Oggi vorrei "parlarvi" di un matto.
Cos'è un matto?
Vediamo se siete d'accordo con me.
Per esempio, può essere considerato un po' matto uno che non ha mai preso un aereo in vita sua e...
uno che all'estero è stato solo due volte (ma in Europa) in gita scolastica ai tempi del liceo e...
uno che non ha la patente e...
... e decide di fare un viaggio negli Stati Uniti, da solo.
Che ne dite?
Siete d'accordo con me?
Lui, mi racconta, gli Usa in realtà ha iniziato a "sognarli" di recente: da bambino o da adolescente non è che avesse mai manifestato interesse particolare nei confronti del Nuovo Mondo.
Non bastarono i telefilm Arnold o i Jefferson, o le immagini delle soap, quelle di Dallas o Dinasty; né, successivamente quelle di Sex in the City o Avvocati a Los Angeles.
O l'ondata di patriottismo post 11 settembre.
La sua passione è cresciuta poco a poco dopo i suoi 30 anni: "Più o meno da quando ho iniziato a capire che l'Italia non aveva speranza e ho iniziato a guardare gli Usa con un altro interesse".
Anche - come è successo a molti di noi - attraverso i film e i telefilm.
"Sì, ma non tutti guardiamo tv e cinema allo stesso modo - mi racconta -. Molti, per esempio, quando 'sognano' l'America pensano sostanzialmente a New York, anche perché la maggior parte di film e telefilm sono ambientati là. E non è certamente un caso che New York è il simbolo degli Stati Uniti anche nel tuo blog - mi dice -. Eppure io non ho mai provato particolare attrazione per
la Grande Mela, come neppure per le metropoli in generale, moderne o
tradizionali che siano...".
Ad alimentare i suoi sogni, racconta Enzo, è sempre stata soprattutto l’immagine della
provincia americana, col suo stile di vita “ordinario”, persino
nelle sue piccole “meschinità perbeniste alla Desperate housewives”, mi dice.
I riferimenti filmici - televisivi, soprattutto - saranno numerosi in questo racconto.
E infatti, dopo “Desperate housewives”, Enzo dice di essersi fatta finora "un'idea" degli Stati Uniti e della sua vita quotidiana (tutta “Law and order” "legge e ordine", per citare ancora un film) attraverso altri "legal-drama" come “The good wife”, per
capirci, o “Avvocati a Los Angeles”.
"Non vorrei sembrare superficiale - mi dice -: negli anni, proprio guardando, anche per mestiere, queste produzioni tv o cinematografiche ho imparato a conoscere e riconoscere la fiction dai i riferimenti alla vita reale, e anche a capire le falle del sistema americano che, appunto film o telefilm, mostrano fra le righe".
"Fra le righe" mica tanto, rifletto.
Anche se spesso un po' tutte le fiction mostrano i lati "estremi" della realtà: basta pensare a che idea della vita quotidiana italiana può avere uno straniero se basa la sua conoscenza su quello che cinema e tv fanno vedere dell'Italia in giro per il mondo.
E proprio attraverso le immagini pensate e girate da altri, Enzo dice di essersi fatto degli americani l'immagine di un popolo "severo, drastico e razionale".
"Gente e
istituzioni sempre pronti ad intervenire per far rigare dritto le cose, piuttosto
che lasciarle in balìa dell’imprevisto, a rischio di combinare casini o di
rimetterci la pelle. Un atteggiamento che scatena la
disapprovazione di altri popoli che sono invece attendisti o lassisti e fatalisti, come
siamo noi italiani", dice deciso.
Guardare, anzi, "analizzare i contenuti" della programmazione televisiva, quindi anche film o telefilm, è il suo mestiere: Enzo - 43 anni molto ben portati, devo dire - è uno infatti che per lavoro fa le pulci alle programmazioni televisive italiane monitorandone i contenuti e i dati d'ascolto per studi di marketing.
Un lavoro utilissimo anche per la sua attività di docente di "educazione ai media", l'altro suo lavoro. Che vorrebbe diventasse il principale.
E' negli ultimi mesi che ha maturato la decisione di andare a verificare con mano: "ed essendo le altre due mie precedenti esperienze all'estero risalenti ai tempi della scuola, gite preordinate e organizzate da altri, va da sé che questo
viaggio negli Usa posso considerarlo la mia prima vera esperienza all’estero...", ammette senza difficoltà.
