era il 17 ottobre 1904. 

Fu un successo: con il solo passaparola degli italiani, nella sua Bank of Italy di Jackson Square a San Francisco, nel primo giorno di attività vennero depositati 8.780 dollari.
Così, sulla fiducia.

La fortuna di Bank of Italy, in un certo senso, fu il disastroso terremoto di San Francisco del 18 aprile 1906 che, passando per Los Angeles, colpì l'intera costa ovest degli Stati Uniti, dall'Oregon al Nevada: un sisma che provocò tremila morti lasciando 400mila persone senza casa


Dopo la grande scossa - e prima che si scatenasse il terrificante incendio che distrusse gran parte di San Francisco - il nostro Amadeo riuscì a raggiungere la sua banca portando in salvo, lontano dal devastante fuoco che in quelle ore avrebbe distrutto la città, tutti i contanti e i depositi dei propri correntisti.

Il giorno dopo riorganizzò il suo istituto su un banco da verduraio - un'asse appoggiato a due botti - dove aveva piazzato un lenzuolo con la scritta  "business as usual", "affari come al solito", continuando dunque a concedere prestiti e contanti a chi ne aveva bisogno per ricostruire. Soprattutto a piccoli artigiani e commercianti - in particolare di origine italiana - ai quali nessun'altra banca dava credito o finanziamenti.

Tre anni dopo la banca venne ribattezzata "Banca d'America e d'Italia", che poi sarebbe diventata "Bank of America". Parlando ad una assemblea di banchieri, Giannini pronunciò un discorso che rimase celebre nell'ambiante finanziario americano di allora: "I clienti di Bank of America sono quelli che voi avete sempre rifiutato. Faremo prestiti, anche di importi modesti, alle nuove imprese, agli immigrati, e anche a chi non può dare garanzie ma ha buone idee e voglia di lavorare.
Le banche devono avere una funzione sociale, guidare lo sviluppo, creare opportunità, diventare la forza su cui chi fa impresa può fare conto"


Fu così che Bank of America cominciò a praticare il microcredito ("25 dollari" agli immigrati italiani), e poi in generale agli immigrati senza contratto, e poi ancora a tutti coloro che facevano parte di comunità marginalizzate. 
E ad applicare solo il 3% di commissione per far arrivare in Italia le "rimesse" (l'invio di denaro dall'estero) dei nostri emigranti. 
"Consideriamo il salariato o il piccolo imprenditore che deposita regolarmente i propri risparmi, per quanto piccoli, il cliente più prezioso che la nostra banca possa avere", era solito dire. 

Bank of America fu la prima banca americana ad accettare dai clienti analfabeti la semplice "X" a mo' di firma, o addirittura una ancor più semplice stretta di mano a suggello del contratto di adesione.
In realtà era un piccolo "trucco" di Amadeo Giannini: se chi si trovava di fronte non sapeva scrivere, lui gli stringeva la mano per sentire se il potenziale cliente avesse i calli, garanzia che lavorasse sul serio. 
E fu una fiducia ben riposta, la sua, visto che i prestiti a questa clientela "speciale" furono restituiti nel 95% dei casi. 
Una filosofia bancaria che rimase immutata nei decenni: in tempi recenti, negli anni 2000, Bank of America fu la prima banca Usa disponibile all'apertura dei conto correnti - e al conseguente rilascio di bancomat e carta di credito - anche agli immigrati irregolari, quelli che sono negli Stati Uniti senza documenti e visto, senza permesso di soggiorno, e che in Italia qualcuno oggi chiama ancora "clandestini"

Fu l'autorevole quotidiano finanziario americano Wall Street Journal a raccontare il fenomeno nel corso di un'inchiesta di qualche anno fa. Interrogato a proposito, Lance Weaver - capo della divisione "Servizi internazionali" di Bank of America - non negò la cosa rimanendo però sul vago, e limitandosi a dichiarare che la sua banca aveva soltanto avviato un'iniziativa "specificamente orientata verso coloro che hanno una storia creditizia inesistente o esigua".

Che è poi proprio il profilo dell'immigrato "illegale", "clandestino".
C
he negli Stati Uniti lavora, produce, guadagna, ma che si è sempre ben guardato dall'entrare in una banca, tenendo i suoi dollari sotto al materasso o affidandoli magari a chissà chi. 
E siccome, secondo i dati ufficiali (presumibilmente...) si tratta di dieci milioni di persone, è facile intuire quale sia la posta in gioco per le banche americane. 

Quando Bank of America aprì l'universo delle carte di credito e dei conti bancari agli "illegal", l'iniziativa finì presto nel mirino dell'Usics, l'Us Citizenship and Immigration Service, l'Ufficio Federale dell'Immigrazione Usa, sollecitato dalla "Federation for American Immigration Reform" - associazione americana che vede l'immigrazione clandestina come "fumo negli occhi" - che chiese immediatamente il severo intervento delle autorità, definendo l'iniziativa della banca "azione che aiuta a violare la legge".

