PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

lunedì 1 dicembre 2014

Il viaggio di Gino il ciabattino


Questa storia inizia nel paesino che ha il nome più corto d'Italia.
Un nome stranissimo e brevissimo (una sola sillaba!): "Ne".

Gli amici lettori genovesi sorrideranno e faranno, forse, sì con la testa. Perché "Ne" è un paese della loro provincia.
Oggi è così...
Siamo sull'Appennino, alle spalle di Chiavari e di Sestri Levante. 
 
Il paesino di Ne lo potete vedere nella cartina qui sopra, a destra, isolato.
Oggi ha poco più di 2300 abitanti, che occupano cinque borghi immersi nel verde della Val Graveglia.
E uno di questi borghi si chiama "Prato".

E, forse, è proprio da una delle case della borgata "Prato" di "Ne", che nacque e visse un giovane la cui famiglia portava proprio il nome di quella località: Gino Prato
Una famiglia modesta, povera, che a malapena riusciva a sopravvivere. 
La Prima Guerra Mondiale era appena finita, ma da quelle parti non si cantava affatto vittoria.
Gino aveva davvero pochi grilli per la testa.
D'altronde, come poteva permetterseli?
I suoi si ammazzavano di lavoro e lui non era certo da meno. 

Unica sua evasione, la musica.
Un giorno avrebbe voluto comprarsi un mandolino: questo era il suo sogno.
Oh sì, che se lo sarebbe comprato...
Ma intanto passava ore e ore ad ascoltare le opere liriche (che sono, in fondo, la versione "classica" dei "musical" di oggi) con i 78 giri gracchianti, e il giradischi, di un vicino di casa. 
E grazie a loro, lui fantasticava, viaggiava, volava lontano...
Fantasticava di vivere in mondi avventurosi e impossibili: in Cina con "La Turandot"; a Siviglia, in Spagna, con il Don Giovanni; in Francia, a Parigi, con La Traviata; e in America, in California, con La fanciulla del West.

E conosceva a memoria ormai decine, decine (e decine...) di libretti: sapeva tutto delle trame delle opere, di chi ne aveva scritto il testo, di chi aveva composto la musica, dei cantanti che interpretavano i personaggi. A forza di ascoltarle e di leggerne sui giornali, aveva imparato a memoria anche le date dei debutti e le città dove avvenivano...
Ed era sicuro che sarebbe stato in grado di riconoscere un'opera anche se gliela avessero fatta ascoltare per dieci secondi al contrario! 

Era l'evasione di Gino, costretto però un giorno a cavallo delle due guerre - come tanti suoi coetanei italiani - a far le valigie per cercar fortuna altrove.
Perché, lo sappiamo, a quel tempo, questi erano territori poveri, abitati da agricoltori che non ce la facevano nemmeno a sbarcare il lunario.
E Genova, con il suo porto - la Genova dei navigatori, la Genova di Cristoforo Colombo, la Genova con il richiamo dei bastimenti che partivano per il Nuovo Mondo - era lì.

A poco più di un'ora di treno a vapore... 

Un giorno del 1922, Gino Prato se ne andò via.
Da solo, lasciando a casa i suoi.
"Emigrai con tanta buona volontà - avrebbe raccontato successivamente - portandomi dietro dall'Italia un organetto e sognando di potermi comprare a New York un mandolino".

Per comprare un mandolino, però, ci volevano "palanche", soldi, come si dice a Genova. E per far "palanche" il nostro Gino a New York dovette fare il lustrascarpe e imparare a fare il calzolaio.
Anche se la sera, uscito dalla bottega presso la quale faceva il garzone, girava per i locali dell'East River con il suo organetto, e cantava in cambio di qualche cent.

Poi la svolta: una leggenda metropolitana dice che lui cantava talmente bene che, ad un certo punto fu notato da qualche capoccione della Cbs, una delle principali catene televisive degli Stati Uniti con sede a New York.
Ma lui stesso, in un'intervista del 7 settembre 1955 a "La settimana Incom", disse (trascrivo letteralmente): "La mia figlia ha scritto la lettera mia per chiamarmi. Mi hanno fatto l'intervista prima di andare alla televisione, e poi mi hanno detto 'tu sei l'uomo che vogliamo!'".
Per i più giovani è necessario dire che dal 1946 al 1965, anno dell'ultimo numero proiettato nei cinema italiani, comparire in uno dei servizi o venire intervistati dal "Cinegiornale Settimana Incom", significava essere - o essere diventato - un "personaggio". 
Indiscutibilmente famosi. 

