PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

domenica 5 febbraio 2012

L'ex poliziotto che fa il fotografo, Roberto Saviano, Gaetano Salvemini e Giuseppe Garibaldi...

Succede che io, ogni tanto, dia uno sguardo al New York Times. (Per guardare "le figure", ovvio...).
Così due giorni fa, leggendo il quotidiano di New York ho scoperto una storia che mi ha fatto pensare.
E' la storia di un poliziotto.

Si chiama Antonio Bolfo. 

30 anni, è nato da genitori immigrati a New York: il padre dall'Italia, la madre dalla Corea...
L'agente scelto Antonio Bolfo ha lavorato nelle zone più difficili di New York: come la Police Service Area n.7, un gruppo di vie nella parte sud del Bronx.
Una scelta "di vita" la sua, assunta dopo aver capito che il lavoro  di design e architetto trovato dopo la laurea conseguita alla "Rhode Island School of Design", alla lunga non lo rendeva soddisfatto. "Volevo fare 'esperienza di strada' - ha raccontato -; fare qualcosa che potesse essere utile agli altri". 
E per far questo, cosa c'è di meglio del fare il poliziotto a New York?

E' proprio durante il suo lavoro fra "le peggio" case popolari del Bronx, che un giorno decide di prendere in mano anche la sua macchina fotografica per immortalare momenti di vita del policeman di New York.
Foto che piacciono: non solo ai colleghi, ma agli amici, e anche ai suoi ex compagni di corso. Ma soprattutto ai suoi ex insegnanti, che lo segnalano a qualche gallerista della Grande Mela.


E' così, con il passar del tempo, Antonio capisce che nella sua vita può fare (anche, o di nuovo) altro: si licenzia dalla Polizia e decide di fare della fotografia il suo lavoro.
Eccolo mentre posa (sembra assai divertito) davanti alla sua prima collezione esposta: la vita quotidiana degli agenti del Nypd - poliziotti di New York - ma "vista da dentro", in diretta. 
Un lavoro - il titolo è "Operation Impact" - recensito due giorni fa, appunto, dal New York Times in questo link http://lens.blogs.nytimes.com/2012/02/03/on-the-beat-with-a-gun-and-a-camera/ 
Nel suo sito, però, potete vedere tutte le sue (bellissime, devo dire, alcune particolarmente crude) fotografie. 














La storia di Antonio Bolfo - prima design, poi poliziotto e ora, a 30 anni, fotografo professionista assai quotato - lascerebbe sbalordito ogni suo coetaneo italiano, se solo in Italia si conoscesse.


Ma negli Stati Uniti non stupisce certamente: è la "mobilità" lavorativa made in Usa, è l'opportunità che questo Paese ti dà per reinventarti, per rimetterti in gioco.

E' il concetto al quale, credo, facesse riferimento il nostro Presidente del Consiglio Mario Monti quando nei giorni scorsi parlò a Matrix di "monotonia del lavoro fisso", affermando, forse un po' incautamente, che "è bello cambiare e accettare delle sfide".
Negli Stati Uniti, caro Monti: ma nell'Italia di oggi, "flessibilità"  significa solo precariato e sfruttamento...

So che può sembrare strano, ma negli Usa, invece, perdere un posto di lavoro è considerata davvero una opportunità. Nei miei racconti di questa estate riferivo della moglie americana di un amico italiano che, manager, si era licenziata da viceresponsabile dell'ufficio del personale di una azienda per fare - "finalmente!", mi disse - quello che era sempre stato il suo sogno: la truccatrice.
"Di bellezza" quasi ogni giorno in un hotel di lusso e "di scena" ogni tanto sui set cinematografici (molto meglio pagata...). 

