PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

venerdì 3 febbraio 2012

"To trust"

Niente da fare.
E' davvero un concetto difficile da capire, per noi italiani,  cresciuti a "pane e diffidenza".
Il verbo "To trust" ("aver fiducia", "fidarsi", "affidarsi") è davvero difficile da assimilare, da con/prendere, per un italiano che si trova negli Usa. O perché ci vive o perché è in vacanza.
Ma il tarlo della "diffidenza" fa sempre capolino, anche in chi, negli Stati Uniti, ci vive da tempo. 

Ne ho avuto conferma leggendo il racconto di un connazionale (peraltro da qualche anno a New York) che in questi giorni si è trovato ad acquistare un nuovo computer Apple - un MacBook Pro - visto che il suo, ormai, aveva "una certa", come si dice a Roma.
Per questioni "di principio", il mio amico è però contrario ad acquistare prodotti nuovi, soprattutto quando a New York il mercato ne offre di praticamente nuovi, a prezzi decisamente convenienti.

Ora, come sanno tutti gli italiani che conoscono New York, a Manhattan ci sono numerosi "Apple Store": frequentati dai connazionali soprattutto perché si può stare anche per ore gratuitamente su internet (e su Facebook al posto di godersi la città).

C'è quello tutto sotterraneo sulla Fifth Ave, sulla famosa Quinta strada, all'angolo con Central Park... (cliccate sulla freccia)
ce n'è uno a Soho, e c'è quest'altro, inaugurato lo scorso dicembre all'interno del Grand Central Terminal, la meravigliosa stazione ferroviaria di Manhattan. 
Anche qui, per vedere, cliccate la freccia. 
Ma a Manhattan c'è anche un negozio (ne esisteranno altri, immagino, ma io conosco solo questo) che vende prodotti Apple d'occasione, di seconda mano ma in ottime condizioni, e che si occupa anche di riparazioni.
Badate: non si tratta di un negozio ufficiale, ma di privati che hanno deciso di specializzarsi in computer della mela morsicata.
Mi ci ero rivolto perché dovevo appunto sostituire il video del mio portatile. 
La cosa paradossale è che il negozio "non Apple" mi fu segnalato proprio da uno degli efficientissimi ragazzi dalla maglietta blu, da un dipendente Apple. Un fatto inimmaginabile, in Italia, dove quasi nessuno farebbe "pubblicità" ad un negozio concorrente!
Ancor più paradossale è che poi sono stati proprio i commessi di quel negozio a consigliarmi di tornare alla Apple, visto che  da loro la riparazione sarebbe costata la stessa cifra, ma avrebbero potuto ridarmi il portatile con tempi superiori.

Ma vi accennavo del mio amico e dell'acquisto del suo MacBook: racconta che lui si è affidato a "Craiglist", un mega sito di annunci dove si può trovare di tutto (e dove, vi confesso, non so come districarmicivisi...): dagli appartamenti in affitto al partner - per una sera o per una vita -; dall'automobile in regalo a una bicicletta; da una lavatrice, ad un computer, appunto. 
Dunque ha raccontato di aver trovato proprio su Craiglist la persona che vendeva un MacBook Pro nella fascia di prezzo da lui scelta: 750 dollari, 570 €uro. "Ottime condizioni. Come nuovo".
Un affare.
Seguono canonica telefonata e appuntamento, preso in un bar di Lexington Ave alle nove di sera. Segno di riconoscimento del venditore: "una giacca di pelle nera".