Il "pretesto" (ecco un consiglio utile ai lettori che muoiono dalla voglia di viaggiare ma che non ci riescono, quasi paralizzati da qualche forza invisibile: cercare, trovare, "il pretesto")... il suo "pretesto" per spingersi al di là dell'Oceano - anzi, alla fine del Nuovo Mondo -, dicevo, è stata una conferenza professionale alla quali gli interessava assistere.
Ne avrebbe poi approfittato per incontrare un suo ex collega oggi sceneggiatore, da un po' di tempo negli Usa.
In America e per di più a Los Angeles: "Città americana che più lontana non si può e rinomata come zona impossibile da girare senza un’automobile!".
Questa frase è una frecciatina a me: perché quando mi disse che aveva intenzione di stare a Los Angeles senza auto, ho pensato di avere a che fare con un matto, appunto (e due...). Nemmeno la descrizione che gli feci delle dimensioni della città ("Guarda che Los Angeles è grande come l'ipotetico triangolo che unisce Milano, Torino e Genova!") lo turbò più di tanto.
"Ma il mio coraggio talvolta è pari ai miei
limiti", mi dice. Dunque, presa la decisione e comunicata ai suoi famigliari ("A mia madre è preso un mezzo colpo, poi però si è rassegnata..."), ha fatto le pratiche per il passaporto e ha iniziato a documentarsi, anche attraverso le pagine di "Aria Fritta".
Quando ci incontravamo per chiacchierare, prima della sua partenza, vi confesso che ogni volta ero (sempre più) perplesso.
Perché Enzo, da bravo analista, dopo aver prenotato tre alberghi differenti vicino alla sede della conferenza che intendeva seguire("Intersections", "educazione ai media"), ha cercato di conoscere meglio le relative zone percorrendole virtualmente attraverso Google map e Google Street Wiew.
Non solo: il nostro amico ha passato ore ad esaminare le fermate e i percorsi delle linee di autobus che passavano da quelle parti.
E io che gli dicevo ogni volta: "Spostarsi a Los Angeles con i mezzi pubblici? Ma sei sicuro di quel che fai? Ma hai idea di quanto è grande L.A?? Guarda che è grande come l'ipotetico triangolo che unisce..."
Ve l'ho detto che secondo me è matto, no?
Avrei voluto essere una mosca per vedere come si sentiva la mattina della partenza.
Anzi, la sera precedente, che ha passato in bed&breakfast vicino alla stazione di Roma Termini, visto che altrimenti, se fosse restato a casa, non sarebbe riuscito ad arrivare in tempo per la partenza a causa della mancanza di treni notturni per Fiumicino...
Che ansia!
"Quella mattina ho messo la sveglia alle 5: in meno di tre secondi ero già seduto sul letto, in meno di dieci ero già nella doccia per lavarmi. In meno di un quarto d'ora ero già fuori, in una Roma piovosa ma praticamente deserta. Meno di mezz'ora dopo ero già sul treno.
Non mi sembrava vero: destinazione aeroporto di Fiumicino. Anzi, che dico: Los Angeles!".
"Ho evitato il volo con scalo per semplificarmi la vita - mi racconta - per non rischiare di perdermi a Londra o Chicago, visto che prima d'ora non ero mai stato nemmeno in un aeroporto...".
Chissà se i nostri servizi di sicurezza si sono accorti di quella persona che ha fatto "un sopralluogo" all'aeroporto (ve l'ho detto che il nostro Enzo è una persona meticolosa, no?) per verificare i tempi di percorso, come giravano le cose nell'area internazionale delle partenze, uno che ha osservato con analitica precisione la coda al check-in, le operazioni di imbarco bagagli, la consegna del biglietto con passaporto, financo al percorso che i passeggeri devono fare fino al controllo passaporti...
Lui si è fermato, rassegnato, soltanto davanti alla porta che conduce al "controllo passaporti", al di là della quale c'era il mistero.
Come tutte le persone che si recano per la prima volta in un posto, ha fatto un sacco di fotografie: ne ha scattate qualcosa come 650.
Potenza del digitale...
E la prima sua foto non può che essere quella dell'Airbus della Delta che lo avrebbe condotto nel Nuovo Mondo.