Si trattava di un "rotocalco" che veniva proiettato in tutte le sale cinematografiche italiane prima del film in programmazione. Un appuntamento seguitissimo, unica fonte di informazione per chi non leggeva i giornali, visto che la televisione, in Italia, non c'era ancora. 
Dieci minuti di cronaca leggera, attualità (vetrina a volte di questo o quel ministro) e un po' di mondanità. Con le notizie lette da una voce stentorea, squillante e sempre ottimista.
Perché l'Italia in ricostruzione aveva bisogno di tante dosi di ottimismo dopo il buio del fascismo e le distruzioni della guerra da lui voluta.

Divago un po', come quando viaggio in America...
Torniamo, dunque, a dov'eravamo: a New York. 

Eravamo negli studi della Cbs, dove il nostro amico Gino Prato, di giorno ciabattino e di sera musicista dilettante, grazie alla cartolina spedita dalla figlia si era presentato alle selezioni come concorrente alla più famosa trasmissione americana dell'epoca.
Sua materia: l'opera lirica.
Ah sì...: nessun esperto lo avrebbe fregato, sull'opera lirica.

Il telequiz si chiamava "The $ 64.000 Question", ("La domanda da 64mila dollari") ed era presentato dall'attore californiano Hal March, che qui vediamo ammiccante in una delle tante copertine che a quel tempo "Guida Tv" gli aveva dedicato.
I concorrenti, in sostanza, si presentavano per una determinata materia a loro scelta e dovevano rispondere alle domande sull'argomento preparate dagli autori e da esperti.

Concorrenti che - una volta arrivati a giocarsi 8.000 dollari - venivano fisicamente isolati dal pubblico e da tutti coloro che erano all'interno dello studio e chiusi in una cabina acusticamente isolata e dotata di un vetro anteriore trasparente, come si può vedere in una fotografia dell'epoca dello studio televisivo.


Si partiva dal quiz più semplice, la cui risposta esatta valeva 64 dollari.
Poi, per la domanda del successiva, i dollari in palio erano 128, il doppio. Così come valeva ancora il doppio la risposta esatta alla terza domanda: 256 dollari.

Il regolamento prevedeva che dopo ogni risposta corretta, il concorrente poteva decidere, a quel punto, se "lasciare" - andandosene a casa con ciò che avevano vinto (ma solo se aveva superato quota $512, altrimenti se ne andava solo con in mano un gettone d'oro ricordo) - o provare a "raddoppiare".

I lettori meno giovani di Aria Fritta - anche se, come me, non ne hanno mai visto una puntata personalmente - hanno probabilmente capito di cosa sto parlando.
Vero?

Per far "allungare" il gioco, il regolamento prevedeva che giunto alla vincita di 4.000 dollari, il concorrente dovesse  fermarsi per tornare la settimana successiva. 
A quel punto, però, avrebbe dovuto rispondere ad una sola domanda a settimana. Domanda sempre più difficile: prima veniva quella da 8.000 dollari (e qui, se il concorrente sbagliava se ne andava a casa con un'automobile Cadillac, "premio di consolazione"); poi - la settimana dopo - quella da 16.000 dollari; per arrivare alla quinta settimana, quando il concorrente doveva rispondere alla domanda da 32.000 dollari.

Di raddoppio in raddoppio - a meno che non avesse deciso volontariamente di "lasciare" -, il concorrente arrivava così alla sesta settimana, dove si sarebbe trovato di fronte all'ultimo quesito, quello più difficile: quello da 64.000 dollari.

Proprio come si intitolava la trasmissione.

64.000 dollari!
Per tutti i dobloni d'oro del pirata Barbanera! Una cifra enorme, a quel tempo!
Proprio una "signora vincita"! 
E infatti Hal March, il presentatore, ne faceva la pubblicità così. 
Perché 64.000 dollari del 1955 significano 560.000 dollari di oggi. 

Qualcosa come 450.000 €uro.
Effettivamente niente, niente, male... Roba che allora ti faceva decisamente cambiare vita.