Taglio corto: il giovanotto, all'aspetto, ispirava la stessa fiducia che una persona in giacca e cravatta con un rolex d'oro al polso può sentire incontrando in un vicolo cieco di una qualunque degradata periferia urbana un discendente del pirata Barbanera. 
I vistosi tatuaggi che portava poi su entrambi i lati del collo, sui polsi, financo sulle dita - ultima falange compresa - avrebbero consigliato chiunque di noi a guadagnare la più vicina uscita e a lasciar perdere l'affare.
Oltretutto - raccontava l'amico fra il preoccupato e il guardingo - trattavasi di tatuaggi "cattivi", modello "galeotto", non quelli "bellini da fighetto" tanto di moda, ora.
Preoccupazioni che svanirono dopo pochi istanti: il magnifico MacBook Pro da 570 €uro non solo non era frutto di un furto, ma era stato portato nella confezione originale, con tanto sacchettini di cellophane, scontrino e garanzia. Il "pericoloso teppista tatuato", poi, si era rivelato essere un tranquillissimo giovane musicista cresciuto a Miami, e per di più nato da padre triestino.
Conclusione della scenetta: il mio amico ha preso il portatile senza nemmeno averlo acceso e controllato, mentre l'ex filibustiere si era messo in tasca la busta senza aver contato i soldi: anzi, senza nemmeno aver guardato di sfuggita se contenesse banconote. "Un sorriso, una stretta di mano, e in pochi minuti l'affare era fatto", ha raccontato.

Tutto sulla fiducia.
To trust, appunto.

La logica "made Usa" me la spiegò anni fa un amico americano che conobbi proprio nel periodo in cui lui stava vendendo la propria auto, munita ancora di contachilometri "non digitale" e dunque "modificabile".
Quando gli chiesi come mai non "tirasse giù" un po' di chilometri per "ringiovanire" la sua macchina, dopo essere rimasto sorpreso e perplesso per qualche istante mi rispose: "Ma se io lo faccio a qualcun altro e la cosa diventa un'abitudine, non posso poi escludere che un giorno qualcuno lo possa fare a me, no? E' una questione di fiducia", mi disse.
Già.
Mi sentii "il solito italiano".

In America la fiducia è tutto.
To trust, appunto.

Esattamente come quando trovai casa a New York due anni fa, da una persona sostanzialmente sconosciuta, dopo un paio di telefonate e senza nemmeno avergli inviato soldi, o quanto meno una caparra. 
L'opzione hotel era esclusa, visto che sarei stato fuori dall'Italia quasi due mesi grazie una (minima) parte di ferie arretrate che volevo finalmente smaltire. Dunque iniziai ad esaminare la possibilità "appartamento", ma dopo aver visto i prezzi delle agenzie mi tornò miracolosamente a mente una intervista che feci - dieci anni prima - ad un immigrato italiano giunto nella Grande Mela l'anno precedente. Improvvisamente, in particolare, mi ricordai quel passo laddove mi disse il cognome del suo padrone di casa italo-americano, possessore"di tanti appartamenti a New York", mi disse allora.
La breve ricerca che feci su internet mi portò a sapere però che la persona in questione era morta da qualche mese e che effettivamente "aveva tanti appartamenti".


Mi sono così imbattuto nella tipica - incredibile - storia da "sogno americano".
Emigrato negli Usa a 17 anni dopo la guerra, lui fece l'unico lavoro che sapeva fare: il muratore. La sua storia straordinaria la racconterò un'altra volta, ma la riassumo qui in poche righe: dopo aver fatto per una ventina d'anni, dunque, il muratore, nel 1974 aprì una piccola ditta di costruzioni, di ristrutturazione e di compravendita immobiliare. 
E quando morì per un tumore 34 anni dopo (due anni fa) questa persona lasciò alla moglie e ai suoi tre figli 32 palazzi a New York, per un totale di 4500 appartamenti.
Avete letto bene: quattromilacinquecento.

