PERSONE CHE HANNO LETTO O CURIOSATO

domenica 20 dicembre 2015

La corsa di Kathrine

Doveva mettersi in testa che per lei, quella, sarebbe stata una corsa come un'altra.
Uguale alle tante corse alle quale lei aveva fino ad allora partecipato.

In fondo si trattava solo di correre. E basta.
Correre, correre...

"Insegnò alla sua giovane figlia 
che l'unica cosa di cui aveva bisogno
era andare avanti.
E allora le insegnò a correre.
Corri, piccola, corri...

Run, baby, run...".

Ok, lo so...
La canzone di Sheryl Crow non fu scritta per la protagonista del racconto di oggi. E poi Kathrine non nacque il 22 novembre 1963, "... il giorno della morte di Aldous Huxley", come il personaggio citato dalla canzone. 

Lei, Kathrine Virginia Switzer - questo il suo nome completo - nel novembre del '63 era già bell'e che adulta. 
E nella nostra storia - e non solo, anche nella Storia americana - ci entrò quattro anni prima.

E' bene però fare ancora qualche passo indietro, amici.
Dobbiamo tornare a quando lei, figlia di un ufficiale americano, il 5 gennaio 1947 nacque nell'ospedale della base Usa di Amberg, nell'allora Germania Occidentale.
Arrivò negli Stati Uniti due anni dopo, quando il padre venne destinato a svolgere il servizio "a casa", a Fairfax County, in Virginia, 29 chilometri dalla capitale americana, Washington DC.

E qui, la nostra amica, ci ha dato dentro con lo sport, così come può ogni adolescente americano, volente (o nolente).
Iniziò, chissà perché, con l'hockey su prato, poi con il basket e poi con la corsa...

"Run, baby, run...".

E ha iniziato a correre sul serio: d'altronde, il motto del Lynchburg College che lei frequentava, è assai ambizioso. "Above and Beyond", "Più in alto e oltre".

Sarà anche a pagamento (lo è, infatti) ma vi invito ad essere prudenti nel guardare anche queste tre foto. Potrebbe venirvi un colpo.
Fondato nel 1903, in questo College lavorano 157 insegnati, e a disposizione dei circa 2500 studenti che lo frequentano vi sono attrezzature per svolgere adeguatamente dieci discipline sportive maschili e undici femminili...

(Ma vi immaginate come gli studenti americani si divertono da quelle parti? Avrei fatto sport persino io, cavolo!). 

Chissà perché vedendo queste immagini immediatamente mi è venuto in mente quel che Giovanna, la mia compagna, mi racconta sui suoi anni di scuola, durante i quali (e non si tratta del secolo scorso...) non è mai stata in una palestra.
Semplicemente perché nel suo liceo, la palestra, non c'era. 
O meglio, c'era, ma non era agibile... Così come quella precedente, quella della sua scuola media.

Torniamo in America, và...

Insomma, è sulla pista della foto qui sopra che Katherine si allena, fino a perdere il fiato, fino allo sfinimento.

Finito il college, nel '66 entra alla Syracuse University, scegliendo la facoltà di "Giornalismo sportivo".
Università di cui allego soltanto due foto...
E anche qui, Kathrine, oltre a studiare giornalismo, ci da dentro con lo sport. E qui emerge quello che sarebbe stato il suo punto forte: la resistenza. 
E allora vai con lo sci di fondo e allenamenti sulle lunghe distanze.

Era la gioia del suo allenatore, Arnie Briggs, (che di professione, in realtà, faceva il postino del College) il quale aveva alle spalle la partecipazione, per ben 15 volte, ad una delle più classiche marce americane: la "maratona di Boston", che commemora l'inizio della guerra d'Indipendenza americana, e che si svolge ogni anno dal 19 aprile 1897.