(Dai, lo facciamo in molti...).
E poi, questo qui sotto, era il suo primo aereo in assoluto.
E il primo aereo, si sa, non si scorda mai.
(Il mio - altri tempi... - fu un Aerflot, linee aeree dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, Milano Malpensa-Mosca. Volo alle ore 4 del mattino; ma - mannaggia! - non ho alcuna foto di quel primo, per me, aeromobile...).
Confesso che una delle ultime cose che gli dissi prima che partisse, era che secondo me era matto (ok, non le conto più...).
Più utile, invece, sarebbe stato da parte mia suggerirgli di coprirsi adeguatamente, consiglio che peraltro dò sempre a tutti coloro devono affrontare il loro primo viaggio intercontinentale, in particolare se con un aereo di una compagnia americana.
Laddove si muore letteralmente di freddo.
E invece quello come mi si presenta al gate e come si accomoda al posto in aereo? In bermuda e polo! Manco fosse un vero ammmmericano...
Come, dopo 13 ore in quelle condizioni, non gli è venuto un inizio di congelamento non lo so. E come nei giorni successivi non sia rimasto paralizzato dal mal di schiena con le vie aeree "raffreddate" è un altro mistero.
C'ha il fisico, il ragazzo! (Anche se con sé si è portato una intera farmacia, da buon ipocondriaco italiano).
"Effettivamente a bordo c'era una temperatura da freezer", mi racconterà poi.
Che non gli impedisce, però, di guardare "il mondo da un oblò"...
Sorridendo (ora) racconta il tanto temuto incontro con l'agente dell'immigrazione americana al quale non sapeva se confessare o meno che avrebbe assistito ad una conferenza.
Dunque, uscito dall'aereo e passando dagli anonimi corridoi degli aeroporti americani che conducono al "controllo passaporti", si incanala nella corsia riservata ai "Visitors" - "parola che mi ricordava tanto gli invasori lucertoloni..." - per arrivare al momento del breve colloquio con l'agente americano dell'Immigrazione.
Mi racconta del suo timore, del suo parlare ("incespicare", per la precisione) inglese, salvo scoprire ai saluti ("Va bene, vai pure, ciao!") che quell'agente capiva l'italiano e che anzi lo parlava un po'.
"Dopo il controllo bagagli passo un varco dove non c'era nessuno che controllava e mi stupisco: allora rallento, anzi quasi mi fermo, pensando di aver sbagliato qualcosa. Ma
nessuno sembrava curarsi di me… e allora mi son detto 'Vai... vai piano, senza correre, ma vai!'".
"Insomma, ce l’ho fatta!!! 'Sono in America, in California!', mi son detto con il cuore che mi batteva!".
E subito mi racconta del suo primo contatto visivo con Los Angeles, quello che vide mentre ancora era in auto con il suo amico Andrea che lo accolse nel Nuovo Mondo...
Questo.
"Beh, per noi italiani è difficile mantenersi freddi e distaccati quando ci si trova davanti ad un panorama di questo tipo".
La conferenza che doveva seguire era a Torrance, uno dei sobborghi (non nel senso di "periferia", come spesso impropriamente la parola viene tradotta in Italia), uno dei centri, della gigantesca Los Angeles.
Un albergo, dunque, lo aveva prenotato lì; gli altri due in altre zone della città degli angeli, per spostarsi un po'. Ma non troppo:"Tra le offerte più
economiche avevo trovato un piccolo hotel a Koreatown, il quartiere asiatico a
ridosso del Downtown di Los Angeles.
Poi avevo scelto, sempre attraverso internet, un motel, uno di quelli che tu su Aria Fritta definiresti 'alberghizzato': era a Burbank, vicino ad Hollywood".
Niente, niente male, come motel: un "Travelodge", buona catena con prezzi abbordabilissimi.
Davanti a sé, 12 giorni americani: "Un sopralluogo, un primo assaggio" degli Stati Uniti, giusto per conoscere, per iniziare
a prendere dimestichezza con, cibo, lingua, persone, trasporti, alloggi... "Tutte cose utili per un eventuale, successivo, trasferimento...".
Come corre, il nostro Enzo...
"Già, il famoso 'sogno americano”, che mai avrei immaginato d’inseguire fino a qualche anno fa, sperando che non sia troppo tardi per me, considerata la mia età e la mia lentezza...".