Dunque, o perché notato da qualche dirigente della Cbs mentre suonava in un locale, o perché la figlia aveva inviato la domanda di partecipazione, ecco nella foto qui sotto il nostro Gino il ciabattino mentre, al termine del provino, firma il contratto tra due dirigenti della Cbs che poco prima gli avevano detto: "Davvero sai veramente tutto di opere e musica lirica? Ok, partecipa: tu sei l'uomo che vogliamo!".

Gino si sentiva sicuro: quante volte a Ne, là nello sprofondo dell'entroterra ligure, aveva giocato con i suoi amici ad indovinare che opera fosse ascoltandone soltanto tre o quattro secondi di un'aria...
Quante volte, quei pochi secondi, gli erano stati sufficienti per indovinare il nome dell'autore del libretto, e della musica, e il nome del personaggio, e quello del cantante che lo interpretava...

Poi, via via, Gino il ciabattino si era appassionato talmente che imparò a memoria anche dove era stata "la prima", e magari anche il nome della moglie del protagonista, e il sarto che aveva confezionato i costumi, e così via...
Era convinto che sarebbe stato in grado di rispondere, ogni qualvolta che la posta in palio si faceva più alta, alle domande più complicate, difficili, intrecciate.

E infatti fu così.
Il nostro Gino, di puntata in puntata, andava avanti come un treno, snocciolando ogni volta tutte le risposte.
Esatte.
Fino a quando arrivò il penultimo scalino, quello da 32.000 dollari
E anche in quel caso quella sfilza di domande furono indovinate senza troppa fatica, da quel dannato ciabattino italiano. 
Per la miseria! 

Era arrivato a quota 32.000!
Possiamo immaginare il suo stato d'animo: in tasca, per ora, aveva solo i premi di consolazione, poca roba.
Ma virtualmente, di dollari, ne aveva vinti 32.000; che sono 280.000 dollari d'oggi, poco più di 225.000 €uro.

32.000 dollari li aveva in tasca: bastava solo che si fermasse...
Aveva una settimana di tempo per decidere. 
Una settimana che passò a pensare se accontentarsi, "lasciando", o tentare il raddoppio: il colpaccio da quelli che oggi sarebbero 450.000 €uro.

In quella settimana pensò che viveva da venti anni nello stesso appartamento, quattro camere al quarto piano di una palazzina del Bronx. 
Pensò che aveva passato vent'anni a lucidare e a riparare scarpe. 
Per una settimana, disse, aveva avuto "le farfalle nello stomaco" al pensiero di ciò che lo attendeva.
La moglie, saggia, in quella settimana non disse nemmeno una parola: ma lui sapeva benissimo cosa lei gli avrebbe detto, se solo lui glielo avesse chiesto: "Gino, grandissimo testone ligure! 
Belin, sei più testardo dei camalli del porto di Genova! Fermati qui! 
Accontentiamoci, cavolo!".

Ma come fare ad accontentarsi se lui davanti aveva quella montagna di 64.000 (possibili) dollari, per la miseria!
Sono 450.000 €uro di oggi, accidenti!
Una cifra stellare per un ciabattino italiano emigrato in America.
Dall'altra parte, se avesse rinunciato a raddoppiare, non è che 32.000 dollari (sicuri) facessero schifo.
Anche quella era una cifra da infarto per un ciabattino italiano emigrato in America.


Non faceva altro che pensare questo, Gino.
Anche quando, dopo quella settimana passata nel tormento, entrò nella cabina. 
Anche quando Hal March gli fece la domanda di rito, la fatidica domanda...
"Allora Gino, che fa, lascia o raddoppia?".

La suspance era assoluta.
In studio nessuno fiatava, come sono certo che non fiatasse nessuno dei 47 milioni e 540 mila spettatori a casa.
Avete letto bene: quella puntata venne vista da 47 milioni e 540 mila americani.
Perché Gino aveva, di settimana in settimana, raccolto sempre più consenso popolare, sempre più simpatia; con la trasmissione che aveva sempre più spettatori. 
Che si identificavano con lui.

Quella sera, Gino, dentro a quella cabina di vetro stava per piangere.
Davvero.

D'altronde mettiamoci nei suoi panni: era partito giovanissimo in cerca di fortuna da un pugno di case dell'Appennino ligure. Da 33 anni era in America, a New York, dove faceva il calzolaio. E dove, per divertirsi (e per qualche dollaro in più) la sera suonava in giro per locali.
Non era mai potuto tornare a casa, perché non aveva mai avuto soldi a sufficienza.
E poi, lui, a casa voleva tornarci, sì.
Ma "da vincitore"!

