PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

domenica 28 giugno 2015

La promessa di Jim

Jim aveva appena iniziato a raccontare la sua storia alla giornalista della Cnn, che il suo telefono squillò.
Occavolo... 

E' la prima cosa che diciamo, quando facciamo un'intervista: "Mi raccomando, spenga il telefono, per cortesia...".
Non ho idea se in quel momento la collega della Cnn fosse solo irritata per l'odioso contrattempo, o addirittura imbestialita.
Perché sicuramente glielo deve aver detto e - accidenti! - se squilla il telefono mentre la telecamera è accesa si deve poi ricominciare tutto da capo...

In quel momento lui le stava raccontando la sua storia.
Quella della sua battaglia, che nella storia americana è passata, e passerà, con la definizione della causa che l'aveva opposto allo Stato: "Obergefell vs. Hodges", "Obergefell contro Hodges".

Lui era Jim Obergefell, mentre la sua controparte si chiamava Richard Hodges, direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica dello Stato dell'Ohio.
Probabilmente suo malgrado, a quest'ultimo toccò rappresentare ufficialmente l'Ohio, Stato degli Usa che si rifiutava di trascrivere i matrimoni fra le persone dello stesso sesso.

Lui era lì, che raccontava la sua storia a Pamela Browne, della Cnn.
La storia di Jim Obergefell, che aveva a lungo vissuto con John Arthur. Non erano più ragazzini: 47 anni entrambi, il loro rapporto era un normalissimo rapporto di coppia. Normalissimo fino a quando John non si ammalò di Sla, la terribile Sclerosi Laterale Amiotrofica.
Una malattia che, per ora, non lascia scampo.

E infatti John se lo sentiva.
Sentiva che ormai ne aveva per poco, anche se l'amore di Jim cercava di fargli credere il contrario. 
Ma lui sapeva che la fine stava arrivando.
Se lo sentiva...


E poi la Sla stava progressivamente bloccando tutti i muscoli lasciando, però, così come succedeva a John, maledettamente intatta la mente, la capacità di pensare, di ragionare, di rendersi conto.
E di incazzarsi.
Come una bestia.

Stavano insieme da vent'anni, Jim e John.
Ammettiamolo: gli eterosessuali si stupiscono sempre un po' che una storia d'amore fra persone dello stesso sesso possa andare avanti per così tanto tempo. 
Vent'anni!
Certo, erano stati vent'anni come quelli di una qualunque coppia etero: momenti straordinari, normalità assoluta, nervosismo, noia, amore, incazzature, entusiasmo.
Ovvio.

E da quando la Sla aveva iniziato a mangiare i muscoli di John, i nostri due amici avevano sì parlato, ogni tanto, di matrimonio, ma mai in modo "operativo".
Esattamente come succede in molte coppie di conviventi.

Il problema principale era che, a quel tempo, negli Stati Uniti soltanto due Stati degli Usa - California e Maine, e da poco tempo - avevano legalizzato il matrimonio fra persone dello stesso sesso.
Tutti gli altri no. E nemmeno l'Ohio, lo Stato dove loro vivevano. 

John e Jim decisero allora di aggirare quell'ostacolo burocratico e nel luglio di due anni fa coronarono ugualmente il loro sogno sposandosi nel Maine, laddove la cerimonia era legale.
Era il penultimo desiderio di John.

C'era però un ostacolo pratico: in Maine, la coppia non poteva certamente andarci in auto, viste le condizioni di salute sempre più gravi di John, né in un normale aereo...
Avrebbero dovuto noleggiare un velivolo speciale, adatto al trasporto dei malati, e questo sarebbe costato molto.
Furono i loro amici ad incoraggiarli a non mollare e ad avviare su Facebook una colletta raccogliendo i soldi attraverso PayPal: una colletta per pagare quel volo di un aereo privato fino in Maine.
E non impiegarono molto a raccogliere i 13.000 dollari necessari per il volo, più o meno 11.600 €uro. 

La mattina dell'11 Luglio del 2013, un'ambulanza privata li portò all'aeroporto di Cincinnati, dove, sulla pista, era pronto un piccolo e moderno jet medico, con a bordo un infermiere e la zia di John, Paulette Roberts.

Atterrati al Baltimore-Washington International Marshall Airport, la cerimonia iniziò subito, non appena il jet smise di rollare i motori, lì, sulla pista, in territorio "amico" dove il loro matrimonio sarebbe stato possibile, dove sarebbe stato riconosciuto "legale".
Si tenevano per mano, con il pollice di Jim che accarezzava piano la mano di John, mentre si guardavano negli occhi.
Si tenevano per mano fino a quando John pronunciò la frase di rito, quella che avrebbe reso ufficiale e legale il loro amore:
"Con questo anello - disse John mentre infilava l'anello nell'anulare sinistro di Jim - io ti sposo".
John che guidò dolcemente la mano del compagno mentre questi cercava di mettergli la fede al dito. 