Con Brian Tuite, capo della divisione carte di credito di Bank of America, che rispose semplicemente: "Vi state riferendo a nostri clienti che lavorano e che hanno scelto gli Stati Uniti per migliorare la propria qualità della vita. Noi riteniamo che sia giusto dare a tutti una possibilità"

Aggiungendo poi che, così come l'Ufficio Federale dell'Immigrazione fa il suo mestiere, anche gli istituti di credito fanno il loro: che è quello di acquisire i risparmi di più clienti possibili.
Evitando così, tra l'altro, che questo denaro lasci gli Stati Uniti andando chissà dove e chissà in che modo. 


Stop.
Fine della discussione. 

Nel mondo degli istituti di credito, Amadeo Giannini fu considerato l'inventore delle moderne pratiche bancarie, ma contemporaneamente fu anche un grande visionario.
E' stato, per esempio, il primo banchiere a scommettere sull'industria del cinema: 
"E' il futuro dell'intrattenimento", disse nel 1921. 
E così finanziò "The kid",
"Il monello", film muto dell'allora sconosciuto Charlie Chaplin.

Al quale non chiese interessi sul prestito ma semplicemente il 20% degli incassi del film.
E ci vide lungo, Giannini, visto che il film - finanziato con 250 mila dollari - ne incassò poi due milioni e mezzo

Non solo: da bambini avrete visto, immagino, il film a cartoni animati "Biancaneve e i sette nani"...
















Ebbene: fu lui, il nostro Amadeo Giannini, a finanziarlo nel 1937, anticipando a Walt Disney 
il milione e mezzo di dollari dei costi.
Con il film che poi, di milioni di dollari, ne incassò sei e mezzo

Due anni dopo, stessa operazione con "Via col vento"


Al regista Victor Fleming e al produttore David O. Selznick costò 
una cifra record, quasi 4 milioni di dollari che vennero  interamente anticipati dalla banca di Amadeo Peter Giannini.
Con il f
ilm che poi vinse otto Premi Oscar (al tempo, un record) e che di milioni di dollari ne incassò ben 3.300

Tremila trecento milioni.
Di dollari


Cinema, ma naturalmente non solo: negli Stati Uniti, dal 1933 al 1937, Amadeo Giannini finanziò anche la costruzione di navi e aerei, che risultarono poi fondamentali per la sconfitta di Hitler, Mussolini e Hirohito. 

Pensate che fu lui, Amadeo Giannini, il primo ad assumere donne nelle banche, e questo prima ancora che la legge americana permettesse loro di votare: "E' uno spreco che le donne non possano fare lavori di concetto", disse nel 1910. Con dieci anni di anticipo rispetto al XIX° emendamento della Costituzione americana, che avrebbe esteso negli Stati Uniti il diritto di voto a tutte le donne.   

Tornò diverse volte in Italia, Amadeo Giannini: memorabile fu il suo viaggio del 1912, quando organizzò un pranzo in piazza per tutti gli abitanti della sua Favale di Màlvaro. "Anche se veniamo dall'altra parte del mondo - disse il nostro Amadeo - il nostro cuore è sempre qui, in questa piazza, con voi".
 
Naturalmente "Cosa Nostra" tentò di avvicinarlo, con lui che respinse le loro lusinghe bluffando: "Guardate che sono italiano, e i federali tengono d'occhio 24 ore su 24 me, la mia famiglia e le mie banche, che sono disseminate di loro agenti".

Contemporaneamente Amadeo Giannini decise di pagare lui gli studi fino all'università ai figli di tutti i suoi dipendenti, mentre lui già finanziava l'Università californiana di Stanford.

Poi arrivò il 1932, quando un giorno si presentò nel suo ufficio un ingegnere: "Lei non mi conosce - gli disse -: il mio nome è Joseph Baermann Strauss, progetto ponti e da dieci anni ne sto studiando uno che rivoluzionerà il traffico di San Francisco. Ma ora ho finito tutti i miei soldi e sono ad un passo dal rinunciare. Lei è la mia unica, ultima, speranza...".

Mi sembra di vederlo, il nostro amico Amadeo mentre scrutava quell'ingegnere negli occhi.
Si limitò a chiedergli: "E mi dica un po': quanto durerà questo ponte?". 

La risposta ("Per sempre!"), lo conquistò e lo convinse.
Fu così che nacque il "Golden Gate": ma al posto di dare all'ing. Strauss i 32 milioni di dollari richiesti, Giannini
 ne aggiunse 3 in più. 
Per sicurezza. 

Fu un progetto ambizioso, pazzesco: quando nel 1937 fu realizzato, era il ponte sospeso più lungo del mondo. 
A pedaggio, ovviamente. 
Che oggi (i dati più aggiornati sono del 2020) viene attraversato da quasi 32 milioni e mezzo di auto all'anno, che si traducono in 125.401.000 di dollari in pedaggi.
Ma il record è del 2017, quando sul ponte finanziato dal nostro Amadeo ci passarono 41.184.000 veicoli. 