La nostra Kathrine correva talmente forte da trovarsi ad essere spesso sfidata dai colleghi maschi, partecipando alle loro gare (ma solo in allenamento...) e, a volte, vincendo.
E loro un po' la mettevano sportivamente sul ridere, un po' erano visibilmente seccati da 'sta cosa.
Dall'essere ogni tanto battuti da una donna. 

L'anno dopo Kathrine si sentì matura, pronta a fare sul serio. Decise dunque che era venuto il momento di correre a Boston. 
Alla maratona si iscrisse dichiarando che correva per il "Syracuse Harriers Athletic Club" e firmando il modulo semplicemente "K.V. Switzer", il suo cognome preceduto dalle sue iniziali.
Con il suo suo ragazzo, Tom "Big" Miller, che ritirò anche la pettorina di lei: quella con il numero 261.

Perché le donne, fino ad allora, non avevano mai partecipato ad una marcia di quel tipo. A loro, fino ad allora, venivano riservate gare più brevi, "solo per donne", competizioni ritenute meno faticose.
E dunque niente donne alla Boston Marathon; anche se il regolamento della gara si limitava a specificare soltanto che la competizione era aperta ad atleti di tutte le razze.
Delle donne non ne contemplava la presenza, ma neppure la escludeva.
Ma era stato sempre così: dal 1897 non c'era mai stata nessuna donna a correrla.

Il giorno della gara, la presenza di una donna fra gli atleti maschi (e in mezzo ad un gruppo di corridori maschi, i suoi amici, le sue "guardie del corpo") non passò inosservata.
Un giorno in cui, oltretutto, faceva un freddo cane: nonostante fosse aprile (era il 19 aprile 1967), nevischiava, infatti, a Boston.
Ma nonostante il gelo, lei galoppava, galoppava...

Eccola qui, fiera, correre quasi senza fatica, circondata dal cordone di sicurezza dei suoi amici.
Eccola, con quella donna del pubblico che corre per qualche istante insieme a lei, sorridendo della sua provocazione, della novità, della loro conquista...
                                           
Il pubblico rimase sorpreso: le donne urlando di gioia, i maschi dividendosi fra chi applaudiva e chi - una minoranza - la fischiava o le urlava di "andare a casa, a fare la calza"... 
Un'occasione ghiotta per i fotografi, che accorsero e iniziarono a scattare come matti, in mezzo a quella confusione che cresceva passo dopo passo.

Furono proprio queste urla ad attirare l'attenzione del direttore di gara, John Duncan "Jock" Semple, ex maratoneta di origine scozzese e fisioterapista, che seguiva l'evento da un pulmino.
E che appena scorse la donna ("Ma che diavolo ci fa una donna nella mia gara???"), balzò giù dal mezzo correndo verso di lei e intervenendo con forza, con l'intenzione di trascinarla via.
Le si precipitò addosso urlandole, pare, "Vai all'inferno! Via! Fuori dalla mia corsa!"

Una scena ripresa, scatto dopo scatto, dai fotoreporter presenti.

Guardate: nel primo si vede Katherine che si gira per vedere chi stava urlando, chi le stava dando fastidio... 

Nello stesso istante il marito Tom - che correva al suo fianco con il pettorale numero 390 - si girò anche lui verso quell'uomo.

Poi il secondo scatto:
quello che immortala la reazione di Tom, proprio quando il Direttore di gara quasi ce la stava facendo a trascinare via Kathrine.
Che con una smorfia continuava a correre.

"Run, baby, run...".
Il terzo scatto fissa l'intervento risolutivo di Tom, che con uno spintone ben assestato, forte dei suoi 106 chili di muscoli, riuscì a neutralizzare, sbattendolo fuori dalla corsa, il Direttore di gara John Semple.

Con Tom che in quell'istante urlò alla moglie: "Run like hell!!", "Corri via! Corri come se fossi all'inferno! Corri, baby, corri...".

"Run, baby, run...".