Il concetto di "mobilità americana" lo racconta benissimo Mario Calabresi, attuale direttore de La Stampa, nel suo libro "La fortuna non esiste", frutto delle interviste da lui raccolte quando era corrispondente da Washington per La Repubblica.
Come la storia degli operai della General Motors qualche anno fa vittime della crisi del "dopo Bush" e licenziati su due piedi.
E' chiaro che perdere il lavoro è un trauma anche negli Stati Uniti, ma qui molti sanno trasformare il "trauma" del licenziamento in - appunto - "opportunità".
Proprio "grazie" infatti alla perdita del posto di lavoro in fabbrica, ognuno di loro ha potuto - "finalmente!" - raggiungere il sogno della propria vita: con la liquidazione e il sussidio di disoccupazione c'è chi si è iscritto ad un corso per diventare cuoco, chi per fare l'infermiere, chi è diventato agricoltore biologico e chi, appunto, ha fatto il corso per entrare in Polizia.

Proprio come era Antonio Bolfo prima di fare il fotografo e vivere di fotografia.

L'ex poliziotto Antonio Bolfo è il fotografo che ha seguito per alcuni giorni Roberto Saviano - che ha abitato sei mesi nella Grande Mela per insegnare alla Columbia University -  immortalando suoi momenti di vita finalmente "normale".
Sue sono le fotografie che hanno accompagnato l'articolo di Saviano dove l'autore di "Gomorra" racconta questo periodo sul settimanale "Vanity Fair".

"Sorrido come un bambino - ha scritto Saviano nel reportage pubblicato sul numero del 18 gennaio -. Sono un animale che per tanto tempo dalla sua gabbia, attraverso le sbarre, ha visto il cielo, gli alberi, e se n'è stato lì pensando che fosse inutile voler volare. Che volare non serviva a nulla". 

"Il giorno dopo il mio arrivo, sotto l'effetto del jet lag, sono uscito alle sette del mattino, ma in realtà già fremevo dalle cinque. In strada non c'era nessuno, solo io e la mia scorta. Senza parlare abbiamo camminato per cinque ore. Ho bevuto un cappuccino e ci ho inzuppato dentro un muffin, ho comprato una cartina di Manhattan e, in quella sola mattinata, sono certo di aver camminato come non avevo mai fatto". 
(foto Vanity Fair)
"Sono tornato a casa con le piaghe ai piedi, mi facevano male da morire, ma quel dolore che non credevo esistesse più mi rendeva euforico. Avevo la sensazione di essere tornato a vivere completamente, di aver riacquistato l'uso di arti sopiti da tempo. Per la prima volta ho iniziato a vedere le scarpe consumarsi, e ai piedi mi sono venute le vesciche".

Ecco.
Questa è anche New York.
"Del resto New York è sempre stata il Refugium Peccatorum dei fuoriusciti, degli esiliati", scrisse Oriana Fallaci nel suo ultimo libro.
La New York dove il secolo scorso trovarono rifugio gli antifascisti Girolamo Valenti, Carlo Tresca, Arturo Giovannitti, Gaetano Salvemini, il maestro Arturo Toscanini, lo scrittore Emilio Lussu e, prima di loro, anche Giuseppe Garibaldi.
Ma questa è un'altra storia.
O è sempre la stessa, forse...  

© dario celli

13 commenti:

  1. La paura del licenziamento c'e' anche qui...o la pura di non trovare lavoro. Nella grande citta' e' forse vista come una possibilita' ma nei paesini la realta' e'diversa...non ci sono molte opportunita' e quelle poche che hai te le tieni strette...

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    1. Immagino, ovviamente...
      Credo però - non so se tu sei d'accordo - che fin da bambini gli americani vengono educati/spinti a "mettersi in gioco" e a tentare.
      Anche ciò che può sembrare assurdo...

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  2. Ma quanto è interessante questo tuo blog! Ne sono venuta a conoscenza da Anna Laura di http://ceraunavoltasplinder.blogspot.com/ che invitava a leggerti: aveva proprio ragione!
    Un saluto con simpatia. Lella

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    1. Ma come sei gentile, grazie!
      E un saluto anche ad Anna Laura, che non conosco!