32.000 dollari erano sicuri.
64.000, però, erano lì, a portata di mano.

Gli pareva di sfiorarli già con le dita: bastava che lui azzeccasse, come sempre aveva fatto, il motivo che gli avrebbero fatto ascoltare per 5 secondi, e bastava rispondere poi a tutte le domande possibili su quell'opera lirica.
Anche le più assurde.
Anche sul colore delle calze del protagonista.
Anche sul nome del terzo figlio, quello che aveva avuto fuori dal matrimonio.
Tanto lui le sapeva tutte.
E ce l'aveva sempre fatta.
Sempre.

Pensava, pensava...
Pensava mentre quasi 50 milioni di americani, a casa, erano lì, con la forchetta immobile davanti alla bocca, con il fiato sospeso.

Fu dopo due minuti di attesa, dopo due minuti di sue riflessioni in silenzio, che Hal March gli fece ancora una volta la fatidica domanda: "Allora, Gino, mi dica: lascia o raddoppia?"

Gino Prato, a quel punto, con gli occhi gonfi di lacrime, tirò fuori dalla tasca un foglio giallo, tutto piegato.
Era un telegramma.
Che arrivava da Ne, provincia di Genova. Italia.

Un telegramma di Giovanni Prato, suo padre.
Un telegramma di sole quattro parole.
Giovanni Prato
Quattro parole semplici, dirette, che Gino lesse ad alta voce  davanti alle telecamere, dentro alla cabina trasparente.
Tremava la sua voce, mentre ne leggeva il testo, prima in italiano, poi in inglese: 
"Basta stop 
Fermati dove sei stop".

Stop.

E allora Gino guardò il suo amico Hal March, il presentatore, e poi rivolto alla telecamera che lo stava inquadrando disse:
"E io è da quando ero ragazzino che ascolto ciò che mio padre mi dice".
"E io, oggi, mi fermo qui".


Lo studio della Cbs esplose in un boato di applausi, di grida, di "bravo!", di "Ok!", e fischi di approvazioni, e urla, e pubblico che si abbracciava...

E tutti erano in piedi, e tutti applaudivano senza smettere, e durarono cinque minuti quegli applausi, quelle urla di euforia, quei fischi di sostegno.
Così come nello stesso momento fecero a casa loro quasi 50 milioni di americani.
"Le urla sono uscite dalle finestre delle case di tutte le città americane", avrebbero scritto l'indomani i quotidiani che raccontavano l'avvenimento.
Hal March 
Il maestro di cerimonia Hal March si precipitò subito ad aprire la cabina per abbracciarlo."Che Dio ti benedica, Gino!", disse al ciabattino italiano che veniva da Ne, provincia di Genova. 

Quello che accadde è che tutti i giornali degli Stati Uniti dovettero fermare le rotative e rifare la prima pagina; mentre nello studio i fotografi si dovevano sbrigare a scattare decine e decine di fotografie, cambiando in fretta le lampadine dei loro flash che sembravano esplodere ad ogni click.

Perché dovevano essere pronti ad immortalare la cerimonia della consegna dell'assegno, che è avvenuta lì, in diretta.
Davanti alle telecamere.
Gino Prato, con in mano l'assegno della vincita

Quello che accadde dopo è che dentro lo studio, il nostro Gino - il ciabattino italiano emigrato in America in cerca di fortuna - venne subito circondato dai cronisti di tutti i giornali americani e seppellito da cento domande...

"Gino, come ti senti?"
"Gino, perché non hai provato ad andare avanti?"
"Gino, e ora cosa farai con questi soldi?"
"Gino, quali sono i tuoi progetti?"
"Gino, quali sogni vuoi realizzare?"

E con assoluta semplicità, Gino - ancora in preda alla confusione per essere diventato improvvisamente ex ciabattino emigrante e neo ricco - dichiarò che il suo maggior desiderio era di rivedere, dopo 33 anni, il suo vecchio padre 92enne.
E il suo paese.

"Che si chiama Ne", disse, " E' in val Graveglia, provincia di Genova, Italia", aggiunse.