E del quale ho raccontato tempo fa un'altra storia che lo riguarda, in queste pagine. QUI.

Una figura davvero leggendaria, quella di Amadeo Giannini: raccontano le cronache che lui, dopo aver salvato la Chrysler dal fallimento, rifiutò come regalo una delle loro auto: "Guardate, a malapena accetterei una bottiglia di grappa...". Con lui che invece pretese che il valore di quell'auto fosse dato in beneficienza.
E che la notizia venisse diffusa dai giornali.

Per lui l'unico brutto momento fu il periodo della Seconda Guerra Mondiale, quando l'Italia fascista si alleò ai nazisti e ai giapponesi contro americani, sovietici e inglesi. Furono anni, quelli, in cui gli americani di origine italiana comprensibilmente non erano molto benvisti negli Stati Uniti.

Italo-americani che, quanto meno, venivano trattati con distacco e diffidenza. Sorte che toccò anche a lui, pur non avendo mai avuto nulla a che fare con Mussolini e i suoi scherani. 
Così dopo la Liberazione, quando giapponesi e nazifascisti ne uscirono sconfitti e la guerra finì, lui ordinò che ad ogni finestra di tutte le sue banche venisse esposta una bandiera italiana: "Perché per noi - dichiarò pubblicamente - questo è un giorno di festa".

Nello stesso anno, in occasione dei suoi 75 anni, fondò la "Giannini Family Foundation", ente benefico che ancor oggi ha come scopo la promozione e il finanziamento della ricerca medica.

Morì quattro anni dopo, nel 1949, lasciando moglie e sette figli. Una delle quali, Claire Giannini Hoffman - prima donna a far parte del Consiglio di Amministrazione di Bank Of America - fino al 1986 amava trascorrere una settimana di vacanza a Rapallo o a Forte dei Marmi. 

Nulla sapevo di tutto questo, né tantomeno potevo immaginarlo, quando da ragazzo, ogni giorno per andare al Quinto, il mio liceo di Torino, passavo in via Garibaldi davanti ad una sua banca, la "Banca d'America e d'Italia", succursale italiana di "Bank of America", che nel 1993 arrivò a detenere in Italia ben 149 sportelli. 

Una avventura che si concluse nel 1994, quando la Banca d'America e di Italia fu assorbita dalla tedesca Deutsche Bank.

Qualche anno fa, ad un amico vincitore di Green Card che si trasferì negli Stati Uniti e che aveva proprio vicino casa una Bank of America, suggerii di chiedere all'impiegato allo sportello se la banca offriva ancora condizioni particolarmente favorevoli ai nuovi clienti italiani, proprio in virtù delle analoghe origini del  fondatore.
Al quale negli anni il settimanale americano Time dedicò peraltro più di una copertina.
     

                          

L'impiegato, stupito e assai perplesso, chiese allora istruzioni al suo capo, e tornò poi allo sportello con un sorriso trionfante: "Ma lo sa che non lo sapevo che questa banca fu fondata da un italiano?" 

Non solo: nel 1973, le poste americane dedicarono al nostro amico un francobollo. 

                                            
Roba d'altri tempi, appunto.
Mentre le Poste Italiane si svegliarono solo nel 2020, definendolo "Banchiere per il popolo".

Meglio tardi che mai...

                         

Ma lo spirito di Amadeo Pietro Giannini, nato da Virginia Demartini Giannini e Luigi Giannini, aleggia - sono certo - ancora fra gli sportelli di quella banca. Anche se - non si capisce il perché - nel sito internet di Bank of America, oggi, si legge soltanto che "le parti più antiche della nostra azienda risalgano a 240 anni fa", senza fare nessun accenno ad Amadeo Giannini. Il fondatore. 

Vabbè...

La sua casa in pietra di Favale - o meglio, quella dei suoi genitori, dove venne concepito - è ancora lì, e oggi è diventata Museo dell'Emigrante

Ecco qui.
Infine mi piace osservare che c'è un paradosso, in questa storia: anzi una sorta di sorprendente correlazione, se ci si riflette, una sorta di positiva legge del contrappasso.
Oggi, nel 2023, Favale di Màlvaro - il piccolo paese arrampicato nell'Appennino ligure dal quale erano partiti i genitori del nostro amico Amadeo, 
Luigi Giannini e la sua giovanissima moglie Virginia Demartini Giannini - conta una discreta presenza di immigrati stranieri. 

Sono quasi il 10% dei suoi 520 abitanti: che per pura fortuna - ma molto più probabilmente per puro caso - sono capitati lì facendo i soliti mille mestieri dei migranti di oggi in Italia: muratori, ambulanti, badanti. 
E sono romeni, polacchi, albanesi, ma anche sudafricani e vietnamiti. 

Che a Favale di Màlvaro, provincia di Genova, hanno trovato, in fondo, la loro (minuscola) America.

Mi piacerebbe che qualcuno leggesse loro questa storia... 

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