Che bello che fu quel loro viaggio da Cincinnati al Maine. 
E soprattutto il ritorno, da sposati. Anche se John era sempre inchiodato a letto e parlava sempre più con grandissima fatica.

E con grandissima fatica John, anche in punto di morte, chiese a suo marito di giurare che avrebbe fatto di tutto - "di tutto" - affinché il loro matrimonio fosse riconosciuto anche in Ohio.
E in tutti gli Stati degli Usa.

Con la morte di John Arthur iniziò la lunga, dura, battaglia legale di Jim, quella che passerà alla storia come il procedimento "Obergefell vs. Hodges".
Causa che, partita dalle aule del Tribunale Civile di Cincinnati (che disse "No") alla fine arrivò a Washington.
Alla Corte Suprema degli Stati Uniti d'America.

Non discussero poco i giudici.
Teoricamente "il fronte" era a favore, visto che la maggioranza di loro era stata nominata negli ultimi decenni dai Presidenti democratici.
Ma c'erano anche alti magistrati nominati dai Presidenti Repubblicani Reagan, Bush padre e Bush figlio. E tutti, comunque, erano consci che qualunque decisione avessero assunto, questa sarebbe entrata nella Storia.
E nei libri di storia degli Stati Uniti d'America.


Sonia Maria Sotomayor, Elena Kagan, Ruth Bader Ginsburg e Stephen Gerald Breyer (progressisti), unitamente al giudice "conservatore" Anthony McLeod Kennedy (nominato a suo tempo dal Presidente Repubblicano Ronald Reagan) votarono a favore del ricorso avviato dal cittadino Jim Obergefell, respingendo le motivazioni dello Stato dell'Ohio.
Una decisione assunta a maggioranza: 5 contro 4.

Ho cercato i volti dei giudici che hanno votato a favore, per guardarli bene.
Per vedere con voi come sono le facce di queste persone che hanno contribuito a cambiare gli Stati Uniti.

Osservateli anche voi...

Io ho visto cinque normalissime facce americane.

Anthony McLeod Kennedy
Fu questo signore qui sopra - il giudice Anthony McLeod Kennedy, portato alla Corte Suprema, come già detto, da Ronald Reagan, repubblicano, forse il più conservatore degli ultimi Presidenti americani - che lesse le motivazioni della sentenza.

"Nessuna unione è più profonda del matrimonio, che incarna i più alti ideali d'amore, devozione, sacrificio, famiglia.
Sarebbe un equivoco affermare che questi uomini e queste donne non rispecchiano l'idea di matrimonio. La loro dichiarazione è che lo rispettano talmente tanto che ne cercano la pienezza per se stessi. 
La loro speranza è di non essere condannati a vivere in solitudine, escluse da una delle più antiche istituzioni civili.
Essi chiedono pari dignità agli occhi della legge.
E la Costituzione degli Stati Uniti d'America garantisce loro questo diritto".

Parole che, dette da un giudice conservatore, ci fanno capire quanto sia un Paese del tutto straordinario, l'America.
E quanti pregiudizi noi abbiamo su di esso.
Chissà che festa avranno fatto allo Stonewall Inn, il locale di New York dove negli anni '60 erano soliti ritrovarsi gay e lesbiche e transgender della Grande Mela.
Quel locale dove il 27 giugno 1969 (esattamente 46 anni fa, guarda, a volte, la storia!), l'ennesima ingiustificata violenta irruzione della Polizia di New York fu respinta a pugni, calci, bottigliate, borsettate, colpi di tacco, sediate in testa, ceffoni.

Rivolta che nei giorni successivi dilagò in tutto il Greenwich Village di New York e che segnò il via del movimento GLBT, gay, lesbian, bisexual, transgender negli Stati Uniti.

Perché tutto iniziò da lì.
Laddove, a Manhattan, dal 1775, c'è un vicolo che si chiama proprio Gay Street.
Perché già da allora (dal 1775!) quella era zona di ritrovo e incontro per gay, lesbiche, bisessuali e transessuali di New York.


Poi, undici anni fa, lo Stato del Massachussets per primo dichiarò legali i matrimoni fra persone dello stesso sesso,  seguito nel giugno 2008 dalla California di Arnold Schwarzenegger  e via via dagli altri.
Ma fino a ieri erano ancora 13 gli Stati Usa dove questo non era possibile.
E dunque, fino a ieri, la lotta non era ancora finita.
Con Jim che non era ancora riuscito ad onorare la promessa fatta all'amato John.

Stava raccontando tutto questo Jim Obergefell, mentre era a Washington con la giornalista della Cnn Pamela Browne. Erano lì, insieme, per attendere la decisione della Corte Suprema che sarebbe arrivata a momenti, così era stato anticipato.

E proprio in quel momento, vi accennavo all'inizio di queste righe, il telefono di Jim squillò.
Con lui che pensò "Sarà uno degli avvocati...".