Kathrine Switzer terminò la corsa con il tempo di 4 ore e 20 minuti: arrivando con quasi un'ora di anticipo da un'altra donna che partecipò alla gara senza registrarsi.

Il piccolo grande atto di coraggio di Kathrine aprì un varco, ma la Maratona di Boston impiegò cinque anni ad adottare la rivoluzionaria decisione di accettare al suo interno anche le concorrenti donne. 


Con John Semple, il direttore che cercò di cacciarla dalla Maratona di Boston, Kathrine fece pace qualche anno dopo, quando entrambi si fecero fotografare abbracciati al termine di una competizione.
Lui si giustificò dicendo di essersi soltanto limitato ad applicare il regolamento, e infatti successivamente ha sempre sostenuto con forza la presenza delle donne nelle gare analoghe.


Kathrine Switzer, poi, vinse ancora: la maratona di New York nel 1974, la maratona di Boston nel '75, dove si tolse addirittura la soddisfazione di arrivare seconda assoluta, correndo in 2 ore, 51 minuti e 37 secondi. Ovviamente prima fra le donne e seconda solo al vincitore maschio.

John Duncan "Jock" Semple morì nel marzo del 1988 per un doppio tumore, al fegato e al pancreas. 

Kathrine Switzer continuò a lavorare come giornalista e commentatrice sportiva, incarico che ricoprì per la ABC per le Olimpiadi di Los Angeles e fino a quando non andò in pensione.

Raccontò la sua storia nel 1997 in un libro e in questi anni ha ricevuto numerosi premi e onoreficenze, continuando a correre a livello amatoriale. 
Anche per tenersi in allenamento per il 2017, quando a 70 anni correrà ancora alla Maratona di Boston. 
Per festeggiare il 50° anniversario del suo piccolo atto di ribellione.

Riascolto continuamente, mentre scrivo, "Run, baby, run".

Porca miseria, una delle mie canzoni preferite (maledettamente adottata come musica da un vecchio spot dell'Aperol...) che parla di "sentirsi a proprio agio con gli stranieri" e che cita addirittura Aldous Huxley, lo scrittore inglese che seppe, a mio parere, descrivere meglio - ed era il 1932! - la differenza fra l'America e l'Europa.

Huxley, che nelle sue "Impressioni di viaggio" notava che per un turista americano il maggior fascino di un viaggio in Europa consiste, forse, in quella specie di stordimento che sente di fronte alla grande concentrazione di storia che c'è nel Vecchio Continente rispetto alle sue tutto sommato piccole dimensioni.

Mentre un europeo, "sentendo su di sé il peso oppressivo di un indiscutibilmente splendido, ma spesso fatale, passato" , in un Paese come l'America è come se si sentisse più "leggero" e più "libero", visto che in America "la Storia è tanto immensamente esigua, quanto immensamente enormi sono le sue dimensioni geografiche".

Cari amici di Aria Fritta: stavo scrivendo che si tratta di "un'altra storia".
E invece no: trovo che in queste parole vi sia la risposta a molte delle nostre irrazionali sensazioni irrazionali che sentiamo quando stiamo in America.

Tutt'altro che un'altra storia, dunque...

"Sua madre credeva 
che ogni uomo potesse essere libero, 
così sua madre salì sempre più in alto
e suo padre se ne andò a Birmingham
per cantare forte canzoni di protesta.
Corri, piccola, corri...

Run, baby, run..."

Non so se Kathrine Switzer abbia mai cantato fra sé e sé, durante una delle sue tante gare, questa canzone.
Né so se abbia mai giocato al Lotto nelle sue varie forme il suo numero, il 261, "quel" numero, il numero che quel 19 aprile del 1967 venne assegnato a quel vago nome "K.V. Switzer".

Ma so che, da allora, ad ogni corsa a cui si iscrive - anche oggi che ha 68 anni magnificamente portati (basta guardare la foto qui sotto...) - lei corre sempre con quel numero.

Con il suo 261.




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