Dopo essere rimasto (come voi, ora...) letteralmente senza parole, e dopo qualche minuto passato a pensare sul da farsi vista la sua dipartita, decidi di non perdermi d'animo e di agire "all'americana". 
Dovevo darmi da fare e tentare.
Dunque trovai l'annuncio mortuario apparso sul New York Times, vidi i nomi dei figli, controllai su Facebook e chiesi "l'amicizia" ad uno di loro, più o meno mio coetaneo.
Con lui - che non sapeva chi fossi e non mi aveva ovviamente mai sentito nominare - dopo un paio di mail e altrettante telefonate raggiungemmo l'accordo per l'affitto di un appartamento, che per di più - mi disse - era "a soli cinque minuti a piedi da Central Park".
Vi confesso che non ci credevo: era stato troppo facile, mi sembrava tutto così impossibile! 
Se poi straordinario era stato il modo con cui avevo trovato l'appartamento, altrettanto fu il prezzo che ero riuscito a concordare: 2800 dollari (poco più di 2000 euro) per quasi due mesi. Una cifra da dividere fra 4 persone e per i 50 giorni di permanenza. Fate voi il calcolo di quanto quella vacanza ci sarebbe costata al giorno e confrontate il risultato con i prezzi italiani...
E' vero, siamo stati fortunati: ma negli Usa spesso la fortuna  - davvero! - aiuta gli audaci (e i matti che chiedono l'amicizia su Fb...).


Tutto sembrava filare per il verso giusto, quando si presentò la prima difficoltà: lui aveva in programma di partire per una settimana di vacanza proprio qualche ora prima del nostro arrivo. Già vedevo la cosa sfumare, perché noi non potevamo certo più anticipare la partenza, per dargli l'affitto. "Ma non ti preoccupare, l'affitto me lo darai quando torno. Le chiavi te le darà il signor Carlo, uno dei custodi...".
Il che significava che saremmo stati una settimana in un appartamento a New York, senza che il proprietario avesse di me nulla di più che un nome e cognome (che poteva anche essere fasullo) e un numero di telefono italiano.


Vi confesso che nei giorni precedenti la partenza feci due telefonate di troppo per assicurarmi che davvero fosse "tutto a posto", e per rassicurarlo che avremmo "davvero" pagato al ritorno della sua vacanza. 
Perché tutto mi pareva assurdo, incredibile.
La vocina "tutta italiana" dentro di me, mi sussurrava in continuazione ogni tipo di ipotesi pessimista.
E se quello era un matto? 
E se mi aveva fatto credere di essere colui che non era? D'altronde non aveva voluto nemmeno un bonifico, nemmeno un fax con un mio documento! Nello stesso tempo, a parte un indirizzo e uno scambio di mail, io, non avevo "niente in mano".
Ero pazzo. Sì, assolutamente incosciente.
Avrei certamente rovinato la vacanza a me e alle altre tre persone con le quali viaggiavo. 


Nei giorni precedenti (quando non potevo più fare altre telefonate perché avevo esaurito tutte le scuse possibili...), ma soprattutto la notte prima di partire e poi durante le otto ore di viaggio, avevo un incubo ricorrente: noi che arrivavamo all'aeroporto di New York, che prendevamo il taxi, che arrivavamo all'indirizzo dove NON trovavamo nessun "signor Carlo" ad attenderci. 
Avevo anche un'altra variante di incubo: quella dell'indirizzo inesistente. 
Guardavo e riguardavo le mail che mi aveva mandato e mi rendevo conto che effettivamente avrebbero potute essere state scritte e spedite da chiunque.
Anche perché il mondo è pieno di matti, si sa...


Atterrati, e alla fine della corsa in taxi, scoprimmo che l'indirizzo era esistente, che la palazzina di cinque piani c'era, e che c'era addirittura anche il signor Carlo!
Signor Carlo (che era di origine greca, in realtà) che non solo non chiamò la polizia per far arrestare noi quattro che millantavamo l'affitto di un appartamento, ma che ci accompagnò fino ad esso.
"Cavoli: allora davvero esiste!" pensai sospirando... 
L'incubo che avevo avuto per giorni, e che ci vedeva passare un paio di notti nel primo albergo che avremmo trovato disponibile a Manhattan, finalmente si dissolse: e l'amico conosciuto su Facebook era dunque esistente e non un pazzo mitomane.