I due dirigenti della televisione che gli erano a fianco e che si pavoneggiavano sorridenti di fronte a quella raffica di flash e a quell'assegno ormai nelle sue mani, si guardarono in preda ad una telepatia folgorante.
E davanti a 50 milioni di americani dissero, tutti belli compiaciuti: "Ti ci portiamo noi, in Italia, Gino. Ti portiamo noi a riabbracciare, finalmente, tuo padre Giovanni. E tu farai vedere a tutta l'America il paese dove sei nato e dal quale sei partito".
Gino Prato con la moglie e la figlia
Il tempo di brindare con moglie e figlia davanti ai fotografi, che il viaggio di Gino il ciabattino era già stato quasi tutto pensato.

Prima di partire lui volle, però, organizzare un'altra cosa: un matrimonio "come si deve" per la figlia Lorena che aveva 23 anni. 
Perché a Lorena voleva regalare un viaggio di nozze come "si deve". D'altronde mica poteva portarla in Italia con quel greco, quell'Eugene, il fidanzato, senza che quei due fossero sposati? 
Ché poi chissà cosa avrebbe pensato la gente, in Italia...

Al matrimonio di Lorena Prato con il suo bell'Eugene Joannides c'erano decine di fotografi. 
Cerimonia che si svolse i primi di settembre, nella chiesa di S. Angela Merici, nel Bronx, al 917 di Morris Ave.











Con Gino che l'accompagnò elegantissimo, all'altare.
Quanto era bello, col vestito della festa! 
Un elegantissimo completo gessato nero. 
Preso in affitto: "Tanto lo indosserò solo una volta", disse. "Resto una persona semplice, io".


Gino Prato, in Italia, arrivò il 7 settembre 1955, con la moglie, e con figlia e genero freschi di matrimonio: che fecero così un indimenticabile viaggio di nozze in Italia. 
Tempo una decina di ore d'aereo e da Nuova York erano a Roma.
"E pensare che trent'anni fa io ci ho impiegato dieci giorni, ad attraversare il mare", fu la prima cosa che disse all'atterraggio.

Dietro di lui, un codazzo di giornalisti e fotografi americani.
E, ovviamente, la troupe della Cbs, che aveva l'esclusiva tv di una vicenda finita sulle prime pagine dei giornali degli Usa e di mezza Europa.

A Roma c'erano quelli de "La settimana Incom" che ripresero Gino che passeggiava come un divo in via Veneto
Gino che incontrava Joe DiMaggio - il celeberrimo giocatore di baseball italo-americano ,ex marito di Marylin Monroe - e con il quale lui chiacchiera del più e del meno...;
Gino, sempre in via Veneto, che incontrava l'Ambasciatrice americana Clare Boothe Luce uscita apposta dalla sede diplomatica per salutarlo, con lui che la accolse accennando un galante baciamano. 

Ed eccole qui, in un minuto e sei secondi, le vacanze romane di Gino Prato raccontata da "La settimana Incom":
Gino che poi venne ricevuto nientemeno che da Papa Pio XII
E che poi andò a Milano, al teatro alla Scala, invitato in prima fila nientemeno che dal maestro Arturo Toscanini, che dirigeva il concerto.

Poi, finalmente, il convoglio americano prese la direzione della Liguria.

Con Gino che realizza, finalmente, il suo sogno.

Quando Gino Prato, dopo 33 anni arriva a Ne - quel piccolo borgo arrampicato sull'Appennino da dove era partito per far fortuna in America - tutte le campane del paese suonarono a festa: quelle della chiesa di Santa Maria Assunta, quelle di Sant'Appollinare, quelle di San Martino.

Quasi come se in paese fosse arrivato il Papa.

Un cronista dell'agenzia di stampa americana Ap, raccontò così agli americani il suo ritorno al paese: 

"Dopo aver percorso a piedi una mulattiera per raggiungere il suo piccolo villaggio, Gino viene accolto dalle campane del paese che suonano tutte insieme 'a festa'. 
E tutti gli abitanti del borgo sono usciti da casa per salutarlo personalmente, e chi non ha potuto sventolava  dalle finestre delle semplici case, fazzoletti bianchi.
'E' un grande miracolo poter essere qui', ha detto Gino. 'Avete spostato mezzo mondo perché io arrivassi qui a casa mia, da Nuova York. Non so come ringraziarvi', ha aggiunto quasi immobilizzato dall'emozione.
Accanto a lui, la moglie, la figlia Lorena e il suo neo marito Eugenio".