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  3. Ne hanno parlato molto qui di questo ragazzo.
    Concordo pienamente con te e la cosa che mi ha colpito fin dalle prime volte che sono stata in questo paese, è proprio la loro capacità di reinventarsi. Ti faccio un esempio pratico. Qui il contratto di lavoro (non esistono i sindacati!) permette ad un datore di lavoro di licenziarti senza preavviso. Una donna in maternità ha diritto a 15 giorni dopodiché può essere licenziata.
    Ma qui, contrariamente a quanto si fa in Italia PER VARIE RAGIONI, ci si reinventa. Vero: non hanno la burocrazia che abbiamo noi!
    Hanno inventato nuovi mestieri come "l'insegna vivente" (non ricordo il nome ma c'è un post sul mio blog): un omino o una donnina si mette all'incrocio della strada con un cartello gigante che pubblicizza un negozio lì in zona e si muove continuamente per attirare l'occhio dell'automobilista fermo al semaforo.
    Così come al ristorante per ciascun tavolo non c'è UN cameriere ma ce ne sono 4: uno ti accompagna al tavolo (in qualsiasi ristorante di QUALSIASI categoria devi aspettare che ti accompagnino), poi uno che ti serve da bere, uno che prende l'ordinazione e uno che ti porta l'ordine. In questo modo dai lavoro a 3 persone in più e il cliente è sempre al centro dell'attenzione e non si sente MAI abbandonato.
    Sono concetti che in Italia non esistono.
    Così come non esiste che un manager che viene licenziato, piuttosto che stare a piangersi addosso, vada a pulire le strade. Un italiano si vergognerebbe a morte... qui no. Qui piuttosto che far la fame si rimboccano le maniche.

    Poi, per carità, ci sono anche diversi lati negativi... quando li trovo ve li racconto!!!!!!!!!! AHAHAHAHAHAH

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    1. Già, sono tutte piccole cose ma "grandi", si ci pensi.
      E sono cose che si apprezzano solo quando si scoprono per la prima volta.
      Negli Usa...

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  4. Grazie ad una giornata grigia, che ispira a starsene in casa, sono arrivato qui ed ho potuto leggere le tue storie.
    Che dire, sono senza parole, sei fantastico!!!
    Se non l'hai ancora fatto, dovresti scrivere libri.

    Luca M.

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    1. Caro Luca,
      come leggerai più sopra, nella colonna a destra, dopo una serie di miei moniti minacciosi sul "Copyright", sui diritti d'autore, scrivo anche che "Editori interessati alla pubblicazione di questi e altri scritti possono contattarmi al mio indirizzo di Facebook"...
      Tu ne conosci qualcuno di decente?

      Non so se scrivo bene, ma so di certo che non sono capace a cercarmi un editore.
      Il libro c'è ed è pronto da un bel po' (ha anche una bella introduzione scritta da Renzo Arbore!).
      Ma non riesco a trovare nessuno che mi garantisca un minimo di diffusione decente (o che me lo pubblichi senza che sia io a pagare).

      I tuoi complimenti mi imbarazzano.
      Giura a chi legge (e soprattutto ai miei amici) che io e te non ci conosciamo e che non ti ho pagato!

      Grazie ancora.
      E stay tuned!

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    2. Caro Dario, non sono una persona che fa complimenti facilmente, sono sempre molto critico, ma ti giuro che il tuo modo di scrivere fa sognare, quasi si possono vedere le scene che descrivi, e questo è ciò che ogni lettore vorrebbe da uno scrittore.
      Mi spiace di dirti che purtroppo non conosco alcun editore, ma sono sicuro che non farai fatica a trovare qualcuno che pubblichi un tuo libro.
      In ultimo... Giuro ai lettori del tuo blog che non mi hai pagato e che... beh non so se posso giurare di non conoscerti, in realtà abbiamo avuto modo di parlare di persona per un'oretta, ma questo non c'entra nulla con i complimenti sinceri che ti faccio.
      Ciao.
      Luca M.

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    3. Anche se non conosci alcun editore, non importa, ti assicuro!
      Facciamo così, Luca: fai un po' di pubblicità al blog e mi basta!

      Un abbraccio...

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  5. concordo con luca

    cristian

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  6. Completamente d'accordo con Luca M.
    E continuo a leggere, a leggere, a leggere...semplicemente Grande Dario!

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