"Ciao, sei Jim?"
Che mi venga un colpo!
Per tutte le checche degli Stati Uniti d'America!
"Ma questo è Obama!", pensò Jim mentre era circondato da un centinaio di militanti GLBT che attendevano con lui la decisione della Corte Suprema.

Era proprio Obama! 
Il Presidente, che in ogni discorso ufficiale  nomina sempre "i fratelli e sorelle gay e lesbiche"...
Barack Obama, che da quando era alla Casa Bianca, aveva visto passare da 2 a 37 gli Stati americani che via via hanno dichiarato legali i matrimoni fra persone dello stesso sesso.
Anche se erano ancora ben 13 quelli dove non era possibile.

Jim mise subito il vivavoce, con la giornalista della Cnn Pamela Browne piegata verso di lui, e che si assaporava in silenzio lo scoop che stava regalando in diretta...

"Ciao, sei Jim?"
"Sì, sono io, signor Presidente", rispose lui con la voce tremante, visibilmente emozionato.
"Jim, in questi anni ho seguito la tua battaglia, e speravo di arrivare a darti qualche buona notizia.
E adesso sono qui per dartela...
Congratulazioni! 

Hai vinto! 
Volevo anticiparti che la Corte Suprema degli Stati Uniti ti ha dato ragione. 
Volevo farti i complimenti, perché la tua battaglia ha contribuito a cambiare il nostro Paese!".

Jim era senza parole.
John, amore mio... Ma ti rendi conto?? Sto parlando al telefono con il Presidente Obama!
Con il Presidente degli Stati Uniti!
Abbiamo vinto, John!
Abbiamo vinto, amore mio!
Da oggi due persone come noi, due persone che si amano, potranno sposarsi in Ohio e in tutti gli Stati Uniti d'America.
E nessuno lo potrà impedire.
Ah, amore mio, se tu solo potessi essere qui... Spero solo che tu mi stia guardando, in questo momento. 

Non riusciva a trattenere la sua emozione, Jim: per l'avvenimento, per la persona che gli comunicava la notizia...

"Apprezzo molto il suo gesto, signor Presidente. E' stato davvero un onore per me essere coinvolto in questa lotta, la lotta per il mio matrimonio, onorando la memoria e la promessa che feci a mio marito".

E Obama: "Siamo noi ad essere molto orgogliosi di te, Jim. Non sei stato solo un esempio per le persone, ma con il tuo ricorso hai contribuito a provocare un cambiamento radicale in questo Paese.
Non posso che essere orgoglioso di te e di tuo marito, Jim.
Che Dio vi benedica...".

Ecco qua.
Ecco qua...
Ancora una volta, anche quando si dà per scontato tutto, non smettono davvero mai di stupire gli Stati Uniti d'America, sempre lì pronti a disintegrare i nostri pregiudizi e le nostre certezze.
(No, per cortesia: che cazzo c'entra dire ora "Sì, però, sulle armi..."?).

Così che mi ha stupito la prima pagina con la quale il New York Times, di solito compassatissimo, ha dato la notizia. 

"Uguale dignità", diceva semplicemente il titolo di ieri, con poi quell'accenno "calcistico" "5-4" (cinque giudici contro quattro) che precedeva il catenaccio nel più classico secco ed essenziale stile del NYT: "Sentenza rende il matrimonio fra persone dello stesso sesso un diritto nazionale".

E poi dodici foto.
Dodici foto che valevano più di un articolo.
Dodici foto di coppie gay e lesbiche che si baciavano, si abbracciavano, per festeggiare l'avvenimento.

Perché basta l'amore.
Anzi, l'amore!
E l'amore ieri era in prima pagina sul New York Times...

Fra le foto, c'era - prima fila, prima foto a destra - anche quella di George Harris e Jack Evans, rispettivamente 82 e 85 anni, che dopo 54 anni di convivenza (cinquantaquattro anni, porca miseria, che eroi!) hanno immediatamente preteso che il Texas riconoscesse loro quel diritto ora costituzionale, celebrando il loro matrimonio.

Dallas.
In Texas.
Nello Stato della famiglia dei Presidenti Bush.
Tiè!
Ciapa lì!
:-)



© dario celli. Tutti i diritti sono riservati

2 commenti:

  1. l'amore che trionfa :-)

    pero' non sono sicura del dato sulla california.. io so che qui i matrimoni omosessuali sono legali dal 2013 credo...

    RispondiElimina
  2. Hai ragione, ma la (lunga) spiegazione avrebbe rotto il ritmo della lettura.
    In effetti, dopo il varo della legge in California, questa rimase in vigore per alcuni mesi prima di venire bloccata nel 2008.
    Poi ci furono una serie di sentenze opposte fra di loro, fino al giugno 2013, quando la legge ritornò definitivamente in vigore, dopo il pronunciamento della Corte Suprema dello Stato della California.

    Viva l'amor!

    E così sono riuscito a precisare!
    Grazie!


    d.

    P.S. Ciao, Marica!

    RispondiElimina