Era il 1955, e la televisione in Italia non c'era ancora. 
E dunque la troupe della Cbs venne seguita con grande interesse dai dirigenti della neonata Rai diretta da Vittorio Veltroni, padre di Walter.
Che in seguito inviò negli Stati Uniti un vicedirettore, Aldo Pessante, e Massimo Rendina, giornalista esperto di cinema, ex comandante partigiano della Brigata Garibaldi, che poi sarebbe diventato il direttore del primo telegiornale della televisione italiana.
Andarono negli Usa per "studiare televisione", per capirci qualcosa. E non solo dal punto di vista tecnico, evidentemente.
E, infatti, esaminarono i programmi più seguiti delle tv americane, per capire se potevano essere proposti -  opportunamente adattati allo stile e alla cultura di allora - nella nascente televisione italiana.

Quel programma molto popolare, per esempio... 

Quel "The $ 64.000 Question" che rese così famoso il nostro amico Gino, era un programma "a quiz" poco costoso, ma molto efficace.
E forse sì, si poteva fare anche in Italia...

A studiarlo nei dettagli fu incaricato un giovane che aveva il padre italo-americano di New York e la madre torinese, e che durante la guerra, in Italia, aveva combattuto nelle brigate partigiane che operavano al confine italo-svizzero. Un ex partigiano che venne catturato e condannato a morte dai tedeschi della Gestapo.
Si salvò dal plotone di esecuzione solo perché in tasca aveva documenti americani: era americano, e poteva "servire". 

Intanto, fu rinchiuso a San Vittore in cella con un'altra "testa calda", un giornalista italiano che non voleva allinearsi con i fascisti: Indro Montanelli. 
Da Milano, quel giovane partigiano italo-americano venne deportato in campo di concentramento: prima a Mauthausen, poi a Reichenau ed infine nel campo di Spittal. 
Da dove ne uscì vivo soltanto grazie ad uno scambio di prigionieri tra Germania e Stati Uniti.

Tornato negli Usa, quel giovane e vivace partigiano perfettamente bilingue iniziò a lavorare alla radio del Progresso Italo-americano, il quotidiano in lingua italiana di New York. 
E dagli Usa inviava servizi per la radio italiana.
Era in gamba, brillante, aveva gli occhi azzurri ed era spiritoso: sì, forse era la persona giusta per realizzare quel programma.

Il suo nome era Michael Nicolas Salvatore Bongiorno, detto Mike
Mike Bongiorno ospita a "Lascia o Raddoppia?"
l'attore americano Danny Kaye
Cari amici di Aria Fritta, la prima puntata italiana di "Lascia o raddoppia?" - clone della trasmissione americana "The $64.000 Question" - andò in onda ogni sabato sera a partire dal 26 novembre 1955 sul "Canale Nazionale", il Primo Canale della neonata Rai, Radiotelevisione Italiana.

Segnò una vera e propria rivoluzione culturale per gli italiani. Fu un successo straordinario: tanto che i gestori dei locali pubblici furono costretti ad installare nei loro bar, nei loro ristoranti, nelle loro sale da ballo e addirittura nei cinema, un televisore. 
Perché al sabato sera, da quando c'era "Lascia o raddoppia?", in Italia, di casa, non usciva ormai più nessuno.

Deputati e senatori chiesero al Governo di intervenire in difesa degli esercizi pubblici e favorire lo spostamento della trasmissione dal sabato. E la Rai la dirottò così al giovedì sera.
Perché quando c'era Mike Bongiorno, tutti erano incollati davanti alla televisione. E chi ancora non ce l'aveva, veniva ospitato a casa dei vicini, che il televisore lo tenevano in bella mostra nel salotto buono. 

In Italia, il montepremi iniziale era di 2500 lire: e anche qui, ad ogni risposta esatta del concorrente, il premio raddoppiava.
Il concorrente che riusciva a rispondere esattamente a tutte le otto domande si portava a casa 320mila lireE di raddoppio in raddoppio, puntata dopo puntata, il premio massimo al quale il concorrente poteva aspirare era di 5.200.000 lire.
Con le quali, a quel tempo, in Italia ci si poteva comprare un paio di appartamenti signorili.
Chi veniva eliminato, invece, si consolava con una Fiat 600 o una Fiat 1400.