"Mentre mi guardavo intorno avevo sempre un pensiero costante: non lasciarmi abbagliare da ciò che vedevo, da quello che avrei potuto vedere più avanti e che magari sarebbe stata in linea con la mia immagine idealizzata degli US. Ero sinceramente pronto a correggere il quadro, l'idea, che mi ero fatto...".
Il suo unico "punto d'appoggio" americano era l'amico Andrea, già emigrato da quelle parti e che gli aveva promesso che ogni tanto lo avrebbe scarrozzato in giro.
"Una persona squisita e generosa che ha reso meno traumatico il mio primo approdo in terra
straniera, e che si è prodigato nel portarmi a visitare posti che non avrei
raggiunto con i mezzi pubblici: primo fra tutti il Griffith Park, situato tra le
alture e di fronte al monte con la famosa scritta “Hollywood”, parco da dove si vede
gran parte dell’immensa valle californiana con Los Angeles e il suo hinterland. Lo paragonerei a quello che a Roma è il parco 'Riserva Monte Mario'", mi dice Enzo.
Solo che il Griffith Park di Los Angeles (se volete capire che vuol dire un parco urbano negli Stati Uniti, finito di leggere cliccate sopra sul nome scritto in rosso) è uno dei più grandi parchi urbani degli Stati Uniti: 17 chilometri quadrati (10 volte più grande di Villa Dora Pamphilj a Roma, 40 volte più grande del Parco del Valentino di Torino, 44 volte più grande del Parco Sempione di Milano)...
... dal quale, tra l'altro, voltandosi verso la città si
può godere di questo panorama:
Ma è quando finalmente inizia a girarsela un po' da solo questa America, che il nostro Enzo riesce a conoscerla direttamente.
Non prima di aver accuratamente appuntato su una cartina un triangolo di Los Angeles dal quale, disse il suo amico, era meglio "evitare assolutamente".
Si impressiona un po' da questo severo monito, Enzo: ma d'altronde è ovvio che anche nelle città americane vi siano zone considerate da chi vi abita come "poco raccomandabili" e che perciò un turista, per di più straniero, è meglio che eviti.
Enzo ha deciso fin da subito di usare i mezzi pubblici, ed in particolare la metropolitana di Los Angeles.
Certo, non sono le 24 linee di New York, ma son pur sempre 17, le linee di metropolitane - fra sotterranee e di superficie - di Los Angeles, che fanno comunque impallidire le reti delle metro di Roma o Milano.
E' il solito sbalordimento che l'italiano prova quando all'estero giunge in una metropoli: Londra, Parigi, Mosca, New York: "A Los Angeles ho scoperto il vero piacere di girare coi mezzi pubblici - racconta Enzo -: servizi di stampo moderno, inimmaginabili in Italia".
E così Enzo mi racconta che inizia a prenderle in lungo e in largo raggiungendo, proprio con i mezzi pubblici, luoghi turistici come Long Beach, o anche località “chic” dell’hinterland come
Pasadena…
Poi si avventura sulla Red Line...
... con la quale - mentre alloggiava a Koreatown e a Burbank - Enzo raggiunge Beverly Hills,
Sunset Boulevard e Hollywood...
… dove negli studi cinematografici, tra le tante attrazioni, ha potuto vedere da vicino il
set di “Desperate houseviwes”, villette "finte" per nulla differenti a quelle "reali" che avrebbe visto poi di persona. "Erano le case di Susan, Bree, Gabrielle e Lynette, protagoniste di 8 anni di divertenti tribolazioni e
drammatici segreti nel quartiere che gli autori hanno chiamato 'Wisteria
Lane'".
E' decisamente una persona insolita, Enzo: ha ascoltato sì i consigli chi chi gli diceva di non farsi sfuggire Venice Beach o Santa Monica, ma quelle bellissime cittadine non lo hanno colpito più di tanto: "Sì, piacevoli, ma con niente di eccezionale: perfetti per la movida, lo svago adolescenziale e improduttivo. Cose che non fanno per me. Mi avevano poi detto che non aveva molto senso visitare 'Downtown Los Angeles', invece...
Ma
scherziamo?!? L’amministrazione, la finanza, la giustizia, i nodi del
trasporto, insomma le funzioni che strutturano la vita di tutti i giorni: è in
questo che io identifico soprattutto gli Stati Uniti!