La porta di ingresso si apriva subito sul soggiorno-pranzo, dove c'era il divano-letto a due piazze:









La cucina era alle spalle del tavolo rotondo di vetro,





al di là della finestra-muro. In cucina, un grande frigo, la lavastoviglie e tutto l'occorrente per farsi da mangiare (usato poco, per la verità, colazione a parte). 
Alla sinistra della foto di qui sopra si intravede la porta di ingresso.  Entrando, a destra, c'era il bagno, subito a fianco la camera da letto con una cabina armadio.
Il bagno aveva la doccia (ma non il bidet, come in tutte le case americane), e né in bagno, né in cucina c'era la lavatrice. 
Capii dunque che il bucato si poteva fare solo nell'apposito locale lavanderia - visto che negli appartamenti dei condomini americani di norma le lavatrici NON si possono tenere - locale che in questo condominio era nel "basement", nel piano sotterraneo.

Là sotto, c'erano quattro lavatrici da dieci chili - dalla comoda carica dall'alto - e tre asciugatrici, con non ricordo quanti livelli di umidità per asciugare il bucato nel modo più gradito e adatto ai diversi tessuti.
Un lavaggio, due dollari, così come una asciugatura.

Per otto giorni restammo in quella casa senza che nessuno fosse venuto a chiederci l'affitto: avremmo dunque potuto andarcene, passare otto giorni gratis a New York, e non saremmo stati mai rintracciati. 

Quando, al suo ritorno, accennai al padrone di casa conosciuto su Facebook il mio italico stupore, lui, in un curioso italiano, disse semplicemente che si era "fidato". E mi fece capire che generalmente loro (gli americani) sono così. 
Per aggiungere, sibillino, che però poi sono capaci di diventare spietati con chi sgarra, con chi tradisce la loro fiducia. 

Ho preferito non chiedere alcuna spiegazione in merito, fidandomi di quanto mi suggerivano la sua espressione e il suo sorriso.
To trust, appunto...
:-)

© dario celli

6 commenti:

  1. mi chiedo se è l'ambiente che condiziona le persone, o semplicemente se diamo fiducia, riceviamo fiducia. E poi il proprietario è di sangue italiano.

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    1. Beh, quello, secondo me ha influenzato un po' (il fatto di essere stato italiano).
      Tieni conto, però, che lui, questa persona è nata in america ed era molto "americana" negli atteggiamenti: confidenza e simpatia, sì, ma "fino ad un certo punto".
      Insomma, non posso proprio dire che siamo diventati "amici" da allora.
      Anzi.
      Vale la cosa che dice Marica qui sotto (lei è di Roma è si è trasferita negli Usa da pochi anni), anche se gli italiani rimangono sempre un po' increduli e perplessi, in America tendenzialmente tutti si fidano di tutti...
      (Ma se poi tradisci la fiducia che ti è stata data, "son dolori"...)

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  2. :-)

    si, e' molto bella questa cosa che tutti si possono fidare di tutti!

    [puntualmente pero' quando gli americani arrivano in italia vengono raggirati :-/ sob]

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    1. Non hai idea di quanto io me ne vergogni.
      Infatti quando incontro un americano in Italia io mi spacco in quattro!
      :-)

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  3. Quando eravamo in California mia figlia voleva le scarpe con le ruote sotto. Siamo andati in un negozio e le abbiamo chiese e questo, con serenità, ci dice "è un articolo che non abbiamo ma so che il negozio xxx in nnn street sono sicuro che le ha perché le ho viste sabato".
    Per loro è normale fare pubblicità alla concorrenza, esattamente come Sconsigliarti un negozio o un altro.
    Non è scandaloso.
    Anche in tv capita spesso: ultimamente c'era la pubblicità di un medicinale per il raffreddore che dice "Mica come quello XXX che invece non funziona"... tutto normale!
    E comunque... sì trust... ma fino ad un certo punto... perché per iscrivere i figli a scuola, per affittare casa, per aprire un conto... devi avere mille credenziali. Non ti danno carta di credito se non hai credit history. Non ti danno una macchina in leasing. Non ti danno UN CAPPERO DI NULLA se non hai credit history!
    W L'America!

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    1. Già, le ho lette le tue peripezie con la carta di credito...
      Ma se tu avessi avuto (forse) una American Express, avresti potuto più facilmente "trasformarla" in carta americana.
      O no?

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