Non c'è dubbio che la visita di Gino Prato in Italia fece da volano per il lancio della trasmissione italiana.
Gino, che quando ritornò negli Usa venne accolto trionfalmente a Nuova York, e con la sua Ne grata per averla incredibilmente portata nientemeno che alla ribalta internazionale.

Gino che servì anche per rilanciare la New York Metropolitan Opera, visto che ne divenne ospite fisso, e la gente faceva la fila, a quel punto, per prendere un biglietto che permettesse loro di sedersi non lontano da lui.


Non so se Gino Prato si comprò poi mai il mandolino che tanto aveva desiderato appena emigrato negli Usa. 
So però che dopo la vincita con la moglie si trasferì nella calda Florida.

Quando morì, il 21 gennaio 1966, i giornali americani titolarono semplicemente: "Tv Winner Gino Dies", "Il vincitore della tv, Gino, è morto".
Senza cognomi o riferimenti particolari nel titolo.
Non ce n'era bisogno...
Gino Prato morì a 64 anni.
Nemmeno il tempo di godersi per bene la vecchiaia.
64: come le migliaia di dollari che rinunciò a conquistare.

Trasmise alla figlia Lorena (ribattezzata Lorraine) la passione per la lirica: la ragazza  riuscì, infatti, a superare le selezioni e ad entrare come soprano alla New York City Opera.
Chissà come ne era orgoglioso, lui...

Oggi Lorraine Prato è una tranquilla pensionata che vive a Fort Lauderdale in Florida.

Dalle ricerche che ho fatto, risulterebbe che dal suo matrimonio con Eugene Joannides - quello iniziato con il viaggio di nozze a Ne, provincia di Genova - sono nati quattro figli: Jenna, Kelsey, Jan e Alan.
Jenna vive a Wintherville, Nord Carolina, e Kelsey a Chicago, Illinois. E tutti e due sono andati all'Università.
Alan vive a Fredrick, nel Maryland, e ha due figlie.
Di Jan, invece, non sono riuscito a trovare notizie certe. 

Chissà se hanno mai raccontato ai loro figli la storia di loro nonno Gino, che nel 1955 divenne famoso in tutti gli Stati Uniti d'America dopo essere riuscito a diventare (vice) campione di "The $ 64.000 Question".

Il loro nonno italiano, che in America faceva il ciabattino e che  partì senza un soldo da quello sputo di case dell'Appennino ligure italiano.





© dario celli. Tutti i diritti sono riservati

8 commenti:

  1. Che ti fanno gli investigatori a te?! Bella storia come sempre

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    1. Grazie! Ma sapessi quanto è seccante per me non essere riuscito a sapere nulla degli altri due figli!

      E grazie per essere fra i lettori, Emanuele!

      d.

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  2. Ognuna delle tue storie e` intrigante e piena di intrecci ..ma pensato di raccoglierle in un libro?

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    1. Grazie per il complimento, Claudia!
      Oh, sì che ci ho pensato!
      Se solo trovassi un editore decente...

      :-)

      d.

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  3. Dario....mentre leggevo, immerso in questo racconto sempre più coinvolgente, ad un certo punto senza che me ne rendessi conto, ho sentito un sapore salato che veniva fuori dalla mia bocca! E si, erano lacrime! Non pensavo che una storia cosi semplice, anche se molto bella, riuscisse a suscitare in me, che di solito non sono tanto incline al facile romanticismo, un'esplosione cosi intensa di emozioni. Questa volta, almeno a mio modesto parere, sei riuscito a superarti, una storia così bella e completa era da tempo che non la leggevo...davvero Dario......SENZA PAROLE!

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    1. Danilo, grazie davvero. Ci ho impiegato un po' a scriverla, perché volevo approfondire la storia e ogni tanto scoprivo altri particolari... E aggiungevo, e tagliavo... Oggi mi ha scritto anche un abitante di Ne!
      Non sai come sono contento!!
      Grazie per essere passato da qui. E continua!

      d.

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  4. Devo smetterla di leggerti, mi commuovi sempre e passo tutto il giorno a pensare a questi personaggi che mi sembra di conoscere da sempre.

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    1. Grazie, "sogno"...
      Anche io mi emoziono, mi entusiasmo, a scrivere.
      Ma non smettere di leggermi!

      (Ma come ti chiami?)


      d.

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