Questo è il tipo di Nazione
dove vorrei vivere, non in un 'parco divertimenti', non in una versione esotica della
pigra e godereccia Italia dove ho sprecato oltre metà della mia vita".
Com'è severo, il nostro Enzo...
Ed è passeggiando proprio in Downtown Los Angeles che Enzo trova proprio ciò che cerca: i grattacieli di uffici e banche, licei, centri anziani, edifici religiosi. "Ma l’emozione più grande per me è stata vedere da vicino i luoghi della giustizia: studi legali, tribunali; come la Court House e il Criminal Justice Center, che ha persino il suo 'wall of fame'…
… e da dove ho visto uscire un tizio e una tizia
con le loro valigette: procuratori o lawyers, immagino. Insomma i veri 'Avvocati a Los Angeles'! È questa la vera attrattiva degli Stati Uniti, per me".
Le sue esplorazioni lo portano fra le case di Burbank, e lì passeggia come un normale residente, quasi per cercare di "identificarsi", mi dice, con la loro vita. "Trovo nientemeno una via che si chiama Fairview, proprio come l’ambientazione di “Desperate housewives”: è proprio vero, allora, che in America tutto sembra un film. O che i film sono davvero realisti!"
E' probabilmente solo un'ispirazione, visto che nel telefilm quel nome designa una cittadina intera.
Una normale, normalissima, cittadina americana, come se ne vedono tante nei film.
E come se ne vedono a migliaia negli Usa.
Proprio come quella fra le cui vie passeggia Enzo.
Cittadina non molto differente da quella del set di Hollywood fotografata qualche riga fa...
A noi italiani non smettono mai di stupirci, questi paesini, questi centri abitati, che ci appaiono finti. Impossibili da essere veri...
E che Enzo si è incantato a fotografare.
Quasi - come sempre succede - per ricordare a se stesso che quella che vediamo in film e telefilm è "fiction" fino ad un certo punto...
"Sì, mi hanno molto colpito. Effettivamente le villette somigliano molto a quelle dell’immaginaria 'Wisteria Lane': porticati graziosi, giardini curatissimi, tutte con il posto auto... Insomma la TV non mentiva! - mi dice stupito -. Anche se con quel telefilm in mente sono indotto sempre a immaginare chissà quali drammi e rovine ci sono dietro alla perfezione di queste case-bomboniera".
Incantevoli casette, ognuna con il giardino perfettamente curato: un po' per educazione/tradizione, un po' per non sfigurare con i vicini.
(Enzo forse non lo sa, ma se un privato trascura troppo il proprio giardino, ad un certo punto l'amministrazione comunale lo ammonisce, per poi multarlo, ripulirgli il giardino e presentandogli il conto...).
"Certo, ero cosciente di essere in una zona benestante della benestante California, ma sono rimasto davvero colpito da questa cittadina senza troppa sporcizia in giro, con le case tutte senza muri di cinta e senza sbarre alle finestre".
E' la famosa (noiosa?) normale vita della vastissima "provincia americana"...
Alloggiando in un albergo lì a Burbank, Enzo se l'è potuta girare con calma a piedi per tre giorni.
Come avrei fatto io, sinceramente: ad osservare, a fare foto, o anche semplicemente a passeggiare, per sentirsi - anche solo in quelle poche ore - parte di una comunità.
Normali scene di vita quotidiana sfilano davanti a lui: ci sono le signore che portano a passeggio i rispettivi cani...
... e c'è un idraulico giunto davanti all'abitazione dove deve intervenire, con il suo furgone.
"Sembra proprio Mike Delfino, il marito storico della 'diseperata' Susan. O il classico serial killer prima dell'omicidio..."
Sì, non c'è dubbio: guarda davvero troppi film, il nostro Enzo!
Che poi ritorna verso la metropolitana, passando dalla "Union Station", stazione dalla quale partono alcune ferrovie "regionali".
E anche qui si stupisce della pulizia e dell'ordine che regna dentro alla stazione.
"Guarda tu stesso, se non ci credi. E nota i pavimenti..."
E' quasi un reportage da perfetto cronista, quello di Enzo.
Ha annotato che le ferrovie metropolitane "hanno una frequenza di 10-20 minuti, e hanno un'ottima climatizzazione dei convogli e una perfetta pulizia".
Poi si ritrova a fare ancora una volta gli accidenti di paragoni: "Non potevo non pensare ai nostri treni locali, quelli che collegano le grandi città con i paesini vicini. Come la nostra 'Termini-Giardinetti-Pantano' o la 'Flaminio-Montebello-Viterbo", sulle quali è meglio stendere un velo pietoso...
E' un continuo oscillare di paragoni, il suo racconto.
"E quelli sui mezzi di trasporto sono inevitabili, per me - mi dice - che viaggio senza auto".
E allora eccolo andare avanti e indietro sugli autobus di Los Angeles salendo e scendendo alle fermate che, prima di partire, aveva già visto su Google Maps (insieme agli orari). Questi ultimi consultabili anche sugli opuscoli distribuiti a bordo.
"E poi le vetture sono sempre tutte climatizzate, non c'è un finestrino aperto che ne disperde il beneficio, e sono tutte attrezzate per il trasporto di biciclette".
A bordo, ammette, si incrocia ogni tanto qualche persona "sciroccata", fuori di testa: "Ma nessuno è stato mai invadente o mi ha dato fastidio".
"La tessera d'abbonamento è poi davvero 'Smart, semplice e sicura', come dice il suo slogan, e si può comprare o ricaricare dovunque: anche alle casse dei supermercati. Io, per esempio, l'ho comprata un uno dei tanti 'check casher' di Koreatown".
Lo lascio parlare un po' a ruota libera...
"Là mi hanno colpito tante piccole comodità: comfort e servizi che almeno nei quartieri provinciali della mia Regione (che è pur sempre quella dove sorge la Capitale d'Italia, per la miseria!) ce li sogniamo tuttora.
E poi il passeggiare...
Ho camminato moltissimo in quei giorni, nel 'centro' di Los Angeles così come nei dintorni, e mai ho dovuto fare troppa attenzione alle auto, sempre rispettosissime dei pedoni, al punto che si fermavano anche quando io non avevo alcuna intenzione di attraversare la strada; senza strade strette e senza marciapiede, segnaletica consunta, semafori spenti o accessi ostruiti da auto parcheggiate.
Molti semafori, laggiù, hanno un conto alla rovescia che consente di sapere quando sta per scattare il rosso (o il verde...).
Mi prenderai per stupido, ma il primo giorno ho pensato davvero che non avrei corso il rischio di venire investito da un'automobile. In compenso, mi dicevo, è meglio che io non ci faccia l'abitudine, altrimenti rischio di essere investito quando torno in Italia...
Vogliamo poi parlare dei marciapiedi?
Puliti, senza gomme da masticare o cacche che si possono pestare, e niente cani o gatti randagi. E soprattutto niente mozziconi di sigarette per terra. Incredibile!".
Poi mi confessa di avere annotato i problemi che ha incrociato camminando per strada:
"1) Un piccolo cumulo di cicche di sigarette;
2) Una cacca di cane in un'aiuola;
3) Un automobilista che non si è fermato quando stavo per attraversare la strada;
4) Un altro che è (addirittura!!) passato col 'rosso'...".
"Ah, c'è stato anche un blocco dei servizi della metro per più di mezz'ora. E in quel momento, un po', mi sono sentito a casa", mi dice sorridendo.
"Ma da qui a dire che 'tutto il mondo è Paese' ce ne corre. Un conto se le 'magagne' sono rare un conto è se fanno parte della normalità...".
"Mi ha colpito la 'civiltà', la vivibilità nella quotidianità, e la quantità di messaggi 'educativi' e 'di servizio'".
Come quel monito per i malintenzionati che ha fotografato in una via di Torrance: "Vigilanza di quartiere: Segnaliamo tutte le persone e le attività sospette alle Forze dell'Ordine".
Inevitabile, poi, arrivare a parlare di cibo: uno dei "traumi" per noi italiani all'estero.
Non è, nemmeno in Italia, un amante dei fast food, Enzo.
Mi pare d'aver capito che quando è a casa mangi quel che gli capita (e all'ora che capita): cibi in scatola, roba precotta... Tutti cibi cercamente peggiori, a mio parere, di quello sevito nei fast food.
"Però qui - mi dice - grazie al breakfast servito dall'albergo ho scoperto i 'waffles' con lo sciroppo d'acero,
e poi, ovviamente, i pancakes..." dei quali faceva il bis portandosi il sovrappiù in camera.
Un po' mi fa sorridere, quando racconta di aver avuto la digestione bloccata per un intero pomeriggio dopo aver mangiato un "super-cheesburger", e soprattutto quando accenna alle salse e ai condimenti onnipresenti in ogni piatto caldo americano.
Certo, a parte la gustosa colazione...
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Pankake con mirtilli e panna |
a volte il nostro amico si è trovato sul piatto certe "porcherie" (agli occhi di noi italiani, beninteso...), che non ha esitato ad immortalare...
E' che deve essere stato troppo timido e non ha evidentemente mai usato la formuletta magica della preposizione "without" ("senza questo, con poco quello"; modello "Sally", quella del film, insomma...).
Il risultato è stato paradossale: la sua permanenza negli Usa lo ha avvicinato all'insalata, che in Italia non consuma praticamente mai.
Mi racconta, divertito, di quando gli è stato chiesto che lingua fosse la sua, o quando è stato scambiato per francese...
Poi eccolo di nuovo in giro a fare foto.
Non più nell'elegante Burbank, ma nella più popolare Torrance.
Non meno carina, come vediamo...
Dove si imbatte anche in casetta di una famiglia americana di origine italiana, con quel tricolore che sventola orgoglioso, come in moltissime case abitate da italo-americani.
Gli italiani che vivono negli Usa, lo dico spesso, si dividono fra coloro che sono un po' troppo "faciloni" ed "ottimisti" contrapponendosi a coloro che "vedono nero" (ma che si guardano ben dal tornare in Italia).
La "verità" forse - come direbbe un vecchio nonno - sta nel mezzo.
"Sì, un mio amico italiano, in California da un po' di tempo, mi è apparso assai pessimista. Lui vive una fase di grande disincanto e mi ha parlato di un Paese tutt'altro che 'meritocratico', dove vengono a suo parere troppo tollerati gli irregolari, gli illegali. Ma forse è solo perché lui non è ancora riuscito ad ottenere la Green Card e perché la politica negli Usa, dice lui, tende a penalizzare l'immigrazione regolare in favore di quella irregolare".
Un paradosso, per noi italiani.
Ma lui sa che nulla è facile e comunque ritiene che sia ancora presto "tirare le somme". E anche nelle sue ultime ore negli Usa si sforza di non farsi troppo incantare da quel che vedeva.
Anche se poi, ora che ha avuto il tempo di rifletterci su, di lati "negativi" - mi dice - ha "l'impressione di non averne poi così tanti...".
Giorni volati, convulsi, pieni di "dati", di emozioni, da immagazzinare, da metabolizzare, sui quasi ragionare, pensare...
"Dopo tutte le paure, le paranoie, dei giorni che hanno preceduto la mia partenza, ero già malinconico il giorno precedente al mio ritorno in Italia. E pensare che io mi sono sempre trovato 'spaesato' lontano da casa...".
E' con questo stato d'animo che a Los Angeles prende l'autobus per l'aeroporto ("Porca miseria, costa soltanto 1 dollaro!").
Quando il suo aereo decolla si ritrova con il viso appiccicato all'oblò, "e già con la nostalgia addosso".
"Vorrei tornare, ma non più come turista. Vorrei dare agli Stati Uniti qualcosa di più prezioso dei miei semplici risparmi in denaro. Vorrei poter dare il mio contributo e sentirmi parte di quel Paese"...
Certo, quando una persona ha questi propositi tutto si complica: deve fare "un piano", prendere contatti, cercare uno "sponsor".
In "piano" che a volte ci vogliono anni perché sia completato.
Dagli Usa, Enzo, torna con un bagaglio in più: non solo una felpa, una maglietta, una bandierina americana, un portafiori per la madre, un mug per il caffè.
Ma soprattutto sensazioni, riflessioni, idee, sogni non ancora diventati progetti.
E torna con la prima cravatta della sua vita, comprata in un Wallmart di Torrance che ha incrociato nel corso di una delle sue passeggiate.
Cravatta che conta di mettere nel suo primo giorno del nuovo prossimo lavoro.
Magari (chissà...) americano.
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